
Uno di pilastri della cucina danese si basa sui prodotti di prossimità o di stagione, il che è esattamente la tendenza in atto in tutto il mondo della ristorazione: kilometro zero e colture del territorio rappresentano ormai valori imprescindibili sia per la tutela dell’ambiente, che delle biodiversità locali.
In questo contesto, due sono gli ingredienti principe della cucina danese: il cavolo cappuccio e le patate, a cui si aggiungono anche la carne di maiale, il pesce e il pane di segale. Chi ha frequentato le tavole di Copenaghen ricorda sicuramente gli smørrebrød (panini aperti), ma anche il piatto nazionale, lo stegt flæsk, preparato con pezzi croccanti di maiale fritto, servito con patate bollite e salsa di prezzemolo. Un piatto che, insieme agli smørrebrød, ha alimentato decine di generazioni.
È a queste matrici identitarie, arricchite con tutto ciò che ha imparato nei suoi viaggi, Giappone in primis, che René Redzepi vuole tornare, dopo la clamorosa recente notizia di voler di nuovo chiudere il suo locale, ritenendolo inadatto al perseguimento del progetto di sostenibilità che da sempre sottende la sua ricerca.
LA RIVOLUZIONE NEL DNA
L’intervista con René Redzepi inizia a poche ore dalla dichiarazione che ha fatto parlare tutto il mondo e che sta scuotendo le certezze dell’haute cuisine. Ma analizziamone la genesi…
Il suo stile di cucina, caratterizzato da audacia, ricerca, rottura degli schemi abituali, si è consolidato proprio a partire dalle sue radici, affiancate da esperienze in diverse parti del mondo, accanto a stelle del firmamento gastronomico.
È il 2002 quando Claus Meyer gli offre la gestione della cucina del ristorante North Atlantic House, una taverna del XVIII secolo che si stava trasformando nel cuore pulsante della cultura danese. È stata questa la spinta propulsiva che lo ha portato, due anni più tardi, a inaugurare il proprio locale, il Noma, in un antico magazzino ristrutturato affacciato sul mare, nella località di Christianshavn.
Qui, ad appena 40 anni, Redzepi avrebbe reinventato la cucina nazionale e conseguito il risultato di vedersi riconoscere le ambite tre stelle Michelin.
Ma ciò non gli è bastato per mettersi tranquillo. “Ho sempre bisogno di mettermi in discussione e di cambiare”, ci spiega. E a riprova di questa sua forte necessità, non si è accontentato del successo, ma ha addirittura deciso di chiudere una prima volta il locale che faceva parte dei 27 ristoranti danesi che contavano, tra tutti, ben 38 stelle Michelin.
Dunque, nel 2018 Redzepi, non più appagato dal solo fatto che tutto gli andasse bene, sentiva che, nonostante i riconoscimenti e le centinaia di gourmet che lo acclamavano e gli riempivano di prenotazioni il locale, doveva ricominciare da capo.
Ha quindi ripreso a girare il mondo, si è lasciato contaminare dalle tendenze, sprofondare in nuovi gusti e investire da esperienze provenienti da tutti i punti del pianeta.
Quando è tornato, giusto a pochi metri da quello che era stato il primo amore, ha seminato il Noma 2.0 in uno spazio ancora in costruzione, disegnato da Piet Oudolf, il paesaggista e creatore del parco di oltre due chilometri, l’High Line, costruito sulla vecchia ferrovia sopraelevata a New York .
E subito, nel 2021, il nuovo ristorante si è ritrovato catapultato al primo posto nella lista dei The World’s 50 Best Restaurants della rivista Restaurant, dove ancora oggi si trova come The Best of the Best.
René, amante dei prodotti di prossimità, ha voluto aggiungere nella attuale versione del suo ristorante un proprio orto ecologico e mettere in piedi una cella di fermentazione, così da non disperdere neanche un po’ del proprio stile personale.
In questo modo è tornato a piantar bandiera sul concetto di stagionalità. Coerente, inarrestabile, con la propensione all’indagine naturalistica tipica degli artisti del Rinascimento, ad ogni suo passo è riuscito a trasmettere la tesi della necessità di rinascita ciclica come filosofia esistenziale nei suoi libri di ieri e di oggi: “Noma: nordisk mad” nel 2006 e “Noma: Time and Place in Nordic Cuisine” nel 2010.
Nel 2015 ha ideato il documentario “Noma My Perfect Storm” dove ha cercato di mostrare senza mezze tinte tutte le problematiche di un ristoratore che si fa carico di un progetto di tale portata.
In “A Work In Progress” (Lavoro in corso), la sua ultima opera, si autodefinisce come un ”percorso in evoluzione” e preannuncia una nuova inversione di rotta. Non si smentisce e il risultato è la dichiarazione della prossima, reiterata, chiusura.
“Sento di essermi nutrito di molte influenze – e le enumera -: “quella mussulmana, quella albanese, quella macedone… ma anche delle esperienze legate alla carestia del dopoguerra vissuta da mio padre. Queste hanno avuto un impatto sulla mia cucina e anche sulle mie decisioni odierne. Mio padre ha contribuito molto, con le sue origini slave, a imprimermi una visione cosmopolita e mutevole delle cose, mia madre danese ha aggiunto invece una sua visione più localistica.
Trovo tuttavia qualcosa in comune in entrambe le influenze che mi hanno trasmesso: il fatto di fare uso di ciò che c’è sul mercato o che viene dai raccolti, la volontà di mangiare tutto e di “reinventare” ciò che per molti è da buttare, di apprezzare le biodiversità, per quanto poche possano eventualmente essere, e diventare responsabile dell’acquisto di ciò che si mangerà come consapevole artefice e protagonista nella preparazione del cibo. Non è però più possibile realizzare questo qui ed ora, perché vedo sempre di più tutti i limiti del fine dining, primo fra tutti la non sostenibilità economica, lavorativa e ambientale”.
LA NUOVA CHIUSURA DEL NOMA PREVISTA PER IL 2024
In piena coscienza, con indubbio coraggio e con innegabile onestà, Redzepi ha deciso ancora una volta di rivoluzionare la sua vita e il suo destino per dare vita a nuovi progetti, uno dei quali è quello di reinterpretare il modo con cui procurarsi il cibo e di proporlo.
“Foraging” è stato dunque il termine e la pratica quotidiana con cui Renè intende realizzare il suo nuovo corso.
“Si tratta di andare alla ricerca del cibo approfittando concretamente di tutto ciò che la natura ci offre” – ci spiega. “In questa ottica, il futuro Noma deve diventare semplicemente un mezzo per prendersi cura con coscienza del pianeta”. Per questa ragione le sale del locale riapriranno saltuariamente su progetto e altri locali, anche temporary, saranno sparsi nel mondo per diffondere, in modo accessibile, la filosofia della casa.
La sua prima stagione di lavoro è già prevista a Copenaghen, ma già si vocifera sull’apertura di un Noma in Giappone.
Sulla traiettoria del rinnovamento ha intanto appena lanciato Noma Projects, una linea di prodotti home made. Il primo esemplare è un garum di funghi che è la versione attuale di un suo piatto della memoria.
Non è esente dalle sue riflessioni il fatto che “nei ristoranti si lavora molto e si guadagna poco. Il nostro margine si aggira infatti sul 3%. Le strade per modificare la tendenza in atto sono limitate: o triplichiamo i prezzi o cerchiamo un nuovo modello di business.
La nostra linea di prodotti fatti in casa è dunque una prima risposta a questo. Cerchiamo di proporre alimenti che consentano al personale di lavorare un 25% in meno per guadagnare un 25% in più”.
Purtroppo quello che si prospetta è una chiusura definitiva del Noma 2.0, programmata per l’inverno del 2024.
“Per il 2025 il nostro ristorante sarà ormai diventato un laboratorio: una cucina per esperimenti pionieristici volti all’innovazione alimentare e allo sviluppo di nuovi sapori. Verranno tempi nuovi per i ristoranti: dobbiamo trasformare la gestione e le risorse umane. Reinventarsi sarà la parola della gastronomia di questo decennio”.
[Questo articolo è tratto dal numero di gennaio-febbraio 2023 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]