Regione incredibile la Basilicata, sospesa com’è tra il passato e il presente, forse non ancora – grazie a Dio – troppo orientata al futuro. Nella piana fra le città di Acerenza e Venosa (PZ) sorgono Le Masserie del Falco, uno dei rarissimi avamposti gourmet di questa regione: panorami bellissimi, grandi distese di campi e prati, dolci colline e… il nulla.
Il “nulla” è bellissimo. E’ quella sensazione di totale lontananza dalla confusione delle città, dallo stress del quotidiano, una sensazione difficile da descrivere, un nulla che avvolge, che coinvolge, oltre la vista, anche gli altri sensi, in un susseguirsi di sensazioni contrastanti che vanno dallo stupore per la bellezza dei luoghi a quello per l’assoluta insufficienza di indicazioni stradali, dall’affascinante volteggiare dei rapaci alla tranquillità, forse persino eccessiva, di alcuni paesi dell’entroterra.
Ma la Basilicata è questa, prendere o lasciare. E’ bella anche nelle sue contraddizioni, lo dice persino, all’inizio del suo film “Basilicata coast to coast”, il famoso attore/regista lucano Rocco Papaleo: “Va bene, confesso, sono nato in Basilicata. Sì, la Basilicata esiste, è un po’ come il concetto di Dio, ci credi o non ci credi. Io credo nella Basilicata”.
Ebbene ci crediamo anche noi, crediamo nel concetto di bellezza incontaminata di questa terra sospesa tra due mari che molto poco – forse troppo poco – ne influenzano l’economia; una regione che ancora non conosce il turismo di massa e che, però, proprio per questo motivo restituisce, a chi ha la sensibilità giusta per apprezzarla, sensazioni ineguagliabili. Eppure in questa regione ci sono chicche come il borgo de Le Masserie del Falco, una struttura molto bella, dotata di 28 belle camere, 2 Suite, 3 Junior Suite e 8 appartamenti. Il ristorante Lo Scrigno dei Sapori è ricavato nella vecchia stalla, con pavimenti in chianche, muri in pietra a vista e numerosi elementi in legno antico, con quadri di valore e raffinato gusto appesi alle pareti. Una delle pareti è addirittura un grande pezzo di roccia che testimonia come, anticamente, si tendeva a utilizzare quanto la natura offriva per poi completare il lavoro con l’opera dell’uomo. Molto bella la porta d’ingresso, massiccia, recuperata a nuovo splendore dopo un sapiente lavoro di restauro.
Qui opera Gianfranco Bruno, un vero “cavallo di razza”, cuoco trentenne senza dubbio tra i più interessanti in Italia, vincitore anche della manifestazione “Cuoco emergente del Sud” ideata da Luigi Cremona.
Supportato in sala da Mariangela e Aurelio Lamiranda, Bruno è, nonostante la giovane età, molto maturo e capace di esprimere una creatività a volte spinta, a volte più misurata, senza mai stravolgere la materia prima del territorio grazie alla sua notevole capacità tecnica, al solo scopo di esaltare i sapori e giocare con le consistenze e prendendo decisamente le distanze da inutili spettacolarizzazioni.
Un giovane talentuoso e concreto, insomma, appassionato di culture orientali che arricchiscono la sua cucina di spezie e aromi, come nello Yin e Yang di raviolo, piatto apparentemente semplice che esprime appieno il carattere e la sua visione gastronomica. La sfoglia, di semola e di grano arso, è riempita con una fonduta di caciocavallo podolico e condita in cinque versioni diverse: mandorle, alice e vincotto, fiori di malva, zeste di arance e fragola Candonga. L’esplosione in bocca di questi scrigni contenenti caciocavallo fuso trasmette cinque esperienze, tutte diverse, in cui la base è la fonduta, ma la diversità si evidenzia negli abbinamenti, tutti azzeccatissimi. Un gran piatto davvero, quasi elementare nell’ideazione ma tecnicamente raffinato, che da solo giustifica il viaggio.
C’è molto altro, però, da assaggiare.
Gianfranco, ragazzo semplice dal sorriso aperto e dai modi educati, è cuoco eclettico che sa governare la sua idea di cucina ricca di elementi territoriali accarezzati dal misurato utilizzo di spezie e aromi, oppure di prodotti inusuali che, valorizzati da giusti abbinamenti e cotture corrette, spesso riservano piacevolissime sorprese. Una specie di “zen territoriale”, come ci siamo divertiti a definirla.
E’ il caso del nido di zucca spaghetto all’aglio e olio, con gazpacho alla fragola Candonga e gelato di piselli, piatto originale che è la conferma della direzione in cui lavora la mente gastronomica di Gianfranco, sempre alla ricerca dell’equilibrio nutrizionale e della leggerezza da esaltare con le acidità, per pulire il palato e donare freschezza.
Stessa ricerca con ingredienti diversi per lo splash di gamberi rossi dello Jonio su salsa di mandorle con giuncata e limone del Metapontino, spugna di bietoline e mandorle tostate, in cui il rimbalzo di sapori è, ancora una volta, la principale caratteristica.
Il riso Karnak della Piana di Sibari con ostriche e lattuga di mare, confettura di sedano-limone e dragoncello è piatto di non facile gestione, basato su equilibri difficili, in cui le alternanze di gusto si giocano sul filo sottile dei corretti dosaggi.
Tra i secondi ho assaggiato un delicato baccalà confit sulla sua maionese, funghi Cardoncelli, fave Tonka e fave novelle e un morbidissimo agnello de La Sellata appena affumicato con chutney di lampascioni al ficotto e gelato allo yogurt, a riprova della capacità che il cuoco lucano ha di sapere valorizzare sia il pesce che la carne, in questi due casi interpretandole in chiave delicatamente agrodolce.
Complesso ed elegante il dessert cioccolato e fiori, composto da brownie e noci, gelèe di cioccolato, fiore di zucca cristallizzato, salsa al karkadè e sorbetto alla lavanda, un dolce ancora una volta perfettamente in linea con il suo pensiero.
Chiusura con un divertente vassoio di piccola pasticceria: ovis mollis alla confettura di pere cotogne; Cremino al cioccolato e lemon curd; Cantuccio al vincotto e mandorle; Zenzero candito al cacao. Non sappiamo davvero se la Basilicata è pronta per una cucina così fortemente caratterizzata ma allo stesso tempo fortemente legata al territorio seppure in chiave decisamente personale e moderna; ma di una cosa siamo assolutamente sicuri, e cioè che sentiremo parlare di questo trentenne.