In Italia, come nel resto del mondo, i prodotti vegan confezionati come affettati, polpette, burger, bistecche, wurstel, formaggi, creme, yogurt e latte sono sbarcati nella grande distribuzione senza più essere di esclusiva di negozi specializzati. Questa nuova generazione di “surrogati” sta diventando sempre più un trend. Secondo le indagini di mercato Nielsen, nel 2019 il valore delle vendite nella grande distribuzione dei prodotti vegetariani e vegani è pari al 4,5% in più rispetto all’anno precedente e la porzione principale è quella vegana.
Rimane ancora un mercato di nicchia, ma inizia ad avere risvolti significativi: i prodotti disponibili si moltiplicano con estrema facilità e l’industria alimentare non si lascia certo sfuggire questa succulenta, ça va sans dire, porzione. Tant’è che multinazionali agroalimentari che da sempre producono o distribuiscono prodotti di carne e prodotti caseari hanno avviato intere linee di prodotti confezionati, completamente vegetali. Così come sempre più piccole e medie industrie che lavorano cereali, legumi e spezie hanno iniziato a proporre e trasformare queste materie prime in prodotti confezionati vegan seguendo il trend delle multinazionali.
In neanche dieci anni c’è stata una trasformazione così repentina, tale che nemmeno noi vegani potevamo immaginare potesse accadere in così breve tempo. Ed è così che da insipidi tofu e bistecche di seitan simil ciabatte vecchie, siamo passati a burger e polpette vegetali appetitosi, tali da essere apprezzati anche da chi vegan non è.
IL PARADOSSO DELLA PLASTICA
La scelta è sempre più ampia e il giro d’affari è multimiliardario, ma oggettivamente è un paradosso. Il veganismo che è anche ricerca e scelta di valori affini alla natura e rispettosi della Vita, sembra essere passato a sostenere un sistema economico alimentare in mano alla grande industria e alla grande distribuzione che propone sempre più prodotti industriali, lavorati e che nulla hanno a che vedere con il concetto di naturalità.
A breve, produrre proteine animali per dieci miliardi di abitanti della Terra non sarà più sostenibile senza pagarne seriamente le conseguenze, come del resto sta già avvenendo. Così invece di trovare soluzioni intelligenti, si è attivata la corsa a produrre alternative vegetali proteiche, non più unicamente di soia come tofu e tempeh, ma derivati da girasole, frumento, quinoa, legumi come lupini e piselli. E così oggi abbiamo l’imbarazzo della scelta tra le alternative delle alternative con innumerevoli versioni del Beyond Meat, burger simile a quello di manzo per sapore, consistenza e valori nutrizionali, oppure del Impossible Burger che contiene l’eme, un complesso chimico ottenuto per sintesi che imita la mioglobina del sangue.
Sull’onda di questi prodotti, molti altri ne sono stati creati e non solo dalla grande industria. Ci sono piccole medie imprese che propongono prodotti simil formaggi e alternative alla carne. Molti di questi sono assimilabili ai prodotti della grande industria con conservanti ed additivi e lavorazioni infinite. Poi ci sono poche e piccolissime imprese artigianali che propongono prodotti che non subiscono innumerevoli lavorazioni e avvengono tutte a mano e senza conservanti.
Tutti questi prodotti non fanno altro che accumulare rifiuti: scatole di cartone e di plastica, pellicole che avvolgono i prodotti e persino confezioni di plastica che al loro interno hanno stampi di plastica per “tenere fermo” il burger, il tutto imballato con altra plastica o carta.
IL CICLO DI VITA DEI PRODOTTI CONFEZIONATI NELLA PLASTICA
Il ciclo di vita di ogni prodotto confezionato è spiegato perfettamente da Live Zero Waste, una community formata dal fotografo ed ambientalista Samuel McMullen e ci permette di capire con estrema semplicità, passo dopo passo, quanto l’essere umano contribuisca al disastro ambientale.
1. Estrazione: ogni nuovo prodotto nasce attraverso con l’estrazione di alcune risorse naturali che porta inevitabilmente alla distruzione dell’habitat, alle emissioni e all’inquinamento.
2. Fabbricazione: i sottoprodotti della produzione sono responsabili di un’enorme porzione di rifiuti e degrado ambientale.
3. Trasporto: i prodotti non vengono quasi mai fabbricati dove verranno utilizzati e il trasporto è la prima causa delle emissioni globali.
4. Acquisti: la maggior parte dei negozi riceve grandi spedizioni di merci confezionate singolarmente, in scatole, su pallet, avvolte in plastica.
5. Utilizzo (questo siamo noi cittadini): acquistiamo il prodotto confezionato singolarmente e buttiamo via la confezione e il prodotto quando finito.
6. Discarica: un camion della spazzatura trasporta i nostri rifiuti in una discarica dove incontra tutti i rifiuti delle prime fasi del ciclo di vita.
Sebbene i vegani e vegetariani siano una piccola percentuale della popolazione italiana (8,9% dato Eurispes aggiornato al 30 Gennaio 2020), i prodotti confezionati vegetali hanno sempre più mercato. Chi sceglie di nutrirsi di alimenti esclusivamente vegetali però non ha bisogno di alimenti preconfezionati. Una dieta equilibrata vegetale può essere composta da cereali, legumi, verdure, frutta secca e semi oleaginosi e frutta, che ahimè non rientrano nella top-ten degli interessi della grande industria.
La preoccupazione per il cambiamento del clima, il devastante impatto ambientale degli allevamenti dovrebbero farci fare un cambio di rotta immediato verso una vera sostenibilità ambientale. Intraprendere uno stile di vita meno o zero Waste possibile è già di per sé una scelta grandiosa, perché è chiaro a tutti che qualcosa ancora possiamo fare per salvaguardare noi ed il pianeta. Si tratta di piccoli grandi gesti, non così impossibili da applicare. Le nostre scelte, le azioni, gli acquisti e ciò che portiamo sulle nostre tavole ogni giorno sono fortemente legati all’economia ed al suo sistema. Lo stile di vita Zero Waste è un’arma a nostro favore per abbattere la produzione dei rifiuti che ciascuno di noi produce nella sua vita quotidiana perché tende a boicottare tutti quei prodotti che possiedono packaging inutili. Il fine è appunto far diminuire la richiesta di prodotti con infiniti imballaggi e di conseguenza aumentare la richiesta dei prodotti sfusi e o free packaging, in modo tale da indurre i produttori ad eliminare via via l’utilizzo di imballaggi in plastica, alluminio, polistirolo, etc. per vendere i propri prodotti.
Per invertire il senso di marcia di un sistema economico che ci sta portando inesorabilmente verso un’implosione, bisogna innanzitutto comprendere che sono i rifiuti di ognuno di noi, singolo cittadino del mondo, che finiscono nell’ambiente, anche se seguiamo un sistema di riciclo perfetto. Consumare meno cibi o prodotti confezionati nella plastica, farà bene all’ambiente ed alla nostra salute: i conservanti ed additivi dei prodotti già pronti sono dannosi per la nostra salute, inoltre il ciclo produttivo degli imballaggi è di per se inquinante con l’aggravio che gli stessi vengono reimmessi nell’ambiente, inquinando falde acquifere, mari, fiumi e depauperando le terre con sempre meno polmoni verdi e quindi sempre meno ossigeno. Cercare di avere un approccio zero Waste aiuta anche il portafoglio: privilegiando prodotti essenziali, che si trovano sfusi e costano meno dei prodotti già pronti.
COSA POSSIAMO FARE?
Se eseguiamo un’analisi delle ceste della nostra raccolta indifferenziata ci rendiamo conto di quali e quanti rifiuti sono più presenti, di quali potremmo averne potuto fare a meno e quali avremmo potuto sostituire con alternative sfuse ed essere creati con le nostre mani. Pensiamo ad esempio ai biscotti per la merenda dei nostri figli, potremmo farli noi magari insieme ai nostri bimbi. Oltre a non creare rifiuti, avremmo fatto qualcosa di divertente ed educativo insieme a loro. Nei supermercati spesso si vedono frutta e verdura già confezionate, imballate in cassette di plastica, legno, carta, suddivise tra loro con altre veline di carta o poliuretano e poi avvolte da chilometri di pellicola, se acquistassimo sfuso potremmo essere i protagonisti e non spettatori, di ciò di cui ci nutriamo, selezionando lo stato di maturazione del frutto, quanto ne vogliamo, senza sprechi di imballi e risparmiando pure.
La prima cosa da eliminare sono le bottiglie di plastica, in sostituzione si può optare per borracce termiche in acciaio da riempire con acqua del rubinetto e che si possono portare ovunque, a casa invece possiamo usare bottiglie in vetro o brocche. In alternativa alla borraccia se si vuole essere il più Zero Waste possibile, si possono recuperare delle bottiglie in vetro con tappo richiudibile di passate o succhi, lavarle bene e riempirle con l’acqua di casa. In Italia, l’acqua del rubinetto è sottoposta a un disciplinare molto rigido e l’acqua è quindi sicura e controllata in gran parte del territorio nazionale ad eccezione di alcune zone dove è preferibile non bere acqua del rubinetto.
Calcolando un consumo medio di 3-4 bottiglie di acqua al giorno per famiglia, in un anno andremo a gettare dalle 1000 alle 1350 bottiglie di plastica e relativi tappi, proviamo a soffermarci su questo numero moltiplicato per milioni di famiglie, non vi fa un po’ paura? Già, perché anche se riciclate correttamente queste bottiglie andranno comunque ad impattare sull’ecosistema, per non parlare dell’inquinamento che producono durante l’iter di produzione: dalla fabbricazione alla consegna del prodotto finale tramite mezzi pesanti che a pieno carico attraversano l’Italia da Nord a Sud e viceversa, contribuendo all’inquinamento atmosferico.
Altra cosa che possiamo fare da subito è utilizzare barattoli in vetro per la dispensa dove possiamo inserire i nostri acquisti di prodotti sfusi: pasta, legumi, cereali, farine, frutta secca, tè e tisane in foglie, i biscotti autoprodotti. Non è sempre necessario comprare barattoli in vetro, possiamo recuperare quelli che abbiamo in casa di olive, passate, sottoli e sottaceti, legumi già pronti, etc. lavarli per bene con acqua calda e detersivo piatti certificato Ecolabel, lasciandoli a bagno in acqua bollente quando le etichette faticano a staccarsi completamente. Oltre a venire in aiuto alla nostra dispensa, i barattoli in vetro possono essere dei comodissimi ed igienici porta pranzo per verdure e pinzimonio, pasta o riso freddo, pasti completi con cereali e legumi che possono essere riscaldati al microonde.
I contenitori in vetro possono essere utilizzati come germogliatori per semi, cereali o legumi, oppure per dare sfogo al vostro pollice verde recuperando gli scarti di vegetali come la cima delle carote, la pastinaca, la base dei cespi di insalata, sedano, cipolle, aglio, cipollotto, basilico metterli in poca acqua in un barattolo in vetro e daranno vita a nuovi germogli che potrete poi piantare nella terra e crearvi il vostro piccolo orticello.
Volete mettere la soddisfazione di farvi uno yogurt vegetale di soia o mandorle in casa senza dover acquistare una yogurtiera che prima o poi finirà irrimediabilmente alla piattaforma ecologica, utilizzando semplicemente dei vasetti di vetro, latte vegetale autoprodotto e capsule di batteri, avvolti in una coperta di lana e boule dell’acqua calda?
In questo modo non dovrete più buttare scatoline in plastica, etichette di cartone, etichette di alluminio e tappo in plastica (per ogni yogurt acquistato).
Non solo in cucina, i barattoli in vetro possono diventare dei comodi porta penne e matite, spazzolini, oppure pennelli per il make up o addirittura porta gioie per bracciali, anelli, orecchini; se siamo creativi possono diventare dei simpatici vasetti per fiori, e piantine aromatiche, dei vasetti portaoggetti per tutto ciò non sappiamo mai dove mettere: monete, pile, chiavi o addirittura creare dei vasetti per il set da cucito con aghi, fili in cotone, forbicine, spille da balia etc.
E PER FARE LA SPESA?
Entrando al supermercato, ci si può sentire sopraffatti dalla plastica: moltissimi sono i prodotti imballati in poliuretano, spesso senza nessuna necessità. Se proprio dobbiamo comprare qualcosa di già pronto cerchiamo di optare per prodotti che siano imballati con materiale riciclabile come carta e vetro, escludiamo l’acquisto di frutta e verdura già in vaschetta ed avvolta da ulteriore pellicola e prediligiamo lo sfuso utilizzando i sacchetti biodegradabili e compostabili presenti al supermercato che sono comunque un’alternativa più green alla plastica.
Prediligiamo prodotti di provenienza italiana, se possibile biologici ed infine di stagione e quindi, ad esempio, no alle melanzane a gennaio. Sì agli acquisti di ingredienti di base come farina, zucchero, cioccolato, sale, olio, che sono per la stragrande maggioranza imballati con carta o vetro e che vengono in nostro aiuto per preparare a casa pasta, crostate salate e dolci, biscotti, torte e prodotti per la merenda etc.
Alternativa al supermercato, sono i mercati all’aperto, rionali o ortofrutticoli del quartiere, che ci permettono di trovare più alternativa rispetto ad un supermercato che per questioni logistiche non può tenere tutte le tipologie di frutta e verdura. Basta andare al mercato presto al mattino per trovare più varietà e potremo notare che ci sono rivenditori che sono produttori diretti e quindi garantiscono una filiera più corta con maggiore attenzione ai metodi produttivi.
Altra soluzione di acquisto sono i GAS e ALVEARI.
I GAS (gruppi di acquisto solidale) esistono da oramai tantissimi anni e sono spinti dalla voglia di consumare in maniera responsabile da tutti i suoi membri. Permettono di fare acquisti di gruppo di più prodotti in grosse quantità, abbattendo i costi, perché è come se si acquistasse all’ingrosso, direttamente dal produttore. La rete dei GAS è suddivisa in zone, normalmente composti da gruppi di persone che abitano vicini,
Gli ALVEARI, di più recente formazione, sono una rete di vendita che a differenza dei GAS hanno una sede fisica dove gli acquirenti si recano a ritirare i prodotti che hanno ordinato; lo scopo principale degli alveari è quello di mettere direttamente in contatto i produttori con i consumatori tramite i responsabili degli alveari stessi, che normalmente sono quelli che selezionano i produttori/fornitori e scelgono il luogo in cui effettuare le vendite che vengono eseguite sempre nello stesso giorno e orario.
Il secondo punto di forza dell’alveare è che i produttori selezionati sono il più vicino possibile alla sede prescelta per il ritiro delle merci. Questa vicinanza permette di conoscere il produttore, fidelizzare i clienti, avere la garanzia della freschezza dei prodotti come frutta e verdura e di poter acquistare anche pochi pezzi per volta (ad esempio anche solo una pagnotta e un cespo di insalata e una bottiglia d’olio).
PLASTICA, PLASTICA E ANCORA PLASTICA: MICROPLASTICHE ANCHE IN FRUTTA E VERDURA
Lo sapevate che produciamo 400 milioni di tonnellate di nuova plastica ogni anno?
Di questi solo il 15% viene riciclato, la maggior parte della restante plastica finisce nel terreno, nell’oceano o viene bruciata. E da qui, che fine fa?
Il gruppo di ricerca formato dal Laboratorio di Igiene Ambientale e Alimentare (LIAA), Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Tecnologie Avanzate “GF Ingrassia”, Università di Catania, in collaborazione con Laboratoire de Biochimie et Toxicologie Environnementale di Sousse e Institut Supérieur de Biotechnologie di Monastir in Tunisia ha eseguito una ricerca per verificare la presenza di microplastiche all’interno di frutta e verdura. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista peer reviewed Environmental Research (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0013935120305703?via%3Dihub).
Gli studiosi hanno analizzato 36 campioni fra lattuga, carote, broccoli, patate, mele e pere, scegliendo tra gli alimenti vegetali più consumati (in media uno al giorno) secondo i dati Istat relativi al 2019. Per ciascuna tipologia sono stati acquistati 6 pezzi in 6 rivenditori diversi – più nel dettaglio in 3 fruttivendoli, 1 supermercato e 2 negozi a km zero – della città di Catania. “I dati mostrano una contaminazione variabile con dimensioni medie delle microplastiche da 1,51 µm a 2,52 µm e un range quantitativo medio da 223mila (52.600-307.750) a 97.800 (72.175-130.500) particelle per grammo di vegetale rispettivamente in frutta e verdura“.
Il sistema di contaminazione non è ancora del tutto chiarito, ma l’ipotesi più probabile è che la contaminazione da microplastiche avvenga attraverso l’acqua assorbita dalle radici di frutta e verdura per poi percorrere lo stelo e arrivare nelle foglie e, dove possibile, nei frutti. La frutta analizzata (mele e pere) presenterebbe maggiore presenza di residui di microplastiche poiché provenendo da alberi ha più esposizione a causa del radicamento maggiore delle piante e quindi risulta più contaminata della verdura.
Fra i due campioni di frutta, le mele sono maggiormente esposte alle microplastiche; mentre fra le verdure, la più contaminata è la carota e la lattuga è la meno contaminata. Il team di ricerca ha ipotizzato una maggiore concentrazione di microplastiche nella frutta non solo “a causa dell’altissima vascolarizzazione della polpa del frutto, ma anche per le maggiori dimensioni e complessità dell’apparato radicale e dell’età dell’albero (diversi anni) rispetto agli ortaggi (60 -75 giorni per la carota). Inoltre, la carota ha piccoli peli microscopici all’esterno dell’epidermide della radice centrale; questi servono ad aumentare la superficie della radice, ma sopravvivono solo per pochi giorni”.
Lo studio ha riscontrato dimensioni più piccole delle microplastiche nei campioni di carota (1,51 µm), mentre le più grandi sono state trovate nella lattuga (2,52 µm).
Il quantitativo di microplastiche ingerito giornalmente (EDI, Estimated Daily Intakes) da adulti e bambini è risultato maggiore dopo aver consumato mele (negli adulti 4,62 E + 05 e nei bambini 1,41 E + 06), mentre più basso dopo aver mangiato carote (adulti: 2,96 E + 04; bambini: 1,15 E + 05). In generale, l’assunzione media di queste particelle da parte dei bambini è risultata più alta dopo il consumo di tutti gli ortaggi e la frutta studiati, perché i bambini, pur ingerendo una quantità inferiore di alimenti, incorrono in una concentrazione maggiore di particelle di plastica per via del loro peso corporeo inferiore.
Nonostante ciò, lo studio sottolinea che l’EDI delle microplastiche derivante dall’assunzione di prodotti agroalimentari sia minore rispetto a quello dovuto all’assunzione di acqua minerale in bottiglie di plastica sia nei bambini che negli adulti. Pertanto, sebbene l’abbondante presenza di microplastiche negli ortaggi esaminati abbia destato preoccupazione, l’esposizione alle plastiche attraverso l’ingestione di questi alimenti è risultata inferiore di quella derivante dal consumo di acqua minerale in bottiglia”.
Al momento, per gli esperti è prematuro trarre conclusioni sui potenziali effetti e rischi dei livelli di microplastiche nei prodotti agroalimentari. Per capire quali sono le reali implicazioni sulla nostra salute, quella dell’ambiente e degli animali è necessario effettuare nuovi studi che si concentrino sulla nano tossicità e persistenza delle microplastiche nelle piante e nell’uomo attraverso la dieta.
Questa ricerca non è altro che l’ennesima conferma della pervasività dell’inquinamento da plastica. Sappiamo con certezza che le microplastiche sono parte del cibo che mangiamo: ogni settimana ognuno di noi ingerisce l’equivalente di una carta di credito in microplastiche, generalmente più piccole di un millimetro fino a livello micrometrico, presenti in acqua in bottiglie PET, soft drink, birra, crostacei e sale.
IF THE OCEANS DIE, WE ALL DIE (cit.)
Di oltre 400 milioni di tonnellate di plastica che produciamo ogni anno nel mondo, almeno 8 milioni finiscono negli oceani, fiumi e laghi e falde acquifere. L’acqua è ciò che sostiene l’attività della terra, ma se l’acqua è malata irrimediabilmente lo saremo anche noi.
“If the oceans die, We all die” è ciò che ripete dal 1977 Paul Watson, fondatore di Sea Shepherd organizzazione internazionale senza fini di lucro la cui missione è quella di fermare la distruzione dell’habitat naturale e il massacro delle specie selvatiche negli oceani del mondo intero al fine di conservare e proteggere l’ecosistema e le differenti specie.
È improcrastinabile trovare una soluzione adeguata al problema ambientale più serio della storia dell’uomo. I governi sono i primi ad essere chiamati in causa e l’auspicio è che si coalizzino per risolvere la questione in tempi brevissimi.
Come cittadini del mondo, non possiamo fare altro che attivarci nel nostro piccolo, educarci ad un consumo più intelligente e a minor impatto ambientale, scegliendo imballaggi riciclabili, ancor meglio acquistando sfuso e riutilizzando imballaggi come vetro o plastica di prodotti già acquistati, azzerando il più possibile il consumo di plastica.