Lo chiamano tutti soltanto “Norbert” perché il suo cognome è quasi impronunciabile. Ha l’aspetto di un professore saggio, indurito un poco dall’accento teutonico che gli conferisce un tocco di severità solo apparente. Sì, perché se chiudi gli occhi, lo immagini alla maniera di un eroe romantico: su una rupe, solo, stupito e ammirato dalla grandezza delle “sue” montagne, le Dolomiti della Val Badia. E’ consapevole di essere come un lillipuziano davanti a Gulliver, l’ha capito dopo aver viaggiato in ogni parte del mondo che l’uomo è nulla dinanzi alle forze della Natura, che se non rispetti la Natura, lei non rispetta te, ti schiaccia e tu cessi di essere un Uomo degno di questo nome. Nel manifesto programmatico di “Cook the Mountain” – il progetto che gli ha valso nientemeno che il terzo macaron sulla casacca – dice di sé: “Sono un individuo. Come lo sei tu. Ho le mie forze e le mie debolezze. Come le hanno tutti. Cerco di essere genuino ma non sempre ci riesco. E tu? Ma quando riesco a far sentire alle persone il profumo e i sapori familiari della mia terra, sono semplicemente felice”.
Umile come una formica laboriosa contro un gigante di granito, Norbert è grato alle sue vette imperiose perché avverte il sublime insito nella loro grandezza e nelle infinite sfumature dei prodotti che generosamente dispensano attraverso il duro lavoro dei contadini. Per questo al St. Hubertus di San Cassiano – quest’anno premiato appunto dalla Michelin con il massimo riconoscimento – da tempo ha smesso di utilizzare ingredienti “da ristorante stellato”. Ha accantonato foie gras, caviale, pesci di mare e più recentemente anche gli agrumi, di improbabile coltivazione nel suolo dolomitico. “Se mi serve l’acido, lo cerco altrove”, dice. Ha persino sostituito l’olio d’oliva con l’olio di vinacciolo, che aromatizza in casa con aneto, verbena, basilico. Lavora a contatto con contadini di monte e di valle che gli mettono a disposizione trecento tipologie di verdure ed erbette, venticinque tipi di carote, centinaia di erbe alpine, foglie di amaranto, cipolle selvatiche ecc. Per non parlare dell’utilizzo di fieno, pigne, pinoli, Graukase (“il formaggio più magro del mondo”), resina di pino mugo, selvaggina, pesci d’acqua dolce. La sua è ormai una cucina dalle cento sfumature, di grigio della montagna e di verde della valle: del terroir che interseca visione, passione e tradizione. Quasi una Trinità.
CUCINARE LA MONTAGNA
È visione l’immedesimazione con le peculiarità di un territorio, l’estrazione dei suoi sentori più reconditi che genera creazioni uniche.
“Provate a cercare su google “fonduta di betulla”: troverete solo il mio carpaccio di vitello da latte, tuberi e, sì, proprio fonduta di betulla con erbette. Il mio obiettivo è creare piatti delicati e inconfondibili dal ricchissimo tesoro che ci offre la natura altoatesina ”. Tradizione è il ricordo di casa, della mamma che preparava per i cinque figli il Kaiserchamrr’n con la confettura di mirtillo rosso. “Il mirtillo rosso è la mia infanzia, un profumo persistente dei miei ricordi, un sapore lontano e antico. Lo utilizzo molto spesso, nel menu attuale lo trovate fermentato con la lingua di vitello, ma l’abbinamento con la carne di cervo è il più tradizionale”. La passione è l’inconsueto, è ciò che non ti aspetti. “Una volta ho preparato un orzotto, arricchito con erbe di montagna. La lingua ne ha percepito il bouquet vigoroso e intenso ma mancava qualcosa che rinfrescasse le papille ad ogni boccone, qualcosa di piacevole e un po’ sfacciato: la verbena odorosa. Un’erba inconsueta, dalle foglie sottili, che si comporta con il risotto come io mi comporto con la vita”.
IL LUNGO PERCORSO
Il sentiero verso questa identità inconfondibile è stato lungo. Niederkofler arriva al St. Hubertus nel 1993, dopo un intenso nomadismo. “Ho frequentato la scuola alberghiera per poter viaggiare. Sono nato in Val Lurina, un posto bellissimo, ma che a un giovane sta stretto, per forza di cose. Allora ho deciso che avrei lavorato come cuoco per sei mesi l’anno e scoperto il mondo per gli altri sei, con quello che avrei guadagnato. Nel frattempo ho avuto grandi maestri, su tutti Eckart Witzigmann a Monaco e David Bouley a New York”. Nel 1993 arriva la chiamata della famiglia Pizzinini, che vuole rendere più moderna la ristorazione dell’hotel di sua proprietà, il Rosa Alpina di San Cassiano. “Sarei dovuto rimanere lì solo sei mesi, ma la storia oggi è un’altra, come si può vedere. Il ristorante all’inizio era anche pizzeria, con ingressi separati per gli sciatori. Le cose sono cambiate poco alla volta, fino alla seconda stella. Da allora ho capito che per essere diverso dagli altri avrei dovuto seguire una strada totalmente personale: quella della mia identità, indissolubilmente legata al territorio in cui sono nato e vissuto”. Tra i piatti più significativi del percorso totalmente “autoctono” di Niederkofler troviamo gli gnocchi di rapa rossa, con briciole di pane al carbone vegetale, birra fredda, rafano e daikon e “c’era una volta una trota”, dove la carne è servita in tartare senza sale, la pelle del pesce è essicata e fritta a parte e con le lische e le teste viene preparata una salsa beurre blanc. Esempi di cucina identitaria, ma anche senza sprechi, che è il mantra dello chef e dei suoi progetti etico-sociali.
COOK THE MOUNTAIN E CARE’S
Cook the Mountain è un progetto globale che coinvolge allevatori, agricoltori, alpinisti, sociologi e ovviamente chef, i quali, ognuno per il proprio ambito di competenza, si dedica alla valorizzazione dei sapori di montagna valorizzandone la stagionalità, le filiere, il territorio.
È stato presentato a Expo 2015 ma è in continua evoluzione. “Ho 57 anni, un figlio di otto anni al quale voglio lasciare qualcosa di bello. Viviamo in un territorio unico, ricco di ecosistemi e culture.
È nostro dovere non sprecare le risorse naturali e non dimenticare cos’hanno fatto i nostri nonni e bisnonni per lasciarci quello che abbiamo. Dobbiamo essere responsabili con chi verrà dopo di noi. Cook the mountain è cucinare i prodotti del territorio senza sprecare nulla. Chi viene oggi al St. Hubertus trova tutti i secondi piatti in due servizi, il primo con le parti più nobili, il secondo con la frazione più povera, che è poi quella che mi dà maggiore soddisfazione. Non voglio più utilizzare solo il filetto e gettare via il resto”.
C’è poi la naturale evoluzione di Cook The Mountain, quasi il suo corollario. Care’s – The Ethical day chef è un grande progetto che culmina in un evento che è molto più di un congresso. Una grande fiera dell’ecosostenibilità alimentare nella cornice della Val Badia (con un’appendice estiva a Salina, in Sicilia) dove produttori, artigiani, grandi gruppi si confrontano sui temi degli sprechi e dei recuperi. Gli chef non sono rimasti a guardare: il turco Maksut Askar del Neolokal di Istanbul, lo sloveno Tomas Kavcic del Pri Loizetu di Zemono e la colombiana Leonor Espinosa del Leo Cocina y Cava di Bogota hanno esposto la loro filosofia sulla cucina sostenibile, autentico mantra dell’incarnazione attuale di Care’s. La tanto celebrata “conoscenza della materia prima”, secondo Norbert, dovrebbe essere la prima preoccupazione del cuoco: non solo per offrire al cliente il prodotto migliore, ma soprattutto in chiave anti-spreco. “Solo sapendo bene come si usano gli ingredienti è possibile non sprecare: un prodotto può essere utilizzato nella sua interezza, o essere fermentato in tutto o in parte per un utilizzo successivo. È così che si rispetta anche il lavoro dei contadini”. E se lo dice il nono tristellato d’Italia, c’è da credergli.
RISTORANTE ST. HUBERTUS
Strada Micurà de Rü, 20 – 39036 San Cassiano (BZ)
Tel. 0471 849500 – www.rosalpina.it