È da tempo che quel preciso momento è segnato in agenda: le ore 10 del primo del mese, almeno un trimestre prima della fatidica data. Un solo nodo al fazzoletto, un unico allarme potrebbero non bastare. Bisogna essere veloci nell’avventarsi sulla tastiera, nel premere il clic fortunato. Perché prenotare è una gara. Non è facile per nessuno conquistare un tavolo all’Osteria Francescana, primo o secondo ristorante del mondo, poco importa, sicura eccellenza della cucina italiana: il fully booked dura mesi e si rinnova in un batter d’occhio, quando le caselle cambiano repentinamente colore. Ed è un peccato, perché il volo è altissimo, probabilmente irripetibile, un’esperienza irrinunciabile per qualsiasi gourmet e appassionato.Sarà probabilmente per questo che la Gucci Osteria (understatement vizioso, perché la qualità è al 100% gastronomica) giunge come una novità tanto attesa: il luogo dove la cucina di Massimo Bottura si rende finalmente accessibile al grande pubblico, anche grazie all’apertura ininterrotta, dalla mattina fino a sera, con la cucina sempre attiva nelle ore pomeridiane. Costumi internazionali per un ristorante che si affaccia su piazza della Signoria, con il via vai dei turisti a fendere il sentimento di meraviglia. Dentro il trecentesco palazzo della Mercanzia hanno sede gli uffici del gruppo, fondato a Firenze nel 1921 da Guccio Gucci, già portiere al Savoy di Londra; ma nel 2011 vi è stato insediato un museo relativo alla storia della moda, che nel 2017 l’amministratore delegato Marco Bizzarri, compagno di banco di Bottura dal 1976 al 1981, nell’ultima fila in fondo a destra, ha deciso di ripensare in chiave interattiva, affidando la regia al direttore creativo Alessandro Michele, (foto a pag. 44) coadiuvato da artisti visivi quali Jayde Fish, Trevor Andrew e Coco Capitán. Non solo vestiti e accessori, vintage e moderni, ma istallazioni video, opere d’arte, affreschi, documenti e artefatti cortocircuitano passato e presente lungo i due piani della Galleria, il cui biglietto va per metà a finanziare opere di restauro in città. Mentre il piano terra è consacrato a bottega, con la vendita di pezzi unici concepiti appositamente per lo store, si tratti di vestiti o cuscini fatti a mano, e per l’appunto a ristorante.
È il Gucci Garden (foto sopra), così chiamato per il ricorrere di motivi animalier o fitomorfi e quale repertorio di metafore sempreverdi.
“GUCCI VENDE UN SOGNO”
“Ma non si tratta del cliché cucina-moda”, premette Bottura. “In questi due anni ho constatato una cosa importante: che Gucci sta lavorando esattamente come noi in Francescana, con la stessa filosofia. Guardando il passato e analizzando gli archivi, per scegliere dettagli da portare nel futuro. Entrambi consideriamo le rispettive tradizioni in chiave critica, non nostalgica. Condividiamo le stesse ossessioni, e mi riferisco anche a Maserati, che con la tecnologia avveniristica perpetua le linee di sempre. Questo è fondamentale per un Paese come il nostro. Noi non possiamo seguire i trend, perché siamo il passato e dobbiamo creare il futuro rompendo gli schemi. Abbiamo 2000 anni di storia, che vanno filtrati e analizzati per portare il meglio con noi.
Gucci vende un sogno, come la Francescana. E non c’è prezzo che tenga: la gente vuole comprare proprio quello”.
UN ALTRO RINASCIMENTO
Il risultato è un tripudio di italianità cosmopolita, perché Firenze è da sempre un centro di scambio culturale, a cominciare dal Rinascimento. Tanto che versi della Canzona de’ sette pianeti di Lorenzo De’ Medici sono riprodotti alle pareti in caratteri dorati. E questo, dice Bottura, è anche il momento di un altro Rinascimento, che riguarda la cucina italiana. Tutto è artigianale, fatto a mano, preziosamente nostro: le boiserie, i manichini dipinti, la carta da parati. Né la scelta dei piatti poteva essere casuale: è caduta su Richard Ginori, acquisita da Gucci qualche anno orsono. “Ed è stato il grandissimo lavoro degli ultimi due anni, cominciato nell’ambito di piccoli eventi in Francescana. Mi ero stancato di vedere in giro questo minimalismo, banalizzato e scimmiottato alla ricerca del consenso. Avevo voglia di riscoprire la classicità, ma filtrata da un cervello contemporaneo. La cucina deve essere buona e sana, poi c’è tutto il resto: l’arte, le mie passioni, la musica, il design”.
IL MONDO ARRIVA IN TOSCANA
Il concept è chiaro: “vieni nel mondo con me”. Senza nessun riferimento alla Toscana, almeno per ora, la carta alterna piatti ispirati alle cucine di tutto il mondo, dalla Cina agli Stati Uniti, all’America Latina. Al timone del resto c’è Karime Lopez Kondo, giovane cuoca messicana, già spalla di Virgilio Martinez al Central di Lima, passata per il Pujol e il Ryugin, qui chef per la prima volta; mentre la pasticceria è opera di Tamara Rigo, già in forze al St. Hubertus. “Perché le donne hanno una sensibilità particolare”, dice Bottura, allievo devoto di Lidia Cristoni.
La Toscana è piuttosto nel mercato, dove Karime sceglie i suoi prodotti: il pesce del Tirreno e gli ortaggi dei contadini, che guarniscono le carni di Simone Fracassi. “Soprattutto tagli poveri: la chianina c’è, ma rimacinata e nascosta dentro un hot dog; i piatti principali sono il baccalà e la lingua, ed è un messaggio di rottura in un santuario della moda, dove tutti cercano di essere fit per centrare la taglia. Invece è passato senza fatica”, prosegue Bottura. “La Francescana resta il nostro laboratorio di idee, a partire dal quale sviluppiamo tutto il resto. Se ogni giorno non sfamassimo 120 dipendenti, non saremmo mai arrivati ai refettori, che presuppongono l’esperienza delle nonne, capaci di riciclare ogni scarto”. In questo caso la cucina opera una coalescenza fra motivi di via Stella e di via Vignolese: arriva dalla Franceschetta in particolare il goloso street food emiliano. Ma su tutto aleggia la sensibilità di Karime, le cui origini latine spandono un’aura incantata. Quel sentimento di real maravilloso, “che incontriamo allo stato bruto, latente, onnipresente in tutto ciò che è latinoamericano, dove l’insolito è quotidiano e lo è sempre stato”, scriveva Alejo Carpentier. In cucina e non solo, le aree periferiche sono le riserve di magia del vecchio mondo. Ma colpiscono anche la qualità e la chirurgia delle esecuzioni, precise come nelle migliori brigate. La carta si compone di 13 piatti, di prezzo compreso fra 15 e 30 euro, 3 contorni al costo di 10 euro e 5 dessert da 15; la carta dei vini conta una ventina di etichette selezionate con l’aiuto di Giuseppe Palmieri. Ma la formula è in progress. È tanto latina nel suo schema quando botturiana per eleganza e potenza la tostada, antipasto che Karime ha messo a punto al mercato: in cerca di pesci sostenibili per un ceviche, vi ha scelto palamite locali, la cui polpa, dopo una leggera marinatura al lime, viene servita con una tostada di mais lavorato con la calce, impastato, lasciato riposare, fritto e messo nuovamente a riposo, come si fa solamente in Messico.
I PIATTI SUI PIATTI GINORI
La Caesar salad in Emilia, ossessione di Bottura, trova in Piazza della Signoria una veste nuova: il cespo di insalata è farcito con gli ingredienti tipici della ricetta: acciuga, maionese all’acciuga, tuorlo pastorizzato, crostini di pane e Parmigiano croccante metamorfizzati in leggerissime farfalle che sembrano levarsi in volo dal decoro Richard Ginori. Real maravilloso in senso stretto. Il risultato è una sfogliatura d’acqua, che consente di apprezzare la masticazione del vegetale in purezza, senza mascheramenti.
Oppure lo street food italiano. L’hot dog di chianina come l’Emilia Burger e il Taka bun, panino al vapore farcito di cavolo acidulato con yuzu e aceto di lampone, coriandolo, mela rinfrescante e pancia di maiale al miso, vaporoso omaggio a David Chang. In tutti i casi, giura Bottura, il segreto sta nelle proporzioni: “L’ho capito guardando un filmato di Andy Warhol. Davanti alla camera fissa, si mette a sedere e tira fuori il suo burger con la faccia annoiata, inizia a mangiare e dopo due bocconi è già stanco, allora toglie metà del pane, lo arrotola, raddoppia le proporzioni del ripieno e finisce. Solo chi sa mangiare può fare una roba del genere”.
Fra i primi ecco gli ormai iconici tortellini alla crema di Parmigiano Reggiano; una pasta spezzata al fondo di pesce ispirata a Gennaro Esposito, sulla rotta verso Marsiglia e la bouillabaisse; il risotto mari e monti con il battuto di scampi alla base, il dashi di funghi in cottura, la mantecatura all’extravergine, i chiodini tostati e l’aria delle teste dei crostacei. Mare sopra e sotto. “Il messaggio più importante però sta nella scelta dei tagli, la pancia di maiale come la lingua, uno dei miei ingredienti preferiti. Sono nato con il quinto quarto e come qualsiasi cuoco so che trattato nel modo giusto vale tutto. In questo caso la carne è marinata leggermente, cotta sottovuoto, porzionata e laccata”. Effetto cremino, viene impiattata con un finto occhio di bue di crema di topinambur e gel di tuorlo (in ossequio alle usanze latine di accostare carne e uova), verza brasata e tostata sulla base di una salsa acida alle erbe aromatiche. E sono straordinari i dessert. Il sorbetto al mandarino con insalata di frutta, dove la mela del Trentino incontra gli agrumi del Meridione, impalpabile nel panneggio dei suoi veli; la cheesecake all’amarena, che rimanda al frutto di Modena, con un sorbetto acidulo, il dolce e la spuma leggerissima alla vaniglia; Charlie Marley, omaggio a sorpresa al figlio di Bottura, a base di nocciole, cioccolati, fave di cacao e arancia.
GUCCI OSTERIA DA MASSIMO BOTTURA
Piazza della Signoria, 10 – Firenze
Tel. 055 7592 7038