
Amante delle arti marziali, ex casco blu, figlio di un rifugiato polacco, dirige a Parigi una delle cucine più esigenti al mondo e, allo stesso tempo, alimenta la tendenza di creare la cucina fuori dalle cucine, cominciando proprio dal primo ingrediente della gastronomia francese: il pane.
È una stella dell’universo culinario. Oltre ad aver fatto incetta di allori come chef, la sua partecipazione al reality “Top Chef” lo ha consacrato ufficialmente come un emerito galantuomo. E oggi è uno degli chef più celebri di Francia. Si è formato con alcuni dei migliori chef del Paese in ristoranti come Ledoyen, Taillevent e Robuchon. Ha ottenuto la sua prima stella Michelin nel 1988 nel Roc a Val a Tours, e un’altra presso il Cheval Blanc a Nimes nel 1991. Ha lavorato dieci anni presso il Château Cordeillan-Bages a Gironde, anni che gli sono valsi due stelle Michelin. Nel 2006 Thierry Marx è stato eletto Chef dell’Anno dalla guida Gault Millau e dalla rivista Le Chef. E’ stato insignito delle due stelle Michelin fin dal 2012 e ha ottenuto 19 punti sulla guida Gault & Millau dal 2017 per il suo esclusivo ristorante Sur Mesure.
“Ho avuto la fortuna di nascere in rue de Ménilmontant – racconta -, a sud del distretto di Belleville. La nostra casa si trovava vicino al panificio del Signor Ganachaud, da dove sentivo arrivare i profumi del pane. I miei nonni erano emigranti ebrei polacchi e i miei genitori conducevano una vita semplice. In quel momento nel quartiere convivevano più di cento diverse nazionalità. Tutti vivevano insieme e senza problemi. C’era molta allegria e in strada si stava molto bene. Ricordo che gli ebrei tunisini aprirono i primi negozi di alimentari. Subito dopo sarebbero arrivati gli italiani, poi i nordafricani e altri dal resto dell’Africa o dal sudest asiatico. Tutti questi emigranti si sono poco a poco riuniti stabilmente attorno al cibo, aprendo ristoranti, locali di alimentari, angoli dove mangiare… Hanno creato un modello economico umile e sufficiente per prosperare socialmente e affrancarsi come uomini liberi. Proprio per questo ho cercato di mantenere queste influenze nella mia cucina, specialmente quando cucino cibo di strada, che è una forma di linguaggio universale”.
La sua cucina innovativa e creativa unisce la tradizione francese alle influenze asiatiche, mantenendo sempre quella struttura, quei sapori e colori all’avanguardia che lo hanno reso famoso: vi si ritrova eco dei suoi viaggi in Australia, Hong Kong, Thailandia e Giappone.
Marx crede che il cibo sia il piacere di condividere e intende arrivare al cuore attraverso alimenti che siano belli da gustare e da vedere.
Come chef del Sur Mesure a Pargi, è stato responsabile di esperienze indimenticabili e molto differenti tra di loro, con menu elaborati per mesi e mesi nel suo laboratorio gastronomico. “Questo è un mondo di lusso ma senza ostentazione, un mondo di luce nella bellezza”, afferma. Thierry è inoltre il responsabile del ristorante Camélia, della pasticceria Cake Shop, dell’Honoré e della società di catering dell’hotel Mandarin Oriental París.
“Adoro il pane. – conferma con entusiasmo – Non ho altri cibi preferiti. Adoro cucinare i funghi. Anche il pesce, perché è molto delicato e bisogna essere piuttosto precisi per prepararlo bene. Cucinare le verdure invece apre a numerose curiosità: non credo che si sia scoperto tutto quello che è possibile fare con le verdure”. Seguendo il suo istinto ha aperto La Boulangerie; questo panificio è il giusto trait d’union tra i suoi due mestieri che trascinano verso un nuovo concetto di pane, sintesi tra la cucina popolare e lo spirito “fast casual” insito nello chef.
Di fatto questo mix coincide perfettamente con le aspettative della gente amante di un consumo nomade che combina i buoni ingredienti di una dieta salutare, equilibrata e rispettosa dell’ambiente con la velocità di un servizio di qualità, ad un prezzo accessibile.
Per Thierry Marx, il pane è “il primo ingrediente della cucina francese”, è parte del patrimonio culturale della sua gastronomia. “L’uomo non può fare a meno del pane. – sostiene – I quattro elementi naturali vi si trovano intimanente collegati tra loro: la terra che fa crescere il grano, l’acqua che irriga, l’aria che fa lievitare l’impasto e gli dà la vita; il fuoco che lo forgia e gli dà forma”.
Bernard Ganachaud è colui che lo ha ispirato in questi ideali. “Avevo l’abitudine di passare per la sua panetteria tutti i giorni e sempre con immeso piacere. – ricorda – Poi ho iniziato a studiare come diventare panettiere, pasticcere e cuoco, riuscendo ad ottenere qualche diploma. Ho cominciato in Australia, dove ho lavorato come aiuto cuoco”.
Anche i suoi ristoranti descrivono la storia dell’incontro tra il cuoco e il fornaio e sono la rappresentazione significativa dei suoi sentimenti di rispetto verso la cucina. “Trovo ispirazione in ogni luogo, – indica – sia esso un’uscita al mercato di mattina, così come un viaggio lontano… Ho passato un’importante parte della mia vita in Asia: la filosofia di vita del Giappone mi è rimasta dentro. Mi piace il modo con cui i giapponesi si rapportano con la natura e apprezzo il loro senso civico così sviluppato. Tuttavia non ne rimango intrappolato e non idealizzo il Giappone (e del resto non sono incline a idealizzare nulla), ma il Giappone ha davvero avuto una forte influenza nella mia cucina, anche se ho poi potuto sviluppare un mio stile personale”.
Il suo pane mantiene qualcosa di questo eccletismo nomade, ma anche il sapore della memoria. La sua proposta di un pane con farina biologica, castagne o riso è attualmente al centro della sua ricerca e ogni settimana infatti si sforna un nuovo tipo di pane.
Indicato come una star della cucina molecolare, lui rifiuta di essere inquadrato in tale categoria: il termine è stato usato in modo improprio e non coincide con la realtà della sua cucina e con il suo mondo interiore. La cucina è molecolare, come di fatto tutto è molecolare. Il termine cucina molecolare è stato creato per spiegare alcune reazioni chimiche e fisiche, ma il non-sense con il quale questo termine è stato utilizzato da parte dei media non ne favorisce la comprensione: “Lottiamo regolarmente per mettere in chiaro che non siamo degli stregoni rinchiusi in qualche laboratorio.” sostiene.
Il suo stile gastronomico gioca con le consistenze e le temperature, con le forme e i colori: “È quella che io chiamo cucina “emozionalmente emotiva”. La mia cucina proviene da ogni luogo, non ha frontiere. Quando ho cominciato, ho provato a copiare la cucina dei grandi chef che hanno influenzato il mio stile. I miei viaggi, gli incontri con scienziati, disegnatori, architetti, hanno ampliato la mia visione della cucina e mi hanno fornito le abilità per innovarla. Alla fine ho creato una cucina che mi avrebbe reso molto orgoglioso e che si potrebbe classificare come “cucina d’autore”. La cucina soddisfa un certo pubblico. È inutile, direi quasi illusorio, pensare di poter piacere a tutti”.
La sua visione si pone su un percorso irreversibile verso l’innovazione, anche se lui tratta ingredienti classici come il pane: “È essenziale collegare l’alimentazione con la natura ed è proprio sotto questo aspetto che avverto l’unicità del pane. Dobbiamo acquistare i nostri prodotti base con molta attenzione, cercando di comprare la maggior parte possibile di prodotti locali. L’attenzione alla salute e all’ambiente rimane sempre una priorità. Mi piace immaginare e sognare che i prodotti biologici si convertano in uno strandard di vita per tutti”.
Questo alchimista della cucina riesce a raggiungere nel Sur Mesure e nel suo panificio la quintessenza in una miscela di sapori semplici e senza tempo, adatti a incontrarsi per stare bene insieme.