Ci sono momenti indelebili nella vita di un cuoco, attimi che sembrano infiniti, dilatati nell’attesa e nell’impegno, per poi amplificarsi in modo assordante, trasformarsi in gioia esplosiva, soddisfazione, vittoria. Tutto questo processo scorre veloce, è un fotogramma di un film o un’istantanea scattata con una polaroid che ci ridà indietro un’immagine mossa o sfocata, come deve essere qualsiasi attimo che cerchiamo di fermare in qualche modo.
Potrebbe essere questa la rappresentazione di uno dei momenti più importanti, come l’assegnazione della stella Michelin, per uno chef.
E questa nostra descrizione sintetizza in effetti quanto ci hanno raccontato tre giovani chef laziali, tre nuove stelle che hanno illuminato con la cucina il loro territorio, quello della provincia romana, lontano dal caos e dai grandi numeri che affollano i locali e i ristoranti della Capitale.
Stiamo parlando di Sara Scarsella e Matteo Compagnucci di Sintesi ad Ariccia (Castelli Romani), di Simone Nardoni di Essenza a Terracina (Lt) e Fabio Verrelli D’amico di MateriaPrima a Pontinia (Lt): tre interpretazioni intime, tre espressioni diverse, pure, essenziali dei loro luoghi di appartenenza.
Con loro, negli ultimi anni, si è aperto un nuovo capitolo del fine dining e, dalla conquista della stella ad oggi, il percorso che stanno compiendo si carica di responsabilità e di valore. La loro cucina – lo confermano tutti e tre – si ispira all’ambiente circostante, prende ciò che la terra o il mare vicino offrono e lo trasformano senza stravolgerlo, senza forzarlo.
Ogni materia prima è elemento sacro nelle loro mani, che va rispettato. Ogni tecnica ricercata, studiata e applicata non vuole essere costruzione di iperboli di gusto, ma semplicemente strumento per amplificare le potenzialità di quell’ingrediente e le sue caratteristiche organolettiche.
Siamo di fronte ad una generazione di chef che vive un rapporto diretto e quasi carnale con i prodotti, quasi una relazione di reciprocità, sostenibile, che rifiuta l’artefatto ma guarda all’essenziale cercando di tirarlo fuori, di dargli voce, di non sprecarlo perché prezioso. Non a caso i nomi scelti per i loro ristoranti esprimono questo concetto: Sintesi, Essenza, MateriaPrima, quasi tre sinonimi se li mettiamo nel piatto, tre formule analoghe che si appartengono a vicenda.
La loro cucina e la loro stella diventa l’imprescindibile e consequenziale valore aggiunto per quel territorio con cui si interfacciano ogni giorno e al quale sono così legati. Il loro è l’esempio del successo raggiunto e rappresenta un punto di attrazione che, di riflesso, crea in provincia un circuito virtuoso e responsabile. La stella diventa di tutti, fa crescere l’economia, riqualifica le offerte del posto che si apre e diventa più accogliente.
La provincia romana stellata non è la grande città che vive di importanti numeri fissi e di un riciclo continuo di clienti di passaggio. In provincia non si passa per caso, è meta voluta, è destinazione e luogo di scoperta. Scegliamo di andare, desideriamo andare in quei luoghi premiati dal pubblico e dalla “guida rossa” per provare un’esperienza, vivere sapori, gustare un territorio. Ed è proprio questo meccanismo che si innesca quando un ristorante acquista un importante riconoscimento, perché crea responsabilità in quanto, dalla strada che si comincia a percorrere ora, non si torna indietro: bisogna andare solo avanti e continuare a rimanere grandi.
[Questo articolo è tratto dal numero di settembre-ottobre 2023 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]