L’amore. Il desiderio. La passione. La sfida… La vita, insomma. Con tutto il suo corollario di emozioni e di paure. Di gioie e di pensieri. Di eccitazioni e di turbamenti. Sono queste le storie belle, da raccontare. Che coinvolgono, e che mostrano come esistano ancora spaccati di questa nostra Italia ove il bello e il buono hanno un senso: un fine che non sia solo vacuità.
Un sogno che non sia solo vuoto utopismo.
Ebbene, chi volesse salire la dolce collina di Gabicce Monte, ultimo avamposto marchigiano che affaccia verso le brillanti luci della costa romagnola, potrebbe imbattersi in una di queste storie.
Protagonisti: tre ragazzi, giovani e belli. Luogo: un vecchio ristorante dalla impareggiabile vista. Dalla Gioconda si chiama questo luogo ‘magico’. Un nome evocativo, ma che non cela alcun omaggio al genio di Vinci: si chiamava Gioconda la donna che, a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, lì aprì una sua osteria. Pochi piatti, cucinati in modo casalingo: i sardoncini arrosto, gli spaghetti alle vongole, la piadina, la pizza. Il vino in caraffa. E tanta voglia di riscatto dopo il tempo terribile della guerra.
Gli anni Sessanta portano i turisti, e quel benessere economico che trasforma Gabicce: da piccolo villaggio di pescatori a rinomata stazione balneare. Nel locale della signora Gioconda arriva un juke box, e uno spazio della sala e del vasto impiantito scoperto viene adibito a dancing.
La musica si diffonde nell’aria di Gabicce, anche grazie alla nascita di quell’Eden Rock e di quella Baia degli Angeli che hanno portato questa piccola località a essere conosciuta come una delle capitali della musica.
IL NUOVO SORRISO DELLA GIOCONDA
I decenni passano. Gioconda non c’è più. I suoi figli e nipoti continuano a portare avanti l’insegna, divenuta nel frattempo un buon ristorante, noto per il suo pesce fresco e per la sua cucina tradizionale. Fintantoché di questo posto dalle mille e mille potenzialità inespresse si innamora Stefano Bizzarri che, insieme alla sua compagna Allegra Tirotti, decide di acquistarlo e trasformarlo in quel luogo che hanno sempre sognato: un luogo che parlasse di loro, del loro amore, dei loro sogni. Lui, laureato alla Bocconi e appassionato di mare e di botanica. Lei, laureata alla Marangoni, fashion designer di una notissima casa di moda milanese.
È il 2019, e l’insorgere dell’emergenza pandemica porta a procrastinare i lavori di rifacimento, avviati solo nell’autunno del 2020 e portati a compimento all’inizio dell’estate successiva.
La nuova Dalla Gioconda è un locale di indiscutibile fascino. Niente di sfarzoso e di curiale, perché paiono essere piuttosto il benessere, la confortevolezza e l’avvolgenza i fili conduttori che hanno guidato il ripensamento degli spazi interni ed esterni del ristorante. Che è ora un insieme articolato ma armonico di sale, terrazze, giardini, scale e gallerie, con grandi vetrate che si aprono sul panorama della riviera.
UN QUADRO SOSTENIBILE
Nel design ispirata agli anni Sessanta, la nuova Dalla Gioconda è però assai moderna perché tutto il progetto di recupero è stato improntato alla massima sostenibilità ambientale. Un dovere di queste nostre generazioni, nei confronti della nostra Terra, e di coloro che verranno dopo di noi.
Riscaldata attraverso la geotermia, Dalla Gioconda sfrutta questa fonte rinnovabile anche per il raffreddamento delle celle frigorifere che, a loro volta, immettono energia calda di scarto nel riscaldamento a pavimento, contribuendo a questo circolo virtuoso.
E ugualmente improntata al minor impatto è il recupero delle acque piovane in apposite vasche sotterranee, che servono per irrigare i giardini.
Ma il sogno – che non è quel vuoto utopismo tanto caro a quei rivoluzionari che sono sempre pronti a dire agli altri ciò che devono fare senza mai metterlo in atto in prima persona – prende forma anche in altro. Stefano, da vero amante delle onde, sa che uno dei pericoli più grandi per i mari arriva dalla plastica, che inquina e distrugge gli ecosistemi marini.
Dalla Gioconda deve quindi essere un ristorante plastic free: il primo ristorante plastic free in Italia! Un sogno che diventa realtà: la plastica monouso è stata completamente eliminata, cercando anche di responsabilizzare i fornitori a un uso più consapevole e di sensibilizzarli a utilizzare materiali compostabili.
La merce che arriva, infatti, è priva di imballaggi in plastica, privilegiando piuttosto cartone e vetro.
Poco distante un orto, presso il quale presto sorgerà anche un raffinato B&B, e una spiaggia completano il quadretto di questo piccolo universo, esempio positivo di voglia di sognare e di fare.
La scelta di vita di Stefano e Allegra si è ‘incontrata’ e ‘completata’ con un’altra: quella di Davide Di Fabio.
Dopo sedici anni passati ai fornelli, a fianco del sommo Massimo Bottura, fra le pareti dell’Osteria Francescana (ove è entrato appena diciannovenne), Di Fabio decide di lasciare Modena per le Marche, ove abita la sua compagna.
È qui che vuole vivere. Ed è qui che vuole proporre la sua cucina. Sogni che incontrano sogni. E che lo portano a una nuova sfida: guidare la cucina che fu della signora Gioconda.
IL MARE D’ITALIA 2.1
Conoscenze, mestiere e capacità tecniche, unite a un grande senso del gusto, non mancano a Davide. Così come matura intelligenza nell’interpretare un territorio ricco di prodotti e suggestioni che mutano con il trascorrere delle stagioni: il pesce su tutto, eppoi i prodotti degli orti e delle aie.
E quindi la razza Marchigiana e le carni ovine dell’entroterra.
E la caccia, i funghi, i pregiati tartufi bianchi…
Ebbene tutto ciò diviene panorama e orizzonte di una cucina fortemente espressiva, capace di manipolare con consapevolezza una materia prima ben selezionata, attenta all’equilibrio degli elementi nel piatto ma al contempo vivificata da centrate spinte amare e acide (e, difatti, una delle passioni di Di Fabio è l’aceto, che elabora personalmente) che allungano la complessiva persistenza gusto-olfattiva delle pietanze.
Già l’ouverture che può aprire il pasto – un trittico composta dal brodo di cozze alla marinara, dalla oliva à la royale e dal cetriolo in scapece – è in nuce una sorta di dichiarazione programmatica.
Il povero brodo di mitili, che nei suoi aromi racchiude, come la madeleine proustiana, tutto il mondo delle cucina di mare e delle trattorie della costa, fa da pendant a una ricca proposta d’alta scuola francese che rilegge un’oliva ripiena, come se fosse all’ascolana, di lepre à la royale.
Infine il cetriolo in scapece dilata al palato, in tutta la sua suadenza, la sua nota acido-aromatica.
È quindi nel “mare d’Italia 2.1” (ovvero la zona Fao 37.2.1: che corrisponde all’Adriatico) che si evidenziano la maturità, la conoscenza e le capacità del cuoco.
L’interpretazione del pescato locale, in una mimesi di quella che era la vecchia carrellata degli antipasti di mare (ove non mancavano mai, per esempio, i gamberetti in salsa rosa: ricetta che Di Fabio smonta e rimonta in uno stimolante remake), racconta la materia prima di giornata, vivificandola e valorizzandola in un sagace e intrigante gioco di accostamenti e di contrasti che si sviluppa a vari livelli (temperatura, consistenza, cromaticità, sensazioni gustative, profumi…).
La complessità della proposta è ulteriormente accentuata da altri due elementi, che peraltro ricorrono durante il pasto: la presentazione parcellizzata su più stoviglie (un’intelligente invito alla convivialità) e la finitura del piatto completata a tavola.
Un convincente incrocio di tradizioni e sapori (che legano idealmente Romagna, Russia e Francia) è la complessa “saraghina fac simile”, una proposta che riprendendo una tipica ricetta romagnola (la ‘cantarella’, una sorta di frittella preparata con l’impasto della piadina) non è altro che «il nostro modo di mangiare il caviale», dicono all’unisono Stefano Bizzarri e Davide Di Fabio.
La ‘cantarella’ si trasforma in un blinis, l’immancabile Squacquerone, montato con leggerezza, si sostituisce al burro acido, e la saraghina accompagna un principesco caviale Royal Siberian. Fra i primi piatti si segnala la “zuppiera”, ovvero pasta con brodetto di pesci dell’Adriatico.
Ma anche qui estro, conoscenze e capacità stravolgono, sempre tenendo ferma la barra sull’assoluta centralità del gusto, una pietanza ‘di tradizione’. «È tipico in Abruzzo – racconta Di Fabio, che in quella terra è cresciuto – condire la pasta con il sugo rimasto del brodetto. La mia è una moderna interpretazione».
Interpretazione che raccoglie anche una rivisitazione delle cosiddette ‘virtù’ teramane, ovvero un intingolo contadino ricco di ingredienti.
L’incontro tra queste due suggestioni ha portato a una pasta (in realtà più formati di pasta, come usanza vuole) condita con sugo di brodetto di pesce, sostenuta dai crudi dei medesimi pesci (leccia, canestrelli, bianchetti, gamberi rosa…), nappata da due salse: una di seppia e altra all’aglio dolce, tipo bourguignonne.
I secondi piatti si muovono fra pesce e carne, con una rana pescatrice gratinata alle erbe con misticanza e prezzemolo (piatto tutto giocato sulle consistenze e sul dialogo fra le tendenze dolci del pesce e la parte vegetale, con le sue tendenze amare e minerali) e un agnello “alla milanese” che riprende la classica cotoletta, accompagnato però da maionese al curry, ceci e menta.
Tutti magnificamente giocati su richiami dolci e amari sono invece i dolci, fra i quali spiccano la polifonica zuppetta di olive di Cerignola con frutto della passione, verbena, sorbetto amaro di arancia e Vermouth (da bis), e il goloso “dolce amaro al caffè”: savoiardo, gelato al caffè, fave di cacao, gavotte.
La cantina d’essai
Altro punto di forza della nuova Dalla Gioconda è la magnifica selezione di vini. La cantina, divisa in tre spazi differenti, nascosti uno dentro l’altro e ai quali si accede da ‘porte segrete’, mimetizzate fra gli scaffali, raccoglie molta Italia e Francia, con alcune ‘puntate’ anche in altre parti del mondo (fra cui la Germania, con i suoi Riesling mosellani, tanto amati da Davide Di Fabio).
Amplissimo è lo spazio dedicato alla Champagne, ove non mancano né le etichette più celebri e più costose né i produttori di nicchia.
Notevole anche l’assortimento di bianchi, soprattutto nazionali. Ma a stupire è, soprattutto, il magnifico assortimento di rossi bordolesi che si dispiega in numerose verticali dei cru più celebri. A sovrintendere a cotanto ‘ben di Dio’ è lo stesso Stefano Bizzarri che cura anche gli abbinamenti cibo-vino con competenza e passione.