
I cibi da consumarsi crudi sono, per l’operatore del settore alimentare, quelli che probabilmente nascondono maggiori insidie e che pertanto necessitano di competenze specifiche e dell’adozione di una serie di doverose precauzioni.
Tra questi alimenti la carne ed il pesce meritano una particolare menzione. Questi cibi necessitano, prima del consumo, di differenti trattamenti anche termici, ciò nella consapevolezza che il mantenimento della catena del freddo rappresenta uno dei principali presidi di sicurezza alimentare e quindi di tutela della salute del consumatore.
Le carni congelate o surgelate, usate per la produzione di carni macinate o preparazioni di carni, devono essere disossate prima del congelamento e possono essere immagazzinate soltanto per un periodo di tempo limitato.
Qualora siano preparate con carni refrigerate, le carni macinate devono essere lavorate, nel caso del pollame, entro un periodo massimo di 3 giorni dalla macellazione; nel caso di animali diversi dal pollame, entro un periodo massimo di 6 giorni dalla macellazione, oppure entro un periodo massimo di 15 giorni dalla macellazione degli animali per le carni bovine disossate e imballate sottovuoto.
Immediatamente dopo la produzione, le carni macinate e le preparazioni di carni devono essere confezionate o imballate ed essere refrigerate a una temperatura interna non superiore a 2 ºC per le carni macinate e a 4 ºC per le preparazioni di carni; oppure congelate a una temperatura interna non superiore a – 18 ºC.
Vi è poi una distinzione di trattamento termico relativo alla produzione ed utilizzazione delle carni separate tecnicamente a seconda che queste siano prodotte con tecniche che non alterano oppure che alterano la struttura delle ossa utilizzate per produrre le stesse e il cui tenore di calcio non sia molto più elevato di quello delle carni macinate.
Nel primo caso, se le carni non sono utilizzate immediatamente dopo essere state ottenute, queste devono essere confezionate o imballate e successivamente refrigerate a una temperatura non superiore a 2 ºC o congelate a una temperatura interna non superiore a – 18 ºC.
Nel secondo caso, invece, se la separazione meccanica non avviene immediatamente dopo il disosso, le ossa carnose devono essere immagazzinate e trasportate a una temperatura non superiore a 2 ºC o, se congelate, a una temperatura non superiore a – 18 ºC.
Le ossa carnose ottenute da carcasse congelate non devono essere ricongelate.
Ricca è la casistica giurisprudenziale riguardante la violazione dei suddetti precetti e la cattiva conservazione degli alimenti.
I CASI DI CONDANNA DEGLI ESERCENTI: LA TORTA PORTATA DAGLI SPOSI E LA CARNE CRUDA
La Corte di Cassazione si è più volte espressa, anche recentemente, condannando diversi operatori del settore alimentare, ai quali erano stati trovati alimenti contaminati da salmonella, per il reato previsto dall’articolo 5 della legge n. 283/1962 riguardante il divieto di vendere, utilizzare nella preparazione di alimenti o somministrare sostanze mal conservate, con cariche microbiche non consentite, insudiciate o invase da parassiti.
Nel caso esaminato alla sentenza n. 27541/2020, 37 persone, poche ore dopo aver partecipato ad un banchetto nuziale presso un ristorante, avevano accusato gravi disturbi gastro-intestinali e/o erano risultate affette da salmonellosi.
Al ristoratore è stata contestata la violazione del sopracitato articolo 5 della legge n. 283/1962.
Il ristoratore sosteneva la propria innocenza sul presupposto che i partecipanti al banchetto nuziale avevano mangiato, oltre ai cibi preparati dal ristorante, anche una torta nuziale portata da uno degli invitati e, quindi, non vi era certezza su quale cibo avesse causato la salmonellosi.
Inoltre, contestava la mancanza di adeguate analisi e verifiche tecniche atte a individuare il cibo causa del problema e il suo effettivo stato di conservazione, nonché l’esito positivo della verifica ispettiva effettuata nella cucina del ristorante da cui non era emersa alcuna irregolarità.
La Cassazione ha ribadito il consolidato principio di diritto secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di cui alla legge n. 283/1962, art. 5, comma 1, lett. b), il cattivo stato di conservazione degli alimenti può essere accertato dal giudice di merito senza necessità del prelievo di campioni e di specifiche analisi di laboratorio, purché sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione raccolta e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti e dei testimoni, essendo lo stesso ravvisabile, in particolare, nel caso di evidente inosservanza delle cautele igieniche e delle tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione (Cass. n. 2690/2019).
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11246/2020 riguardante il caso di una macelleria che deteneva carne cruda contaminata da salmonella, ha stabilito il principio di diritto per cui non vi sono limiti di tollerabilità alla presenza della salmonella. In questo caso, tuttavia, non si è accertata la responsabilità dell’operatore del settore alimentare in quanto non ne venne rinvenuta l’origine della contaminazione e neppure il nesso causale tra la condotta tenuta dal macellaio e la presenza di salmonella nella carne.
Sempre la Suprema Corte, con la sentenza n. 19179/2015, ha condannato un ristoratore per aver mal conservato alimenti sebbene il ristorante si trovasse in un periodo di momentanea chiusura al pubblico.
Nello specifico, i cibi rinvenuti all’interno di un frigo congelatore erano invasi da muffe e privi di protezione.
Alla luce delle suddette pronunce si può affermare che la presenza di salmonella nei locali dell’operatore non è mai tollerata, ma quest’ultimo, dimostrando di avere adottato ogni precauzione idonea a prevenirla, può esonerarsi da responsabilità.