Verdi striati di blu, con prodotti full color; tenacemente abbarbicati alla loro identità, culinaria non meno che linguistica; operosi e benestanti ben oltre la media nazionale; vicini ma non troppo alla Francia, culla della gastronomia mondiale. Sono molte le ragioni per cui i Paesi Baschi rappresentano il cuore della cucina spagnola, il cui cervello alberga nella pazza Catalogna di Ferran Adriá.
Qui alla fine degli anni ’70 deflagrò il movimento della nuova cucina basca, una specie di ’68 gourmet che vedeva sulle barricate ragazzi arrabbiati come Juan Mari Arzak e Pedro Subijana, oggi padri e nonni canuti di giovanotti altrettanto arrembanti. Perché il miracolo basco continua ad accadere, con nomi quali Andoni Luis Aduriz, punta di diamante dell’avanguardia mondiale, e Eneko Atxa, quarantacinquenne chef di Azurmendi.
AZURMENDI NEL SEGNO DELLA SOSTENIBILITÀ
Nella sua Larrabetzu si arriva percorrendo un lungo tratto di strada: il ristorante è una scatola avveniristica depositata dagli alieni in mezzo alla natura, per quanto ben collegata alle arterie di comunicazione. Tutt’intorno un verde fitto di piogge abbondanti, che irrorano gli orti antistanti l’entrata, piantati a crucifere che saturano l’aria di zolfo. Grandi vetrate, spazi squadrati, una cucina sterminata: il modernismo è severo nella sua linearità, posta al servizio di quello che è il principio ispiratore della cucina: la sostenibilità.
A guidare la costruzione ex nihilo dell’edificio è stata la matematica dell’efficienza energetica, che significa utilizzo di materiali riciclati, pannelli solari e centrale geotermica per l’autosufficienza energetica, riciclo dell’acqua piovana immagazzinata per le esigenze di cucina. Tanto che nel 2009 è arrivata la certificazione LEED (Leadership in Energy & Environmental Design), seguita nel 2014 e nel 2018 dal titolo di ristorante più sostenibile del mondo ai 50 Best e da una scontata stella verde, oltre le tre d’ordinanza. Ma in questa cittadella di vetro c’è posto perfino per una banca del germoplasma a tutela della biodiversità.
Di fatto Eneko Atxa è un fenomeno, il più giovane tristellato spagnolo di sempre (nel 2012 aveva 35 anni) nonché un paradigma di successo e di stile uscito quasi dal nulla.
Se ama ripetere che suoi mentori in cucina sono state la mamma e la nonna, maestre di identità basca, il suo apprendistato dopo la scuola alberghiera ha poi continuato a svolgersi in zona, presso mostri sacri come Victor Arguinzoniz di Etxebarri e soprattutto Martin Berasategui, fuoriclasse a Lasarte.
Nessuno tuttavia avrebbe pronosticato i suoi clamorosi exploit nel momento in cui aprì nel 2005 Azurmendi, così battezzato dal soprannome della madre. Presentendo con intuito esemplare voglie e umori del mercato.
La biografia resta nel piatto, dove Atxa non perde occasione di omaggiare il terroir, che spesso ispira le composizioni attraverso il repertorio tipico. Gli svolgimenti tuttavia sono indubbiamente contemporanei, per tecniche avanzate e presentazioni epurate, al limite del giapponismo, in simbiosi con la linearità dell’architettura.
Nella centralità delle salse e dei grandi fondi, nonché nella sapienza delle cotture, c’è posto poi per tanta Francia, quella che senza varcare i Pirenei ha assorbito da sua maestà Berasategui. Ed è un mix che seduce e avvince un pubblico assolutamente eterogeneo, tanto il signorotto appassionato di pil-pil e kokotxas quando il sofisticato globetrotter gourmet. Ars est celare avanguardiam, verrebbe quasi da dire, mentre le ostentazioni e gli spettacolarismi bulliani e post bulliani cedono felicemente il passo a un astuto comfort di nuovissimo conio.
Non che la tendenza sia ignota: sono tanti e altissimo locati gli chef che lavorano alla definizione ipertecnologica, da schermo di ultima generazione, e alla iperconcentrazione dei gusti inconfondibili della tradizione, volgendo per così dire il classico, moderato per definizione, in anticlassico secondo un mulinello intrigante. Non ultimo il nostro Andrea Aprea con la sua cucina italiana, centrata come il mirino di un cecchino.
Ad Azurmendi, tuttavia, quello stile trova la sua massima consacrazione oltre che il suo apripista, con tutti i rischi annessi e connessi. Non è facile, infatti, lavorare su crinali così ripidi evitando la stucchevolezza e l’assuefazione del palato, che si stanca in fretta di melasse adesive come ragnatele e di umami che si tagliano con il coltello.
Proprio quello, probabilmente, diventa allora il virtuosismo.
LA SFRONTATEZZA DEI TIMIDI
Ed è uno stile che stupisce, in fondo, da parte di uno chef giovanile che si presenta come un rocker, con i capelli corvini e perfino gli orecchini.
“La cucina è stato il mio modo per superare la timidezza”, confessa. “Noi baschi siamo così: forti fuori e teneri dentro. Come i miei piatti”. Contrappuntano languide delicatezze floreali e riduzioni esasperate, integrità dell’ingrediente, madido di succhi verginali, e intensità vertiginose.
Mentre la sostenibilità entra in campo aiutando la decantazione del gusto grazie a ingredienti freschissimi e cotture puntuali.
Ad Azurmendi a sostenibilità, insomma, diventa gusto puro, quali tecniche favorite le basse temperature di vecchio e nuovo conio, lunghe come lo svolgimento di un racconto popolare.
In tempi in cui la creatività arranca, non sono pochi gli chef che hanno cercato di guadagnare la ribalta attraverso varie forme di impegno e nobili concioni, mentre magari alzavano i prezzi accogliendo solo super ricchi, sbarcati da aerei privati seminanti CO2. È forte il sospetto, insomma, che chi parla di sostenibilità lo faccia per moda e convenienza, ad uso di un pubblico zeppo di moralismo e conformismo.
Eneko Atxa, tuttavia, fa indubbiamente sul serio, evitando al tempo stesso ogni riduzionismo. Non mira per esempio a produrre tutto in casa, quanto a mantenere viva la rete dei fornitori locali, a chilometro zero o poco più, assicurandosi che gli scarti tornino ai campi in forma di compost.
Né esclude a priori la carne, che anzi nel suo ristorante gioca un ruolo di spicco, pur non essendo protagonista.
“Una cucina sostenibile non è necessariamente vegetariana”, rivendica convinto. “Mi chiedo che cosa succederebbe ai piccoli allevatori, se si compisse questa svolta. Credo piuttosto nell’equilibrio: prima di rinunciare, bisogna riorientare”.
UNA DEGUSTAZIONE ITINERANTE AD AZURMENDI
Ogni visita ad Azurmendi prende le mosse da una degustazione itinerante, durante la quale l’ospite pesca i primi assaggi in modo didattico da riproduzioni in scala dell’habitat circostante. È il cosiddetto “picnic di benvenuto”, seguito dal tavolo del tartufo in cucina e dalla nuova serra: un modo per ambientarsi nel microcosmo virtuoso e familiarizzare con le brigate, che contano 60 elementi e diversi italiani in posizioni chiave (su tutti il restaurant manager Matteo Manzini).
Il menù degustazione Adarrak, intitolato alla montagna di San Sebastian, costa 260 euro, più 150 o 300 per il pairing base o deluxe, estratto da una carta dei vini internazionale. Fra i piatti firma arriva subito l’uovo tartufato, ottenuto con una semplice siringa da un tuorlo d’uovo di fattoria completamente crudo: ne viene estratta la metà, rimpiazzata da acqua di tartufo caldissima. Per questo, dice lo chef, l’uovo è cucinato all’inverso, dall’interno verso l’esterno. A completarlo un goccio di serico grasso di prosciutto Joselito, per la crasi fra uovo al tartufo e uovo al bacon.
Il repertorio basco è protagonista nel “Txipiron Pelayo”, rivisitazione di una tipicità della costa. Si tratta di calamari crudi affettati molto finemente, in modo da ottenere una testura stupendamente vischiosa, quasi di miele grazie alla fuoriuscita del collagene, serviti poi per via di paradosso a matassa su un letto di cipolla caramellata per quattro giorni. Un boccone memorabile nel suo minimalismo e nel contrasto fra potenza della cucina come forza di trasformazione e intensità dell’ingrediente al naturale.
Stessa centratura implacabile nella castagnola di maiale, sempre Joselito, cotta prima a bassa temperatura, poi finita sulle braci e accompagnata da una paletta di brodo di musetto concentrato; oppure nei fragranti piselli lagrima, icona della gastronomia basca, minuti e dolcissimi grazie alla raccolta precoce, prima che gli zuccheri si convertano in amido, che solleticano il palato rotolando come caviale verde. Vengono serviti con una ciotola di brodo di ceci dalla concentrazione proverbiale: di 50 litri ne restano appena 4, senza bisogno di addensanti o gelificanti diversi dalle sostanze già presenti nella materia.
Umami e minimalismo che sono puro Giappone. “Sembriamo popoli lontani, ma abbiamo tanto in comune”, commenta Atxa. “Un tavolo per noi non è un mobile, ma un luogo simbolico attorno al quale ci riuniamo per nascite, matrimoni, funerali e per qualsiasi altro rito. Poi il sentimento della natura. Noi baschi siamo molto cattolici, ma abbiamo radici pagane. Sentiamo la stagione, il clima, il mare. È un’arma potente per trasformare l’ingrediente”.
L’AVANGUARDIA DELLA SOSTENIBILITÀ AD AZURMENDI
E il Giappone torna nella macchina da granita del dessert, la cagliata di erbe, miele e millefiori, rivisitazione di un dolce tipico basco chiamato gatzatua. Dove il latte di pecora viene infusionato di erbe e fiori della propria serra, più miele in cristalli ghiacciati, per salvaguardare gli aromi con una testura leggera e rinfrescante, aria di miele, rosmarino e fiori per colore e profumo. Mentre gira la ruota della sua granita, tuttavia, la mente di Eneko Atxa è già oltre. Per lui la sostenibilità non è un concetto al fermoimmagine, ma un ideale in divenire, che non smette di spostarsi più in là.
“Prendiamo la sostenibilità rigenerativa. Tutti sono concentrati a misurare l’impatto del cambiamento dell’industria automobilistica sul clima, proprio mentre gli esperti di Harvard stanno quantificando la forza rigenerativa di un albero o di una balena, che nella sua vita assorbe tantissime emissioni in mare. È la natura stessa che rigenera. Questo può rivestire un enorme significato per noi cuochi. Nella vita privata, poi, sono tenuto a insegnare alle mie figlie di 9 e 12 anni a pianificare i pasti e a fare la spesa, cosa e come comprare per evitare gli sprechi, come cucinare quotidianamente, prolungare la vita degli alimenti e riciclare gli scarti. È necessario costruire un circolo fra famiglie, settore primario, logistica, nutrizionisti e medici in questo senso. Se ci riusciamo, sarà l’avanguardia della sostenibilità, un esercizio continuo che a un certo punto diventerà superfluo”.
[Questo articolo è tratto dal numero di gennaio-febbraio 2023 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]