
Conosciuta per pochi vitigni, l’Emilia Romagna enoica offre in realtà un’interessante biodiversità, dal potenziale ancora in gran parte inespresso. Dalla Bolognese Alionza, di remote origini, al profumatissimo e romagnolo Centesimino; dalle fortunose (ri)scoperte di Uva Longanesi e Famoso, al brio del “sabbioso” Fortana del Po. Senza tralasciare il tanto misterioso quanto imperioso modenese Malbo Gentile; lo “zergo” Negretto; il piacentino, versatile Ortrugo; la “scandianesissima” Spergola.
Anche dall’Emilia Romagna giungono buone nuove in merito al recupero di antichi vitigni alle soglie dell’estinzione. Una regione stereotipaticamente divisa tra Lambrusco (Emilia) e Sangiovese e Albana (Romagna), che invece mostra buone potenzialità in termini di biodiversità ampelografica.
Va solo detto che se altri comprensori enoici del nord della Penisola hanno compiuto passi da gigante in materia, e che ormai molte cultivar sono state definitivamente recuperate dall’oblio e ora commercializzate, per quanto concerne quest’area della Padania vi è la fondata impressione che vi siano ancora molte uve da studiare, rivalutare e rilanciare. Insomma, pare che qui si sia solo a metà dell’opera e che tante varietà non aspettino altro che di essere analizzate, testate e divulgate.
Anche qui, nella draconiana selezione che per ragioni di spazio siamo costretti a fare, abbiamo dato precedenza ai vitigni già ufficialmente riconosciuti, vinificati in purezza e regolarmente commercializzati.
Alionza In passato osannata, poi abbandonata per l’acinellatura, ora ristorta
Le descrizioni ampelografiche della bianca Alionza sono remote: la prima è quella del De Crescenzi (1303). Diffuso in provincia di Modena e Bologna, il Cavazza nel 1914 lo descrive come uno dei migliori vitigni a bacca bianca del Bolognese; mentre poco prima, a fine ‘800, la si definiva “uva antichissima, poco produttiva, ottima da consumarsi fresca e per il suo vino molto alcolico, squisito e profumato”. Giorgio Erioli, produttore emiliano di culto, è tra i protagonisti del rilancio di quest’uva.
Dopo vari studi ampelografici “alla fine presi la decisione di recuperare due cultivar secondo me importanti per storia e diffusione: Alionza e Negretto.
La prima era quasi scomparsa a causa della sua bassa produttività, per il fenomeno dell’acinellatura e per via della sua buccia spessa a discapito del mosto”. Vitigno vigoroso, predilige impianti non troppo fitti a potatura lunga, suoli collinari, climi caldi, asciutti. “Nella nostra tenuta di 4 ha, a Valsamoggia (Bo), produciamo un’Alionza ferma e una metodo classico”.
La ferma Emilia Igt Malvezza, frutto di basse rese (50 q/ha di uva), affina 30 mesi in acciaio sur lies; ha veste oro zecchino, sa di ginestra, mele al forno, tè; è morbida, elegante, fresca, equilibrata, con chiusura mandorlata e agrumata. Di buona longevità, raggiunge il suo apice dopo oltre un lustro.
Centesimino, dal calice effluvi d’incenso orientale
La storia di questo vitigno romagnolo, in dialetto Savignôn Rosso, comincia nel periodo postfillosserico; la sua diffusione si deve a Pietro Pianori di Faenza, detto Centesimino, che negli anni ‘50 avvia la propagazione di marze di vecchie vigne presenti nei suoi terreni.
Assodato trattarsi di una varietà autonoma, estranea all’Alicante spagnolo, solo nel 2003 viene ufficialmente riconosciuta. Oggi è coltivata da un piccolo gruppo di aziende consorziate sulle colline di Oriolo dei Fichi, vicino a Faenza (Ra). Tra queste, Poderi Morini.
“Il Centesimino è incredibile, dagli aromi intensi e complesso. Quando sono venuto in possesso del podere Cà Donati, ai piedi della torre di guardia di Oriolo, ho avuto la curiosità di vinificarlo in purezza per verificarne il potenziale”, spiega Alessandro Morini.
“I vini mi hanno dato ragione visto il loro successo: nel 2001 ho prodotto il Ravenna Igt Traicolli, affinato per 14 mesi in tonneau, e il Rubacuori da uve stramature, elevato 12 mesi in barrique.
Luigi Veronelli ha apprezzato molto questi nettari, consigliandomi di produrne una versione in acciaio per esaltare i tratti varietali del vitigno; ed è così che è nato il Savignone. Infine, nel 2008, ho prodotto il Morosè, un metodo Charmat”.
Famoso, da due filari a una fama prossima ventura
Iscritto nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite nel 2009, il Famoso risorge dal recupero di due vecchi filari dell’azienda Montalti di Mercato Saraceno (Forlì-Cesena).
Nel 2000, a partire proprio da quei filari, si è iniziato a testarlo, con esiti subito interessanti.
Le principali citazioni storiche di questa cultivar sono del 1876-1879, dove si parla di un’uva Famoso tra quelle del Cesenate. Una storia, quella di questa cultivar, che si intreccia con quella della ravennate Rambella, suo probabile sinonimo.
Sia come sia, è chiaro trattarsi di una bacca di antiche tradizioni romagnole.
Si esalta sui più poveri terreni collinari, dove produce poco e il suo grappolo è più piccolo, spargolo e aromatico.
Ne scaturisce un vino giallo paglierino, con bouquet intenso, ricco di terpeni simili a quelli del Moscato, dai ricordi floreali dolci, note di frutta esotica, drupe mature ed essiccate, ma anche sensazioni fresche e balsamiche di agrumi, salvia ed erbe aromatiche; al sorso ha media acidità, buona morbidezza e polpa, equilibrio e finezza.
Mauro Altini – titolare dell’azienda La Sabbiona di Faenza – è tra i principali interpreti di questa cultivar, producendo fra gli altri il paradigmatico Ravenna Igt Famoso Vip, e una versione spumante metodo Charmat Extra Dry, chiamata Divo.
Fortana, di freschezza inattaccabile è perfetto effervescente
La viticoltura del Delta del Po è unica: suoli sabbiosi, e quindi viti a piede franco; falde salmastre; limitate superfici vitabili distanti da altri aerali enoici. Longevità delle viti e selezioni massali, senza intraprendere quelle clonali, hanno fatto sì che il Fortana abbia mantenuto intatta nei secoli la propria matrice genetica.
Pertanto è rimasto da sempre una cultivar rossa tardiva, con moderato contenuto di zuccheri, maturazione difficoltosa e ottima acidità che permane durante la maturazione del frutto, caratteristica che l’esalta nelle versioni rifermentate in bottiglia.
Per questo, racconta il guru dei “Vini delle Sabbie” Mirco Mariotti, patron dell’omonima cantina con vigne a Lido di Pomposa, “nel 2006 provai a mettere sul mercato il nostro ‘vino quotidiano’; ma da subito si presentarono difficoltà pratiche: il ‘metodo ancestrale’ porta a un vino fragile; per cui decisi di affidarmi alla classica rifermentazione con tirage del vino base secco addizionato di mosto congelato dalla vendemmia”.
Negli anni, passione per Fortana e bollicine hanno indotto Mariotti a varare anche un metodo classico; inoltre, con il Consorzio Pescatori di Goro, ha messo a punto un protocollo di “affinamento dinamico” dello spumante sott’acqua, chiamato Symbiosis, crescono insieme.
Tra le etichette prodotte da Mariotti, forse la più varietale ed espressiva è la croccante Fortana dell’Emilia Igp frizzante Surliè!.
Malbo Gentile; buccia spessa e scura, grappolo spargolo: questi gli atout
Pur importante per la viticoltura modenese e reggiana, sulle origini di questa varietà non si sa quasi nulla mancando documentazioni; al di là di ipotesi fantasiose come quelle di una sua origine californiana, o di una sua – poi smentita – parentela con il Malbech.
Dal 1995 è iscritta al Registro Nazionale delle Varietà di Vite. Tra i suoi principali cultori, l’azienda Terraquilia di Guiglia (Mo). “Una delle cose a cui teniamo di più – chiosano Romano e Giorgia Mattioli, titolari della cantina – sono le tradizioni dei nostri luoghi, che includono anche la viticoltura. Perciò abbiamo voluto recuperare questa antica cultivar”.
Il Malbo Gentile ama terreni magri, trovando nella fascia pedecollinare appenninica il suo habitat d’elezione.
Non essendo auto impollinatore, necessita di essere vitato accanto ad altre varietà.
Sensibile alla peronospora per il suo ampio fogliame, ha grappolo piramidale-allungato e spargolo; tratto quest’ultimo che lo rende resistente al marciume; gli acini sono ricchi di antociani, pruinosi, un poco aromatici; avendo buccia spessa, ben si presta anche all’appassimento.
“Il nostro Emilia Igt Malbo Gentile Malbone fermenta sulle vinacce per 10 giorni e affina in vetro per almeno 12 mesi.
Ne deriva un vino violaceo, dai profumi intensi di more, mirtilli e pepe nero, con palato armonico, polposo, caldo, ricco di tannini e vivo di acidità”.
Negretto, da lui vini dallo “zergo” piglio
Antico vitigno a bacca rossa coltivato nel Bolognese e in Romagna, viene descritto già nel 1303 dal De Crescenzi, e citato poi in numerosi testi di ampelografia.
Impiegato in passato anche come uva da pasto, da alcuni anni è iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di Vite e autorizzato su tutto il territorio regionale, sebbene insista soprattutto sulle aree collinari delle province di Bologna e Ravenna.
Cultivar robusta e di costante produttività, ha grappolo compatto, cilindrico-conico, con acini dalla buccia pruinosa e nero-violacea; la sua maturazione è medio-tardiva. Se ne ricava un vino rosso rubino intenso, dagli intensi e vinosi profumi secondari, di buona texture tannica e con buona freschezza acida. Interessante l’interpretazione di questa bacca offerta dalla cantina Gradizzolo, di Antonio Ognibene, sita a Valsamoggia (Bo).
Il loro Emilia Igt Rosso Naigartèn, ottenuto da vigne trattate solo con zolfo e rame, è frutto di una lunga macerazione sulle bucce a seguito di una fermentazione spontanea; l’affinamento si svolge per 12 mesi in botti grandi e per 6 mesi in bottiglia; molto adatto ad accompagnare i piatti tipici della cucina bolognese, ha buon successo anche sui mercati esteri, Stati Uniti e Giappone in primis.
Ortrugo, piacentino sino al midollo!
Varietà bianca piacentina descritta per la prima volta solo a inizio ‘800, è solo nel 1927 che il Toni la nomina Ortrugo annoverandola tra “i principalissimi vitigni bianchi da vino della provincia di Piacenza”. Recuperata negli anni ’70 dall’azienda Mossi di Ziano Piacentino in Val Tidone, ha conosciuto un deciso allargamento della sua area di coltivazione a tutte e quattro le vallate provinciali: Nure, Trebbia, d’Arda e Tidone. Dal grappolo grande e compatto, con acini pruinosi e coriacei, matura non prima di fine settembre, prestandosi a essere vinificata ferma, frizzante e spumante; nel primo caso si ha un vino piuttosto strutturato, alcolico, asciutto, sapido, fresco, lievemente aromatico; quando effervescente è più fragrante, snello, gradevolmente acidulo. Tra gli Ortrugo di Mossi, azienda oggi di Silvia Mandini e Marco Profumo, da citare l’identitario Ortrugo dei Colli Piacentini Doc Spumante Brut Contro Tempo.
Lo si ottiene con uno Charmat lungo, partendo da un vino-base frutto di un mosto fiore molto delicato data la pressatura ultra soffice delle uve che lo originano. Dopo la presa di spuma in autoclave il prodotto sosta 6 mesi sur lies; ne scaturisce un nettare dal bouquet morbido con ricordi di gelsomino e foglie di tè, con un sorso armonico e cremoso, fresco di acidità e ricco di sapidità.
Spergola, “culo e camicia” con Scandiano!
Diffusa nel Reggiano, a lungo confusa con il Sauvignon, è solo nel 1811 che viene denominata Spergola; nel 1839 il Gallesio la pone tra le bacche rinomate del comprensorio di Scandiano, Sassuolo e Casalgrande. Dove ancora oggi tale vitigno trova la sua patria d’elezione, su circa 200 ettari. Il legame di questa varietà col proprio territorio è rivendicato dalla Compagnia della Spergola, unione di produttori di Scandiano e dintorni, il cui protocollo d’intesa proclama fra l’altro che “nel territorio di Scandiano è presente da tempo immemore nella collina e pedecollina scandianese il vitigno Spergola, autoctono e diffuso in pratica solo a Scandiano”. Alla Compagnia appartiene Tenuta di Aljano di Jano di Scandiano, della famiglia Olivari.
“Produciamo più vini con la Spergola, ma quello che più ne esalta il varietale – sottolinea patron Stefano – è la versione metodo Charmat Colli di Scandiano e Canossa Doc Spumante Brut Brina d’Estate. Un Martinotti lungo foriero di una bollicina paglierino-brillante dai tenui riflessi verdolini e un brioso perlage; al naso è fragrante e fruttata, con ricordi di mela verde, pesca e agrumi.
In bocca è molto secca, di buona struttura e sapidità, a beneficio di freschezza e bevibilità, con un finale lungo e appena morbido”.
Uva Longanesi: fresca la Blu, d’impegno la Nera
Il nome è un omaggio ad Aldo Longanesi, che ritrovò un vecchio ceppo di questa varietà nella campagna di Bagnocavallo (RA) intorno agli anni ‘20; negli anni ‘70 i suoi familiari impiantarono il primo vigneto in toto dedicato a questa cultivar, anche se – sottolinea Daniele Longanesi dell’omonima azienda di Bagnocavallo – “solo nel 1999, dopo un lungo iter, è stata iscritta al Registro Nazionale, e solo dal 2007 rientra nella Igt Ravenna”. Inizialmente confusa col Negretto, anche l’Uva Longanesi ha genesi oscura, forse frutto di un’antica ibridazione spontanea. Il suo grappolo ha tratti morfologici piuttosto variabili, ma le bucce dei suoi acini spiccano per il colore blu notte. Grazie all’impegno del Consorzio Il Bagnovacallo oggi questa bacca – localmente detta Bursôn – ha ritrovato piena affermazione; la si vinifica in due declinazioni: Etichetta Nera, prodotta da uve passite (almeno il 50%), con affinamento in rovere; ed Etichetta Bianca, da uve fresche sottoposte a macerazione carbonica (almeno il 40%), vinificate in acciaio.
Il longevo Ravenna Igt Rosso Bursôn Etichetta Nera di Daniele Longanesi è frutto di una parte di bacche (oltre il 50%) appassite per 20-40 giorni, provenienti dalla tenuta di Boncellino; la macerazione dura 10-15 giorni e l’affinamento è in tonneau per 12 mesi e in botti grandi per un altro anno, con maturazione finale in vetro di 6 mesi.
[Questo articolo è tratto dal numero di gennaio-febbraio 2023 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]