Il sughero ha fascino, ovvio, ma il sughero non è infinito. Esercita ancora un forte ascendente sul consumatore nel cui immaginario è tradizionalmente associato al vino di qualità. Quante memorie ci evoca un tappo in sughero? Una grande cena, la bottiglia della vita, un giorno particolare e chi più ne ha più ne metta. Non solo il fascino della tradizione ma anche l’elasticità, l’impermeabilità, che ne fanno un presidio ideale per la conservazione di prodotti a lunga maturazione o per vini che non possono permettersi di perdere gas.
Che sia Monopezzo (il migliore e più costoso), Agglomerato o Tecnico (ricavato da pezzi di sughero troppo piccoli per realizzare un tappo monopezzo), Agglomerato con rondelle (per gli sparkling), sempre di sughero si parla. Oggi troviamo tante alternative: Vetro, Sintetico, Corona, ma soprattutto Stelvin.
Dal ‘700 ad oggi il sughero è la migliore chiusura per una bottiglia di vino, questo è indiscusso, ma come dicevamo non lo sarà per sempre. Neppure il petrolio sarà infinito, figuriamoci un derivato da pianta. Di sicuro offre la possibilità del passaggio di piccole particelle di ossigeno, che migliorano il vino nel corso dell’invecchiamento in bottiglia.
Il tappo a sughero – ad oggi – è sinonimo di qualità della bottiglia. Ma siamo sicuri che sia davvero ancora così? I nuovi sistemi sono qualitativamente inferiori? Come tutte le cose estremamente naturali, i pregi sono tantissimi ma esistono anche tanti difetti. Il sughero è sì impermeabile ed elastico, ma lascia comunque passare piccole quantità di ossigeno. La maturazione del vino accelera: è il caso dei vini rossi, in cui si formano aromi molto complessi e i tannini si ammorbidiscono. L’opposto – troppo ossigeno – può portare a un precoce invecchiamento e a un’eccessiva ossidazione. Entrambi i fattori possono alterare il percorso di invecchiamento di una bottiglia, pertanto sarà difficile trovare due bottiglie chiuse con un tappo in sughero naturale del tutto identiche.
Il vero problema del tappo in sughero naturale resta il ben noto difetto chiamato comunemente “sentore di tappo”. Si tratta di un difetto percepibile sia al naso che al palato, dovuto a un composto, il TCA, prodotto da un fungo che cresce in presenza di cloro. Il TCA genera uno sgradevole odore di cartone bagnato e muffa, che altera e attenua gli altri aromi del vino.
Come può dunque un produttore di vino garantire una bottiglia priva di ossidazioni eccessive e sentori di TCA?
Tra le chiusure alternative, come raccontavamo all’inizio dell’articolo, troviamo, per ricapitolare: agglomerato, agglomerato con rondelle e tappi sintetici. Il più sperimentato, quello che incuriosisce di più, è sicuramente il tappo Stelvin. Il tappo si chiama così in virtù del nome dell’azienda che lo produsse per la prima volta. La commercializzazione iniziò in Australia nel 1976 dopo alcuni anni di ricerche.
Il tappo Stelvin è formato da una capsula in alluminio con una filettatura che avvolge totalmente il collo della bottiglia. All’interno del tappo è presente una capsula in resina che consente un graduale rilascio di gas inerte, solitamente azoto. Studi dimostrano quanto tale tappo sia, assieme al tappo a corona, quello che meglio garantisce la tenuta di un vino e la riproducibilità dell’etichetta. Alcuni produttori a livello mondiale – Walter Massa in Italia – hanno testato la tenuta del tappo Stelvin nel tempo con grandissimi risultati qualitativi. In Germania il tappo Stelvin è oramai consuetudine per i famosi Riesling della Mosella, considerati tra i migliori vini bianchi al mondo. In Australia e in Nuova Zelanda, due tra i principali paesi produttori di vino fuori dall’Europa, la quasi totalità delle aziende vinicole utilizza il tappo a vite anche per etichette di pregio, vuoi per storia, vuoi per il difficile approvvigionamento di sughero proveniente proprio dall’Europa.
Nella nostra percezione, il tappo a vite è la meno romantica delle chiusure, quella che rimanda subito a un vino di bassa qualità. Questo tappo ha effettivamente innumerevoli vantaggi, vantaggi importanti rispetto ai tappi tradizionali.
- Evita il difetto di tappo e le contaminazioni.
- Facilità nell’apertura della bottiglia.
- Garantisce la sostenibilità del tappo.
Ma esistono anche svantaggi ovviamente:
- Non offre l’emozione del tappo in sughero quando si apre la bottiglia, con il classico rituale.
- Non permette di evolvere (teoria in parte smentita da numerose prove di invecchiamento).
- Lunghe conservazioni in assenza di ossigeno creano problemi di riduzione (anche qui molti dissentono in quanto le ultime generazioni di Stelvin garantiscono maggiori traspirazioni della bottiglia).
- Non è indicato per grandi vini ricchi di tannini che per raggiungere la maturità necessitano di micro-ossigenazione.
In tanti Paesi europei il tappo a vite è stato ormai sdoganato ed è utilizzato costantemente da molti produttori. In Italia non si può dire lo stesso.
Stelvin si, Stelvin no? Non sarò certo io a sentenziare, ma credo che ancora il mondo del vino non abbia in mano prove effettive sulla bontà o meno di questa chiusura. Eppure, qualcuno si sta muovendo nella direzione della chiusura sintetica e chissà che le nuove generazioni ne apprezzino gli sviluppi futuri.