Inutile negare che il vasto settore agroalimentare, enogastronomico e turistico ha subito e subirà contraccolpi devastanti. La ristrutturazione dell’intero comparto, quando possibile – al netto del gran numero di chiusure ancora in corso – dovrà tenere conto di ogni segnale economico, sociale e, finalmente, anche ambientale.
Parlare oggi di una “ripresa” di stili di vita e di consumi quasi “normali” potrebbe sembrare una sorta di distorsione semantica, eppure i prodromi di orientamenti plausibili si possono già individuare e interpretare. Per esempio, in parziale collegamento con lo smart working ( che tuttavia non può sostituirsi a lungo e in toto al lavoro in presenza, che proprio nello scambio interpersonale diretto favorisce la produttività) si sta registrando un consistente esodo dalle città verso la campagna o i piccoli borghi, sollecitato anche dalla volontà di vivere e far vivere ai propri figli un’ esistenza più sostenibile.
Finora la fuga dai grandi centri urbani ha coinvolto oltre 250.000 residenti, ma sembra che il fenomeno sia in costante aumento.
Dunque buona parte della ristorazione deve fare i conti con una evidente diminuzione di pranzi di lavoro, di convivi familiari o amicali e forse di buona parte dello svago enogastronomico fuori casa, colpevole anche una contrazione delle possibilità di spesa di una parte della popolazione.
Paradossalmente persino delivery e meal kit – ossia gli “espedienti” utilizzati dai ristoratori per fornire comfort food ai propri clienti nella fase di chiusura dei ristoranti e ora divenuti nuovi format definitivi – hanno contribuito a creare l’abitudine a consumare i pasti, anche importanti, tra le mura domestiche. Inoltre l’aumentata possibilità di acquistare online cibo e vino di ogni tipo ha indotto molta gente a pensare che, forse, la casa è un posto comodo dove coltivare le proprie passioni alimentari.
Ma tra gli indicatori e le avvisaglie di cambiamenti forse permanenti dei nostri costumi, mi ha incuriosito una tendenza apparentemente poco affine al nostro settore.
È definita detox make up l’attuale propensione femminile di semplificare la propria vita anche in modo esteticamente più naturale, non truccandosi o facendolo in maniera appena percettibile. Questo dilagante “movimento di liberazione” a cui si è aggiunta la tendenza del “granny hair” (tenere i capelli grigi) è il sintomo di un’esigenza di autenticità che sta permeando l’esistenza di molte persone, in buona parte refrattarie a quella cultura dell’apparenza e dell’apparire oggi eticamente anacronistica.
Ecco perché sono convinta che i nostri chef più sensibili a captare i vari segnali dovranno cogliere la necessità di cambiamento che la pandemia ha evidenziato, privilegiando l’accessibilità nel nome di una condivisione più universale e meno elitaria, e gestendo la condivisione stessa con un approccio più accogliente e meno ieratico.
Dal buio di questa pandemia occorre uscire insieme.
La ristorazione potrà offrire il suo contributo all’inevitabile processo di rinnovamento se, nelle attuali fasi di faticosa ricostruzione del nostro tessuto socio economico, saprà offrire un nuovo patrimonio di contenuti, affidabilità e concretezza.
Ai lustrini penseremo poi….