La presenza di eccessi di plastica nel nostro pianeta è un argomento ormai dibattutissimo, per tutte le implicazioni socio-economiche, ambientali e sanitarie che ne derivano. Eppure la plastica, poco meno di un secolo fa, era considerata una vera e propria svolta tecnologica! Negli anni ’30 del secolo scorso la plastica cominciò ad essere prodotta su larga scala, utilizzando il petrolio come materia prima; successivamente, negli anni ’50, ci fu un vero e proprio boom produttivo e di utilizzo, tanto da farla diventare una vera e propria icona dello sviluppo industriale e tecnologico. Non a caso, la plastica è stata anche oggetto di numerose opere artistiche nella cosiddetta Pop Art.
La plastica ha rappresentato per decenni l’unica valida alternativa per la costruzione di prodotti (contenitori rigidi e flessibili, tubi, imballaggi, cavi, ecc.) che altrimenti, se costruiti con altri materiali (vetro, metallo, legno) avrebbero avuto un costo ambientale ed energetico decisamente superiore. Ma allora, dove sta il problema?
I materiali plastici sono prodotti di sintesi, creati in laboratorio: questo significa che in natura non esiste alcun prodotto (in termine tecnico si chiama enzima) che possa digerire tali prodotti.
Questo, inevitabilmente, ha portato negli anni ad un accumulo stratosferico di materiale plastico di scarto, che, non potendo essere distrutto a breve termine dalla natura, si “integra” (purtroppo!) con la natura stessa. Infatti gli agenti atmosferici, con il passare del tempo, agiscono sui materiali plastici dividendoli in parti sempre più piccole, che, proprio per le loro ridottissime dimensioni, pervadono l’ambiente a tutti i livelli.
Questi prodotti, degradati in forma minima, sono tristemente definiti con il nome di microplastiche o nanoplastiche. E quando dico che tutto l’ambiente ne è pieno, vi assicuro che è proprio così: persino l’Himalaya contiene livelli molto altri di questo materiale!
Le microplastiche, particelle di plastica dal diametro inferiore ai 5 millimetri, sono ovunque: nei mari, nei fiumi, nei laghi, e anche sulla terraferma, per esempio su certe catene montuose, o nel suolo. Ma finora nessuno aveva pensato di cercarle in uno dei luoghi dove la loro presenza può rappresentare uno dei pericoli più seri: le falde acquifere sotterranee, molte delle quali alimentano i bacini di acqua potabile.
Ma quali sono gli effetti di queste microplastiche sul nostro organismo?
Per i dati in nostro possesso, al giorno d’oggi, si sa che le particelle di materiale plastico più voluminose sono escrete con le feci. La preoccupazione più grande però sta nelle microparticelle, che sono le più piccole ma anche le più pericolose. In questo momento gli studi, sulle microplastiche, sono condotti non su individui ma su cellule di individui o di animali.
Questi studi confermano comunque che c’è il rischio di passaggio di questi composti all’interno della cellula. Preoccupa, soprattutto, l’effetto di accumulo di questi prodotti nel tempo; accumulo che potrebbe colpire organi quali i reni, l’intestino, il cervello, il fegato. La conseguenza più probabile di questo accumulo negli organi è la maggiore suscettibilità a infiammazioni croniche e allergie.
Ma non è tutto purtroppo: tutti i materiali plastici, a prescindere dalla loro dimensione (quindi qui non parliamo più di microplastica!) contengono i cosiddetti interferenti endocrini. Con questo termine si indicano molti contaminanti ambientali (derivanti in effetti non solo dalla plastica) in grado di alterare la funzione del sistema endocrino e causare effetti avversi sulla salute di un organismo o di eventuali figli dell’organismo stesso. Gli interferenti endocrini sono in grado di legarsi ai recettori di vari ormoni, per esempio ai recettori degli ormoni steroidei o degli ormoni tiroidei, creando una alterazione della loro funzione.
Vi elenco solo quelli contenuti nella plastica:
- FTALATO: Contenuto nel PVC ma anche in smalti per unghie, adesivi, vernici.
- PERFLUORATO: In plastiche, carta, fibre tessili e pellame, schiume antincendio, cosmetici, casalinghi.
- BISFENOLO A: In giocattoli, bottiglie, attrezzature sportive, dispositivi medici e odontoiatrici, lenti per gli occhiali, supporti ottici, elettrodomestici, caschi di protezione e otturazioni dentarie, rivestimento di lattine per alimenti e bevande.
- ALCHILFENOLI: In shampoo, cosmetici, spermicidi, detergenti, prodotti ortofrutticoli o confezionati in plastiche e pellicole.
- DIETILESILFTALATO Cartoni per asporto delle pizze, prodotti plastici.
Vorrei però darvi qualche consiglio su come difendervi, piuttosto che parlarvi di tutte le conseguenze date dall’esposizione alla plastica.
Innanzitutto: cominciamo tutti a raccogliere la plastica in modo differenziato!
- poi, a casa, evitate prodotti fabbricati con PVC morbido
- per conservare il cibo, non utilizzate mai i recipienti di plastica a meno che non siano monouso: se dovete conservare dei cibi, fatelo utilizzando il vetro
- utilizzate le pellicole trasparenti e le carte per alimenti rispettando le indicazioni del produttore, che sono obbligatoriamente riportate in etichetta (soprattutto evitate di apporre una pellicola trasparente quando il cibo è ancora caldo)
- non travasate liquidi e alimenti caldi in contenitori di plastica che non sono stati fabbricati per sopportare le alte temperature.
Da questi piccoli accorgimenti (e da una adeguata cultura della raccolta differenziata) nasce la scommessa per una vita più in salute e un ambiente più amico!