È il personaggio più controverso del panorama cheffologico italiano. Apripista nella rassegna dei cuochi televisivi, è probabilmente tuttora il più noto presso il grande pubblico che lo odia o lo ama, ma che non rimane mai indifferente alle sue provocazioni, prima tra tutte quella contro la pratica alimentare vegana (rimasta famosa la frase:” I vegani sono una setta. Li ammazzerei tutti!” pronunciata con la consueta, incontenibile irruenza) ma anche quelle contro gli allevamenti intensivi degli animali, l’uso dei miglioratori nel pane, l’abuso delle cotture a bassa temperatura, la dominazione del pomodoro urbi et orbi, e oggi quella contro la “fake cuisine”, ossia contro quel tipo di cucina finta, fatta di effetti speciali ma di poca sostanza.
E di poca conoscenza e rispetto delle nostre materie prime, di cui invece lui è uno dei massimi esperti.
Ma non solo di quelle. Memorabile una puntata di Masterchef dove Vissani era stato invitato come giudice aggiunto: mentre il trio Cracco, Barbieri e Bastianich si esibiva nel consueto copione (benevolo apprezzamento del piatto realizzato dal concorrente, o plateale disprezzo) il Maestro affondava la sua lama critica in ogni singolo elaborato, spiegando tecnicamente e con precisione chirurgica perché, per esempio, una preparazione era talmente sbagliata da non dover nemmeno essere ammesso in giudizio. Spiegava, invece di limitarsi alla scena.
Il cuoco di Baschi che, con Marchesi (ma in modo totalmente differente da lui), ha completamente rivoluzionato la cucina italiana sia nei contenuti che nell’estetica, è infatti innegabilmente una delle figure professionalmente più competenti nel mondo del food.
E uno dei più prolifici, grazie ad una inesauribile e connaturata .
Chi, malignamente, lo definisce “superato” rispetto alle stelle del momento, non riesce a percepirne la complessità concettuale, l’originalità strutturale ed esecutiva delle sue proposte, la modernità costante e al passo con i tempi.
Perché lui è sempre avanti: acutissimo osservatore, finissimo esteta, Torquemada contro usi e costumi poco eleganti sia nei ristoranti che nei clienti di cui bolla le superficialità e l’insipienza con inaspettata vis comica, Vissani ha una naturale propensione per i cambiamenti, per le novità, per l’evoluzione delle cose.
Eppure né questi fattori, né la raffinatezza sempre aggiornata del suo ristorante, né il servizio impeccabilmente gestito dal figlio Luca, la perfetta orchestra della cucina, la sontuosa cantina, le poche stanze ospitali, gli sono valse negli anni l’assegnazione della terza stella e francamente questa è una delle più scandalose posizioni della Rossa francese, pervicacemente mantenuta negli anni.
La ruvidezza dei modi e la discussa popolarità del soggetto non giustificano in alcun modo quello che appare come un palese e ingiustificato affronto al protagonista della nostra migliore cucina. Lui sembra non curarsene, ma preferiamo non riportare qui i coloriti epiteti con cui bolla certe classifiche gestite con colpevole e miope parzialità. Ormai, in tutti questi anni sempre sulla scena sia come cuoco eccellente che come scomodo (e per questo seguitissimo) opinionista, ha comunque imparato una certa politica del mestiere, lui che proprio dalla politica (pleonastico ricordare il “risotto di D’Alema”) era stato messo in vista agli albori della sua brillante carriera.
In fondo tutti i cuochi oggi famosi devono ringraziare quel risotto, prodromo proprio della loro popolarità attuale.
Come si rapporta lui con il mondo degli italici cucinieri?
“Sono sempre stato un outsider, un cane sciolto, un battitore libero – ci risponde con la consueta franchezza – Ho provato, negli anni passati, ad inserirmi in organizzazioni o associazioni di categoria, ma mi sono reso conto che ogni confine mi sta stretto, mi limita, si contrappone al mio bisogno di assoluta indipendenza. Difficilmente mi si potrà imbrigliare nelle logiche o nelle ideologie altrui e non perché io sia per definizione un bastian contrario, bensì perché ho bisogno della mia autonomia di giudizio, senza compromessi”.
Tu che hai aperto le porte della televisione per far entrare la cucina da protagonista, come giudichi oggi l’apporto dei tuoi colleghi?
I cuochi che impazzano oggi in TV rischiano la sovraesposizione e il conseguente rigetto. La loro immagine rischia di esaurirsi in fretta. E quando stanchi, scompari!
Ma non ti sembra un po’ una contraddizione la tua, visto che sei sempre in qualche trasmissione?
No, perché quando intervengo come cuoco, faccio il mio lavoro e non lo spettacolo. Il problema di molti format, Masterchef in testa, è quello di favorire lo spettacolo, la competizione, l’esibizione dell’ansia dei partecipanti. Alla fine i telespettatori, non essendoci focus sul piatto, non capiscono assolutamente com’è fatto e non ne conservano il ricordo. Il messaggio che ne deriva è fuorviante, soprattutto per i giovani che credono che davvero un grande piatto si faccia in un’ora, col solo supporto di una creatività spesso mal gestita, mancando delle basi necessarie.
Io invece ho sempre cercato di spiegare ogni ricetta, a partire dalla scelta degli ingredienti, per poi passare alle tecniche di cottura.
Un tuo giudizio sulla ristorazione di oggi?
È una bufala. Una presa in giro. Alimenta un sistema artefatto, pieno di falsità e sovrastrutture, minato da interessi che poco hanno a che fare con la bellezza della nostra professione. Il fatto è che ormai il danno è fatto e difficilmente si potrà tornare indietro.
Non ti sembra di essere troppo duro?
No. Vedrai, il tempo mi darà ragione.
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