Vive sospeso tra i sogni del Chelsea Market e la geometria della Mole, che si trova a pochi passi dal suo ristorante. E’ un creativo puro che ha molto visto e molto viaggiato, che piace e si piace; tuttavia non cerca ossessivamente i riflettori. Forse devono essere i riflettori a cercare lui, perché gli piace molto anche parlare, ma essendo consapevole dei propri mezzi sa che le parole più significative provengono dalla sua cucina, così vibrante, contemporanea ed estemporanea. Marcello Trentini è una fucina di idee, sforna ricette in continuazione, se non fosse per pochi classici sempre in carta, ogni giorno sarebbe diverso dall’altro. Non si bagna mai due volte nello stesso fiume, un po’ per indole, un po’ per educazione. E’ pollockiano, elabora infinite variazioni di colore, la sua ispirazione è fluida come un “dripping”, le sfumature sono sempre simili ma diverse.
Ha iniziato nel 2003 insieme alla moglie Simona nei locali attigui all’insegna attuale, che da pochi mesi ospitano un elegante cocktail bar travestito da speakeasy, dove spiccano le eccellenti torte salate di Filippo Novelli e la mixology di Carlotta Rubia. “Oggi il Mago ha raddoppiato”, dicono in città. In verità, non ha solo raddoppiato gli spazi, in quindici anni ha implementato le idee, ha traslato nel suo ristorante un laboratorio newyorchese di quadri, sagome, installazioni in continuo movimento. Il “Mago” ama il multiculturalismo degli States, ma è profondamente sabaudo.
Non sono due anime in contraddizione, ma in continuità. Vinicio Capossela cantava il Tanco del Murazzo, ritratto del primo laboratorio urbano della Torino contemporanea: “Il tipo aspetta dietro il ponte senza fretta, il fiume è giallo, lento fango d’Orinoco scorre tra i fuochi, gli spacci, il mangiafuoco scende il murazzo, c’è una macchina bruciata, kebab arrosto e folla a grappoli in parata, le ragazze aspettano di uscire fuori per ballare e intanto provano le scarpe nuove e ridono da sole”. Marcello Trentini è un po’ questo, un po’ un cantastorie a tinte rock, un possibile Lou Reed torinese.
A lato il cocktail bar, a un angolo di Corso San Maurizio il nuovo ristorante: un’anticamera, un’elegante sala arredata con toni urban-chic, un tavolo conviviale con vista cucina e l’immancabile affresco che richiama la Grande Mela, centro del mondo.
Le radici, però, sono profondamente piemontesi, non solo perchè da queste parti si confezionano gianduiotti di foie-gras come amuse bouche e si fa un utilizzo importante di vermuth anche in cucina. “Magorabin era il folletto che da queste parti i genitori invocavano quando i bambini si comportavano male. Il classico spauracchio. Ci dicevano “guarda che arriva il Magorabin!” . Così Marcello Trentini nel 2003 ha deciso di essere, in qualche modo, lo spauracchio, il diverso, in una città che era ancora tutta tajarin, bagnèt verd, finanziera.
E’ cresciuto negli anni, nel 2016 ha ottenuto la prima stella, non nasconde ambizioni di seconda.
“Siamo cresciuti costantemente, la sala e la brigata funzionano all’unisono, abbiamo sempre reinvestito tutti gli utili nel locale, la clientela è variegata, ho un repertorio davvero ampio… non vedo perché non dovrei pensare in grande” dice con una punta di orgoglio. Come dargli torto?
Ti accoglie nell’anticamera con un aperitivo a base dell’immancabile vermuth e racconta le origini: “Provengo da una famiglia mediamente benestante, ho frequentato il liceo artistico e all’inizio non avrei mai immaginato di diventare cuoco. Dopo la maturità ho scoperto che questo mestiere era un ottimo viatico per viaggiare nel mondo. Ho visitato vari paesi prestando servizio nelle più diverse tipologie di ristorante. Siccome sono metodico per natura, mi sono reso conto di avere una naturale predisposizione per far uscire contemporaneamente un gran numero di piatti, e così ho capito che avrei potuto farne un mestiere. Non ho avuto grandi maestri, quando sono tornato in Italia ho deciso che avrei aperto il mio ristorante il prima possibile e, semplicemente, mi sono messo a studiare”. Alla domanda “qual è la tua principale fonte di ispirazione?” risponde seccamente “me stesso e i miei viaggi”, lasciando intendere di aver sempre cercato una propria strada maestra. In effetti, la cucina di Trentini è un vasto pout-pourri di riferimenti culturali. Seduti al tavolo conviviale, con un blando sottofondo costante di classici del rock anni ’70, da Iggy Pop ai Led Zeppelin, in preziosi contenitori a forma di scatola, sfilano pregevoli amuse-bouches, su tutti i tacos di pelle di pollo, biete e maionese all’arancia e il gianduiotto al foie-gras.
L’inizio vero e proprio è affidato alla finanziera di scampi, tanto per non far sorgere dubbi sulle radici piemontesi. Un cuoco che si rispetti non può far mancare la scaloppa di foie-gras, che Trentini presenta con carciofi e oliva taggiasca (accostamento che forse non contempera alla perfezione l’amaro del carciofo con la dolcezza della taggiasca) e nemmeno un tocco di caviale, accoppiato a rombo e salsa olandese. Un classico inamovibile dalla carta è la tartare di gamberi e lingua al mandarino, un piatto elegante e bipartito in due, con una doppia anima che si fonde in un unico boccone.
Non manca nemmeno la capasanta esaltata da un incontro nippo-franco-torinese, fondo di volaille allo yuzu e tartufo al Vermuth. Un probabile futuro classico è l’eccellente risotto mantecato a tre burri con petto di piccione alla brace, con un punto di affumicatura perfetto. L’anatra con semi e rape è forse più ordinaria, ma manifesta l’interesse spiccato di Trentini per l’elemento vegetale che non serve da un mero accompagnamento cromatico alla carne. Prima dei dessert, immancabile l’agnolotto pizzicato torinese nel tovagliolo.
Gli abbinamenti sono di pregio, e non solo enologici: Simona prepara apposite tisane e kombucha, per non appesantire d’alcol il cliente.
L’Universo del Mago è tuttavia amplissimo, non riconducibile all’elenco esemplificativo di piatti di cui sopra. Al cocktail bar si è aggiunta in questi giorni l’apertura di una bottega di ispirazione veg all’interno del nuovo Mercato Centrale di Torino. Si chiama Fata Verde, e rappresenta l’anima femminile del Mago.
A questo punto, siamo pronti per nuove, stimolanti sorprese del folletto torinese.