Era il 2004 e La Madia pubblicava un’inchiesta sui “secondi”, ossia sui sous chef nelle brigate più note. Lì, tra un Berton all’ombra di Marchesi e un Pascucci alla corte di Beck, un motivato Andrea Costantini descriveva il rapporto con il suo executive Bruno Barbieri a Villa del Quar.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e proprio sull’acqua, quella del Garda, lo ritroviamo, ormai affrancato da ogni sudditanza, padrone assoluto della propria professione e di una cucina votata passionalmente al territorio.
Territorio che, se per molti è una bandiera ormai sventolata troppo spesso in modo arbitrario tanto per fregiarsi di un merito che oggi va per la maggiore, in Costantini è invece una scelta libera e ponderata in quanto lui, friulano in terra veneta, potrebbe anche porsi fuori dai parametri localistici. Se non lo ha fatto, se, anzi, ogni suo piatto grida “Garda” con straordinaria coerenza, è perché lo chef ha creduto fermamente nella possibilità di offrire al contesto ambientale nel quale da anni è immerso, un contributo autonomo, scevro da condizionamenti folcloristici. Ciò che realizza è vivo, contemporaneo, autografo nella sua originalità, eppure complementare ai canoni classici locali che egli contribuisce a valorizzare.
Ne è una prova la divertente ostrica di lago con cui ormai abitualmente dà il via al suo menu degustazione nella luminosa sala del Ristorante Regio Patio: si tratta di un geniale riassunto del lago, composto da un involucro di filetto di coregone, uova di salmerino, sashimi di salmerino marinato in crema del suo fegato, limone, cappero tritato, alga nori e acqua salata da sorbire in un sol boccone: una contraffazione all’Adrià, un’imitazione del vero riuscita sia per sapidità “marina” che per consistenza.
Altro piatto portavoce della più convincente identità gardesana, la sarda di lago con cipollotto alla brace, menta e mosto cotto, una fulminazione assoluta per chi, come tanti, sottovaluta le potenzialità del pesce lacustre, qui invece protagonista avvincente, ricco di una personalità spiccata e di un sapore delicato e intenso, conferito dalla cottura alla griglia. “Questo piatto nasce dopo un interessantissimo viaggio in Giappone – racconta lo chef -. Ero rimasto affascinato dal loro particolare sistema di cottura alla brace: il robatayaki, che ho cercato di adottare nella mia cucina”.
Omaggio ulteriore al lago verso il quale guardano le ampie vetrate del ristorante, è il coregone gratinato, sedano di Verona, limone e levistico, dove la naturale asciuttezza delle carni del pesce viene ammorbidita dalla nota grassa delle cervella di vitello integrate al momento della cottura: una commistione da maestro. Parla con accento veneto anche il ramen di lago inserito nel menu “Garda 100%”: malgrado l’ispirazione esotica, la fedeltà al territorio è totale in quanto nel brodo tipico di questa preparazione nuotano in saporito sincrono il coregone, l’anatra, l’uovo, la bietola, il cipollotto.
Piatti come questi dimostrano che la valorizzazione dei prodotti territoriali da parte degli chef è spesso determinante non solo per la creazione di una microeconomia al servizio della migliore ristorazione, ma anche come volano per la tutela di prodotti o razze animali in via di estinzione.
Costantini infatti – oltre ad aver creato un orto del tutto funzionale alle esigenze della cucina nel quale ha introdotto verdure, ortaggi ed erbe anche di non facile reperibilità – ha indotto alcuni allevatori a riportare nel suo habitat la Grisa della Lessinia, una gallina da arrosto di razza autoctona scomparsa negli anni quaranta ad opera, secondo la leggenda, di militari tedeschi che portarono in Germania tutti i polli riproduttori per garantirsi la fruizione perpetua di queste carni delicate.
Oggi Enrico Cassiani dell’Azienda agricola Le Bellette di Mezzane alleva la Grisa allo stato libero nel rispetto dell’animale e dell’ecosistema naturale, così che Costantini e altri chef possano offrire ai clienti quella biodiversità e quei sapori antichi che l’industria ha fatto ormai dimenticare.
Al Regio Patio la brigata di cucina agghinda questa gallina sia per renderla protagonista di un intero menu, dall’antipasto al dolce, sia per inserirla nella bucolica ambientazione della Grisa al fieno, adagiata sulla paglia, in un coccio di antica memoria.
Analogo meritorio recupero di razze semiscomparse è quello della Garronese veneta, pregiato bovino con carni in ideale equilibrio tra massa magra e grassa, e della pecora Brogna, oggi tutelata proprio da un’associazione di allevatori, ristoratori e trasformatori allo scopo di tornare ad una zootecnia di montagna custode dell’ambiente. Entrambe le carni entrano in molteplici preparazioni come biglietto da visita di un territorio virtuoso; addirittura Costantini azzarda per la Brogna una ricetta a crudo, in tartare cremosa con erbe di prati montani e frutti rossi: la sua apoteosi.
Uomo e professionista di carattere, dunque, Andrea Costantini.
Lo conferma il suo mentore di un tempo, Bruno Barbieri parlando di lui in un interessante passaggio del suo libro “Via Emilia, via da casa” (Rizzoli):
“… Un talento formidabile, molto preparato, di grande intelligenza, una persona umanamente parlando, meravigliosa. (…) Intuii subito che il ragazzo aveva una marcia in più, un qualcosa nella manualità, in come trattava gli ingredienti, come pure nella gestione del gruppo: era uno di quei ragazzi in cui qualunque chef vorrebbe imbattersi”. E nel quale, diremmo noi, vorrebbe imbattersi qualsiasi gourmet in cerca di emozioni un po’ inconsuete. Le occasioni per approcciarlo possono realizzarsi attraverso il suo Autoscatto, un menu degustazione a sorpresa di 4 o 7 corse che, come un selfie, identifica con istantanea precisione la sua cucina, oppure con il Pranzo all’italiana, rassegna filologica di un pranzo tipico della domenica in famiglia, con tanto di pasta ripiena fatta in casa, carrello dei bolliti, dolci tradizionali.
Gli amanti di un’esperienza sostanzialmente verde potrebbero passare per il suo Orto, dove innamorarsi del non lardo, aglio nero, burro e gamberi rossi: sembrerebbe un piatto alla Parini (chi non ricorda quel carpaccio di Narce, l’animale che non c’è, realizzato interamente con pomodori, peperoni, fette di cocomero e susine, presentati in guisa di sottili fettine di carni rosse?) e invece è il frutto di un intelligente gioco di squadra grazie al quale i cuochi del Regio si sono divertiti a costruire un’altra imitazione del vero: melanzane a fette talmente simili al lardo nella loro bianca e compatta consistenza, da trarre in inganno visivo chiunque.
Orto a mille anche nei dessert quasi dolci (finalmente!) come il radicchio, nocciola, cioccolato e aceto di lampone e ancor più nel lattuga, miele, ganache di cioccolato bianco, extravergine del lago: “Questo piatto – racconta lo chef ammettendo di non amare il dolce “troppo dolce” – trae la sua origine da un racconto di mia moglie che, da bambina, amava raccogliere la lattuga dall’orto del padre, per poi intingerla nel miele”. Lo chef è questo: un professionista preparato e sensibile che, come afferma lui stesso, cucina quello che gli piace, senza però quell’anarchia priva di argini che è il presupposto dell’arroganza. Lo sorregge e lo guida infatti la sua formazione rigorosa, frutto degli insegnamenti dello chef Othmar Schlegel, che fu suo maestro quando era l’executive al Castello del Sole di Ascona: “Mi ha insegnato a far squadra – rivela Costantini – ma soprattutto a organizzarmi sempre con scrupolo, secondo i dettami della scuola di Escoffier; nei dieci anni trascorsi accanto a Bruno Barbieri ho invece assorbito la sua creatività, osmotica, generosa tanto da permettermi di esprimermi con libertà”. Il resto, nel tempo, lo hanno fatto la sua curiosità, i viaggi, il confronto continuo con la brigata, la sintesi tra le sue radici friulane e l’influenza sarda contratta col matrimonio, nonché l’amore per la terra che lo ha accolto.
Se nel ristorante Regio Patio la pasticceria, affidata al pastry chef Giancarlo Moranduzzo è una equilibrata commistione tra elementi dolci, salati, acidi, aromatici, per l’Hotel Regina Adelaide in cui il ristorante è inserito si tratta di una radicata vocazione, nata quando anni fa la proprietaria Annalisa Tedeschi, per pura passione, cominciò a realizzare dolci talmente intriganti da diventare il simbolo distintivo della casa.
Oggi una pasticceria sempre più raffinata e contemporanea, affidata alle mani della chef pâtissier Giovanna Tommasi, si può degustare durante la splendida colazione del mattino in hotel (un privilegio non da poco nello stagnante panorama della colazione d’albergo), ma soprattutto nella piccola attigua botique “I dolci della Regina” tra arredi dal sapore elegantemente retrò.
A Natale vanno a ruba il pan’Ottone – dedicato a Ottone il grande di Sassonia, che la regina Adelaide di Borgogna sposò nel 952 – e il Pandoro della Regina, che una lunga lievitazione e ingredienti di primissima scelta hanno ormai trasformato in prodotti cult per gli intenditori.
Un servizio presente, premuroso, a tratti simpaticamente colloquiale eppure discreto: non è facile bilanciare questi elementi se non si è dotati di una professionale sensibilità. Queste sono le caratteristiche riscontrate nel personale di sala del Regio Patio, pronto a dare informazioni precise sul menu, a presentare i piatti in modo adeguato, a esserci o scomparire al momento giusto. A coordinarli non solo un maitre efficiente, Andrea Ansidei, ma anche un direttore che è un vero e proprio padrone di casa, tanta è la sua contiguità con la struttura in cui si muove con appropriato garbo. A Stefano Barbieri si deve riconoscere il merito di svolgere il proprio lavoro con una dedizione che i lunghi anni di servizio non hanno intaccato. Opera sua, sostanzialmente, la ricca cantina dell’Hotel che vanta oltre 350 referenze importanti, ma anche alcune poco note ma pregevoli etichette che ha scoperto per evidente competenza e per la passione che nutre per la cultura del vino. Dunque spesso organizza serate in collaborazione con aziende vinicole specialmente del territorio, degustazioni guidate o lezioni vere e proprie nella cantina dell’hotel ma, soprattutto, riesce a suggerire ai propri ospiti abbinamenti a volte sorprendenti ma adeguatissimi ai piatti dello chef.
Cinquantanove ampie stanze, tutte diverse tra loro, ma egualmente arredate con elementi classici, mobili d’epoca e tessuti raffinati, perfettamente inserite nell’elegante Villa Liberty a pochi passi dal lago e circondata da un ampio giardino ben curato, con piscina. Gli spazi comuni consentono di rilassarsi nei salotti o nella SPA dotata di piscina riscaldata e di un nuovo centro Beauty & Wellness con trattamenti detossinanti ed energetici ispirati alla medicina cinese.
HOTEL REGINA ADELAIDE
Via S. Francesco d’Assisi, 23
37016 Garda (VR)
Tel. 045 725 5977
www.regina-adelaide.it – hotel@regina-adelaide.it