Le imprese italiane nel campo della Ristorazione sono affette da Nanismo Imprenditoriale. Sono piccole, artigiane, a conduzione familiare e quindi… fragili. Rischiose. Persino pericolose. Non è un tema che riguarda solamente la ristorazione, ma tutto il tessuto imprenditoriale italiano. Tanto che la definizione non è certo mia, ma di intellettuali di ben altro calibro.
Ma cosa si intende per “nanismo imprenditoriale” nel campo della ristorazione? Certo, ci si potrebbe fermare ai due termini che lo compongono, ma trovo che ci siano due indizi che possano aiutare chi legge a capire se anche la propria impresa ne è affetta. Eccoli.
Indizio numero uno: l’assenza di struttura
Com’è composto l’organigramma di un ristorante medio in Italia? La forma è quella di una piramide con due scalini:
1. Un vertice, nel quale c’è il titolare e qualche famigliare o direttamente la famiglia tutta (un vertice molto affollato!).
2. E una base composta da tutto il resto dei dipendenti.
Cosa manca? Manca la struttura manageriale, che si frappone tra il titolare e i dipendenti. Mancano i manager, il collante tra il vertice e la base.
In una struttura normale, funziona così:
1. Il vertice pensa.
2. La struttura intermedia fa fare.
3. La base fa.
Si badi bene: ogni ruolo ha pari dignità e pari importanza, perché senza nessuno dei tre il meccanismo regge. E la gerarchia è solamente formale, per semplificare.
Invece nella stragrande maggioranza delle imprese ristorative in Italia, i ruoli sono confusi, disordinati e caotici, con il risultato che tutti fanno tutto e quindi nessuno si occupa di portare avanti l’azienda.
Indizio numero due: fatturati e volumi piccoli
In altre parole, le attività italiane di ristorazione non sanno come acquisire un numero sufficiente di clienti, quindi non riescono a generare fatturati sufficienti per investire in struttura e quindi uscire dalla condizione di Nanismo.
I clienti sono la linfa vitale di qualsiasi attività. Devono essere tanti, copiosi e arrivare in abbondanza.
Il Nanismo Imprenditoriale è figlio anche e soprattutto di fatturati piccoli, che mettono in serio pericolo la stabilità di un’azienda nel campo della ristorazione.
Fatturati piccoli significa mancanza di fondi da investire in struttura, innovazione, produzione, marketing. Senza fatturati, tutto il meccanismo si inceppa.
Qual è quindi la soluzione al nanismo imprenditoriale? Tutta la ristorazione italiana deve trasformarsi in una grande catena o tutti i ristoratori devono giocare a fare gli industriali? Ovviamente no. Il Nanismo Imprenditoriale si combatte, almeno secondo il parere di chi scrive, in tre punti:
1. Trasformando la propria realtà in un’azienda. Quindi creando una struttura solida, organizzata e coesa.
2. Facendo marketing, quindi acquisendo il controllo sull’acquisizione e sulla fidelizzazione di nuovi clienti, che genereranno i volumi e i fatturati necessari a coprire gli investimenti.
3. E infine… pensando in grande, addirittura sognando. Tutte le grandi imprese italiane (non solo nel campo della ristorazione) sono nate proprio da lì: da un grande sogno.
Esistono molti ristoranti che rispecchiano queste caratteristiche. E occorre seguire il loro modello per sperare di sopravvivere e prosperare in un mercato che si fa sempre più difficile e funesto.