Mauro Colagreco è riuscito a raggiungere le posizioni più alte della cucina mondiale e tre stelle Michelin. In questa conversazione esclusiva per La Madia, ci ricorda un po’ la sua storia.
Cresciuto nella città di La Plata, era solito trascorrere l’estate a Tandil, nella casa dei nonni che coltivavano un orto. Era lì che mangiava i pomodori colti direttamente dalla pianta. Diciannove anni fa, la decisone di inseguire il suo sogno e il trasferimento proprio nella culla della gastronomia mondiale, senza quasi conoscere il francese e senza risorse economiche. Ricorda che aveva con sé solo il numero di telefono dell’amico di un amico. Questo gli ha fatto capire fin dall’inizio che era da solo a vivere in un microcosmo estremamente autoreferenziale e dove lasciar spazio ad un outsider sarebbe stato quasi una vergogna. Ma ecco ad un tratto, e come sempre per caso, presentarsi una possibilità. Dopo cinque anni passati a lavare i piatti degli altri, dai discorsi di alcuni commensali trapela un’informazione: un ristorante chiuso ormai da anni apre a una possibile speranza. Si trova a Menton, dove il “bonjour” e il “buongiorno” si mescolano. Non era la migliore delle opzioni; non era da considerarsi centrale tutto ciò che non portasse clienti di passaggio. Aveva chiuso i battenti con una pessima fama addosso e non sarebbe stato facile recuperare affidabilità. Ma è quel panorama mozzafiato, quella vista che si gettava a picco sulla Costa Azzurra a proporre allo chef il matrimonio e a dare inizio così alla sua prima esperienza diretta.
Quello che è successo in seguito è ormai parte del mito che aleggia sullo chef argentino che suole definirsi un autodidatta e che è diventato il primo chef latino ad ottenere tre stelle Michelin, e il primo straniero ad ottenere il riconoscimento in terra francese.
Ha creato una tendenza: la cucina argentina con ispirazione mediterranea. Con questi presupposti si è spinto anche oltre le ripide montagne di Menton: il Four Seasons Resort a Palm Beach, Florida; Shangri-la Hotel a Pechino e la stazione sciistica sulle Alpi di Courchevel nell’Hotel Barriere Les Neiges hanno un ristorante che segue le sue indicazioni. All’interno dei confini argentini la sua luce brilla con “Carne”, mentre a Parigi “Abuelo” è la birreria che ha scelto di progettare nel quartiere di Marais.
L’INTERVISTA
Qual è il suo primo ricordo collegato alla cucina?
La raccolta nei campi di pomodori con mia nonna a Tandil, dove andavo per le vacanze, e la pasta fresca fatta in casa insieme a lei. Era nata a Bilbao ma era arrivata in Argentina quando aveva due anni e non era più riuscita a a far ritorno nella sua città natale. Il suo baccalà con ceci e patate era squisito.
Cosa mangiava in casa da piccolo?
Il puchero (bollito, ndr) di mia mamma. Ce lo preparava in inverno quando tornavamo dal collegio e faceva freddo.
C’erano ingredienti che non amava a quel tempo?
In realtà mia mamma era sempre molto premurosa e mi cucinava sempre piatti che mi piacevano. Era il suo modo di viziarci.
Come viene influenzata la sua gastronomia dalle sue diverse esperienza di vita?
Senza dubbio l’arricchiscono. Tutte le esperienze, belle o brutte che siano, aggiungono un tassello al mio stile. I primi anni della mia carriera in Francia non sono stati facili. Questo mi ha insegnato l’importanza di ogni piccolo gesto, di ogni dettaglio e soprattutto mi ha insegnato a evitare gli sprechi. Le esperienze come cuoco nelle cucine di Alain Ducasse, Alain Passard, Guy Martin mi hanno formato per lavorare in ogni situazione e in ogni tipo di ruolo in cucina. I continui viaggi per il mondo non fanno altro che alimentare la mia creatività!
Come si diventa leader in cucina? Quali caratteristiche occorre avere?
Passione, dedizione totale, umiltà, curiosità e sete di conoscenza, amore, costanza, pazienza. Ho avuto la fortuna di crescere professionalmente in Francia dove c’è molta attenzione verso la scelta del prodotto e dove concepisce la cucina come un processo che parte da un buon prodotto, e quindi tutto è molto più facile perchè non devi nascondere imperfezioni o potenziare sapori: il sapore è dentro il prodotto. Un pomodoro che è cresciuto sulla pianta, che lì è maturato, che non è stato contaminato da agenti agrochimici è completamente diverso e si sente, e tutto diventa più semplice e facile.
Come è riuscito a costruire uno stile proprio?
L’ho alimentato giorno per giorno, facendomi sempre la stessa domanda: è questo il meglio che posso fare? E continuo a far così.
Dove pensa che siano dirette le tendenze della gastronomia internazionale e, in particolare, le tendenze della sua cucina?
Sicuramente verso la ricerca della qualità e dell’eccellenza, in forme sempre più sostenibili.
Quali sfide affronta tutti i giorni nel suo ristorante?
Proprio questo, l’ecosostenibilità: la battaglia quotidiana contro l’uso della plastica, la ricerca di fornitori responsabili e la consapevolezza del mio staff. Chi intende unirsi alla famiglia del Mirazur deve attenersi a questi principi fondamentali.
Saprebbe differenziare queste sfide nella quotidianità nel Mirazur e in Carne?
Si tratta di due concetti fondamentelmente diversi. Carne mira all’eccellenza dell’hamburgher e assicura la continuità nella massima qualità nel suo prodotto di punta; Mirazur lavora con ingredienti diversi ogni giorno secondo la disponibilità del mercato. I piatti cambiano con il ritmo della natura e stiamo sempre creando nuove ricette.
Potrebbe formulare dieci aggettivi per lo stile della cucina che caratterizza il suo ristorante?
Legata alla natura, generosa, di condivisione, bella, frontaliera, ecosotenibile, saporita, inaspettata, allegra, avvolgente, seducente.
Potrebbe parlarci di cinque ingredienti o piatti che Le piace mangiare?
Gli agrumi, simbolo di Menton, il pomodoro, il cioccolato, i gamberoni di Sanremo, prodotti d’eccellenza del Mar Mediterraneo che si apre davanti al Mirazur, il formaggio di Sospel, paesino sulle Alpi Marittime che ha un sapore incredibile.
Se c’è stato un momento in cui è stato sul punto di gettare la spugna, cosa l’ha fatta tornare sui tuoi passi?
I sacrifici della mia famiglia, tutto ciò che io e i miei genitori abbiamo investito in questo percorso. Lo dovevo a loro e a me stesso.
C’è qualche traccia delle sue radici argentine che marca una differenza nella sua gastronomia?
Mi piace a volte aggiungere un tocco argentino in certi piatti, per ricordare le mie radici e per permettere ai miei clienti di conoscermi ancor di più. È una cucina personale, chi mangia al Mirazur mangia anche un pezzo della mia vita ed è questo che fa la differenza.
MIRAZUR
30 Avenue Aristide Briand, 06500 Menton, Francia
Tel. +33 4 92 41 86 86
www.mirazur.fr – reservation@mirazur.fr