A una velocità mai vista nella storia, il clima sta cambiando. Il settore che maggiormente soffre a causa di tali stravolgimenti è quello legato alle risorse della Terra, lo stesso da cui l’uomo dipende per la sopravvivenza: l’agricoltura in tutte le sue forme, viticoltura compresa. L’attuale fragile alleanza tra uomo e natura, infatti, desta oggi grande preoccupazione tra i produttori in tutto il mondo e i rimedi per contrastarne gli effetti sono ampiamente dibattuti.
Conseguenza diretta di un simile scenario è la perdita del terroir per la viticoltura, ovvero dell’agro-ecosistema in cui suolo, sottosuolo, paesaggio, biodiversità e clima, assieme alle tecniche agricole consolidatesi in quel determinato contesto, permette alla vite di sviluppare acini con qualità irripetibili altrove. Una singola modifica di ciascuna delle variabili che compongono il terroir, si traduce in un cambiamento profondo nelle espressioni del vino. Un genius loci, quindi, che sta lentamente scomparendo.
Gli effetti sulla qualità e la resa sono purtroppo ben noti: le temperature elevate hanno accelerato il processo di maturazione dell’uva, troppo zuccherina ma poco acida e poco aromatica, portando anche a un inaridimento eccessivo e a un calo della qualità.
Allo stesso tempo, l’aumento degli eventi meteorologici estremi, come le tempeste e le grandinate, associate a periodi di siccità senza fine, minacciano la sopravvivenza dei vigneti stessi.
Le sfide del cambiamento climatico hanno spinto i produttori a ribaltare le pratiche agronomiche ed enologiche proponendo nuove strategie innovative con l’introduzione, anche, di varietà resistenti.
Rimedi quindi il meno impattanti possibile per spezzare il circolo vizioso dell’inquinamento che porta a stravolgimenti climatici dannosi.
La qualità dell’uva passa per la qualità dell’ambiente e la qualità dell’ambiente dipende dalle sue risorse, le stesse utilizzate dal viticoltore per ottenere i frutti migliori. E l’interesse vira così anche all’attenzione per un’etichetta “eco-friendly”, per direzionare il consumatore a una scelta più consapevole.
Dati e risultati di ricerca sul cambiamento climatico
Il futuro del vino, dunque, si incontra a metà strada tra tradizione e necessità di adattamento, o per meglio dire, resilienza e innovazione finalizzati alla tutela della biodiversità.
Da un recente studio condotto nel 2016 da Benjamin Cook della Columbia University e Elizabeth Wolkovich di Harvard, sono stati esaminati oltre 400 anni sulla produzione di uva in Francia e Svizzera.
Esiti che hanno annunciato un evidente cambiamento climatico già a partire dagli anni Ottanta.
Ma non solo. Secondo uno studio dell’Istituto nazionale francese della ricerca agronomica (Inra), un aumento di due gradi centigradi entro il 2050 potrebbe portare alla scomparsa del 56% delle regioni vitivinicole attuali, mentre un aumento di quattro gradi entro il 2100 potrebbe comportare la perdita dell’85% di queste aree. L’Italia e la Spagna vedrebbero rispettivamente il 68% e il 65% delle loro aree viticole colpite.
Gli agricoltori rispondono con nuove e diverse strategie, riducendo la sfogliatura e ritardando la potatura, per limitare l’esposizione dei grappoli al sole e ridurre la temperatura delle uve. In più, l’utilizzo di sostanze come il caolino, utile per la rifrazione della luce solare, e l’uso di reti filtranti per la riduzione dell’irraggiamento diretto, l’inerbimento tra i filari e l’irrigazione di soccorso sono altri strumenti utilizzati per contrastare il riscaldamento sono solo alcune delle pratiche adottate.
Per le nuove vigne invece, si stanno studiando portainnesti più resistenti allo stress idrico e si considerano orientamenti diversi dei filari e l’uso di terreni con buona disponibilità di acqua.
La ricerca genetica, quindi, sta esplorando la creazione di nuove varietà di vitigni ibridi, con caratteristiche che favoriscono la resistenza alle malattie, la tolleranza al calore e una migliore acidità.
Il cambiamento climatico in Italia
L’Italia, che un tempo dominava la classifica dei produttori di vino, ha perso il suo posto di rilievo a favore della Francia. I dati relativi a quest’anno segnano un calo drammatico e preoccupante per l’industria vinicola italiana, con una produzione che non è stata così bassa negli ultimi sei anni.
Il 2023, difatti, si è rivelato un anno estremamente complicato per i viticoltori italiani, con una produzione che è scesa drasticamente al di sotto dei 44 milioni di ettolitri. Le condizioni climatiche estreme e l’insorgere di malattie fungine hanno devastato i vigneti, portando a una flessione del 12% rispetto alla vendemmia del 2022.
Le sfide poste dalle condizioni climatiche sempre più estreme e l’insorgere di malattie fungine hanno messo a dura prova i viticoltori italiani, creando una situazione difficile e incerta per il settore vinicolo nazionale. La speranza è che con strategie innovative e un adattamento continuo, l’industria vinicola possa superare questo periodo difficile e recuperare la sua stabilità produttiva.
Nel mondo, spopolano le varietà Piwi che rispondono al cambiamento climatico
Una delle strade più battute e che sta conquistando sempre più consensi è quella del miglioramento genetico della vite. In pratica si arricchisce l’espressione di determinati geni permettendo alla pianta di sviluppare una resistenza agli attacchi patogeni senza comprometterne qualità e capacità produttiva.
Il miglioramento genetico, non è una novità: dalle scoperte di Mendel in poi, l’ibridazione è stata largamente sfruttata in viticultura.
In Italia, un imponente studio fu condotto a Conegliano negli anni 20’ del secolo scorso con l’obiettivo di combinare la resistenza delle verietà americane alle caratteristiche positive delle varietà europee con la speranza di tornare a una viticoltura a piede franco. Oggi, varietà resistenti come Merlot Kanthus e Merlot Khorus sono state inserite nell’albo regionale dell’Emilia-Romagna per la produzione di vino da tavola o IGT. Altri vitigni resistenti sono stati selezionati nel Trentino nel quadro del progetto Vevir.
In Austria, circa l’1,5% della superficie vitata coltiva varietà di uva resistenti, mentre in Francia l’Institut National de la Recherche Agronomique (INRA) sta spingendo verso vitigni resistenti, con un programma che mira a coltivare varietà multiresistenti entro il 2030. Questo programma coinvolge tutte le principali aree di coltivazione in Francia, e quattro varietà resistenti ai funghi sono state inserite nel catalogo varietale nazionale nel 2018.
In Champagne, vitigni con geni di resistenza sono stati piantati nei vigneti sperimentali, e l’associazione dei produttori di champagne ha approvato l’utilizzo di un vitigno resistente fino al 5% dei loro vigneti.
Negli Stati Uniti, l’Università del Minnesota ha sviluppato varietà resistenti all’inverno, mentre in Germania, vitigni come Felicia sono resistenti all’oidio, alla peronospora e al marciume nero, con la coltivazione che copre circa il 2,5% della superficie vitata. Inoltre, concorsi enologici come il “Varietà d’uva nuovi/ innovativi” in Austria stanno promuovendo vini di varietà resistenti, riflettendo l’interesse crescente verso questi vitigni.
Un’opportunità quindi a chi tende la mano a una viticoltura libera dalla chimica, ma il ruolo del viticoltore e il suo approccio alla corretta gestione del vigneto, resta centrale.
[Questo articolo è tratto dal numero di gennaio-febbraio 2024 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]