Dal Cilento arriva Flormeat, la “carne di fiori”, ideata da La Capra Selvatica, consulente vegetale dal seme al piatto.
Emanuele Cavaiolo, in arte La Capra Selvatica, classe 1994, è nato a Salerno, ma abita da sempre a Paestum, la città dei templi. È un giovane botanico, agronomo e vegan forager, ovvero raccoglitore di piante spontanee che crescono sia in campagna che in città e ne studia gli aspetti biologici e strutturali.
Molte erbe spontanee, oltre ad essere commestibili e patrimonio della cucina popolare, hanno anche proprietà officinali, con principi attivi straordinari per fini terapeutici.
Non tutte le erbe spontanee sono edibili, pertanto è fondamentale saperle riconoscere e distinguerle per farne buon uso in cucina e come rimedio officinale.
L’Italia è un paese ricco anche sotto questo punto di vista, vantando un’incredibile biodiversità di erbe spontanee che crescono da nord a sud.
La Capra Selvatica nasce proprio da una necessità delle persone che chiedevano ad Emanuele di fare corsi di riconoscimento di piante selvatiche, corsi che Emanuele svolge da circa quattro anni.
Parlando al telefono con Emanuele, mi racconta divertito un aneddoto relativo alla scelta del nome La Capra Selvatica: “A quel tempo, portavo una barbetta lunga e giravo dei video brevissimi dove mostravo le piante commestibili raccolte, pronunciavo il nome della pianta e gli davo un morso.
Mio suocero li vide e mi disse: “Mi pari proprio una crapa! bruchi come una crapa!” espressione cilentana che appunto significa “sembri e bruchi come una capra!”.
BRUCATE CAPRE! LA RICERCA DI ERBE SPONTANEE È UN ATTO RIVOLUZIONARIO
Emanuele vive con grande soddisfazione questa esperienza dei corsi: i suoi allievi apprendono da lui, mettono in pratica i suoi consigli, raccogliendo erbe spontanee e poi cucinandole in ricette elaborate; al contempo Emanuele sente che questo suo progetto si è trasformato in un vero e proprio movimento rivoluzionario che porta a riprendere contatto con le radici della terra. L’esortativo arrogante e scherzoso che pronuncia sempre nei suoi video: “Brucate capre!” è simbolo di questa trasformazione: se per Micheal Pollan mangiare è un atto politico, per La Capra Selvatica brucare è un atto rivoluzionario, perché “non solo ti nutri di vegetali, che è una delle cose meno impattanti a livello di sostenibilità, ma lo stai facendo con piante selvatiche, quindi gratis, riacquisendo una conoscenza ancestrale che sta andando nell’oblio: ci si sta dimenticando di questa conoscenza nata prima di 10.000 anni fa , ancor prima che l’uomo diventasse un agricoltore stanziale e sedentario e ci riporta ad essere raccoglitori nomadi“
NOMADISMO VEGETALE PER RIAPPROPRIARSI DELLE NOSTRE RADICI
Andare in luoghi e vedere cosa offre l’ambiente in cui vivi, ti pone nelle condizioni di diventare custode dell’ecosistema. “Questo vale anche per le città, come Milano ad esempio, occorre conoscere le piante, occorre avere piena conoscenza dell’ecosistema in cui vivi e se non ci sono piante, deve sorgere in te la domanda del perché non ce ne sono.
Se ce ne sono, impari a capire quali sono e che cosa ne puoi trarre, tutte quelle cose che fanno gli animali istintivamente. Una capra, non legge un testo di botanica, ma sa riconoscere le piante giuste per lei”. Abbiamo perso quell’istinto e conoscenza che tipicamente troviamo nelle persone anziane “se sentiamo dei vecchietti, non ti dicono il nome di quella pianta, non lo ricordano, ma sanno che quella pianta si mangia e fa bene”.
AMBIENTALISMO EGOISTA
La Capra Selvatica è una guida che ti riporta con i piedi per terra, ti guida in un mondo dove riapri e riacquisisci i sensi intorpiditi dalla sedentarietà e pigrizia odierna, anche mentali. Con l’esperienza sul campo, ritrovi, non solo le piante, ma te stesso.
Una profonda connessione egoistica con la natura, si perché è nella natura istintiva dell’essere umano, come quella degli animali, difendere l’ambiente e il proprio territorio, perché da questo stesso territorio ne ricaviamo qualcosa, un giaciglio dove dormire, la luce del sole, l’energia, l’acqua, il cibo.
FLORMEAT: LA CARNE DI FIORI DALL’ALBERO DI GIUDA
Con il suo coinvolgente entusiasmo, Emanuele mi racconta che Flormeat nasce un po’ per caso, poco più di tre anni fa. L’albero di Giuda è una fabacea, leguminosa tipica del territorio cilentano, i suoi fiori sono edibili, dal sapore asprigno, Emanuele decide di provare ad utilizzare i boccioli e farne una preparazione simile a dei capperi sotto sale.
L’esperimento non lo aveva convinto molto, in più ne aveva davvero tanti e non voleva sprecarli.
Così decise di frullarli, ottenendo un impasto violaceo che trasforma in un burger dalla texture “carnosa”, nervina e fibrosa come se fosse una salsiccia.
Nasce così l’idea di Flormeat, con tanto di proprietà intellettuale depositata, la salsiccia vegetale che, perfezionata nella lavorazione di anno con anno, non prevede l’utilizzo di acqua nell’impasto, ma solo spezie e, a seguire, la stagionatura.
La ricetta è chiaramente segreta, Emanuele non ne prevede una commercializzazione, anche perché è un puro lavoro artigianale. Il suo scopo è quello di produrne alcuni pezzi, che verranno mostrati ed assaggiati durante i suoi corsi e le sue degustazioni e vuole che rimanga un prodotto che non può prescindere dalla Capra Selvatica.
IL LIMITE È SOLO IL POTENZIALE UMANO
Emanuele cita il botanico e saggista Stefano Mancuso che definisce gli esseri umani “arboricoli”, che vivono tra le chiome degli alberi, perché “nelle piante troviamo tutto ciò che ci serve”, è solo questione di predisposizione mentale e sapersi guardare attorno sfruttando gli strumenti che abbiamo in mano.
È l’esigenza individuale che crea il prodotto: “Di fronte ai colossi industriali delle fake meat che sfruttano la tecnologia delle proteine testurizzate, disidratate di soia, pisello etc. mi sono guardato attorno e, da botanico, mi sono chiesto cosa potevo fare”.
Flormeat non è un prodotto, ma solo un mezzo per smuovere le coscienze e dimostrare che le tecnologie gastronomiche non sono ancora finite, c’è ancora tanto da fare ed il limite è solo nelle nostre potenzialità.
Emanuele mi confida in anteprima che sta processando delle ghiande per crearne della farina cruda, totalmente commestibile, ma senza tannini.
Un prodotto molto equilibrato che come valori nutrizionali si pone tra i cereali ed i semi oleaginosi. Un prodotto carico di principi nutritivi che, a differenza della verdura coltivata, estrae i minerali dal suolo.
Dalla lavorazione di queste pigne del pino di Aleppo, Emanuele uscirà per l’estate con il “Tonno Pigna Gialla”, come per Flormeat non è alla ricerca di un prodotto da commercializzare, anche perché la fioritura di questo particolare albero dura pochissime settimane e la raccolta e lavorazione richiede un’operazione complessa.
IL FUTURO LEGATO ALLA TERRA
“Flormeat o il Tonno Pigna Gialla sono legati a me e al Cilento – asserisce Emanuele – L’albero di Giuda si sviluppa lungo tutte le mura di Paestum e sogno che si possa rilanciare un turismo cilentano legato proprio all’albero di Giuda, perché diventerebbe il simbolo della mia terra. Non mi importa di vendere Flormeat, mi importa di fare rete”.
Creare una comunità, che vive del turismo legato ad un prodotto della terra, che ci riconnette alla natura più ancestrale. Una comunità che raccoglie, produce e vende emozioni. Tra gli ambiziosi progetti, Emanuele mi rivela quello di trasformare la sua casa di Paestum in un laboratorio di produzione di prodotti vegetali, un laboratorio che ha come scopo primario accogliere le persone che cercano un loro equilibrio e lo fanno riconnettendosi con la natura, toccando, trasformando e potenziando le risorse che la natura ci offre.
[Questo articolo è tratto dal numero di maggio-giugno 2024 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]