
L’acqua cristallina del lago evidentemente non era più un testimonial sufficiente a promuovere la bellezza e l’opulenza del Garda, e nemmeno il vino che si produce sulle pendici dei colli che gli fanno da corona: la sfida oggi si chiama infatti spumante, una scommessa da 20 milioni di bottiglie, sottoscritta dai produttori delle dieci denominazioni che si sono riunite nell’ambizioso progetto.
Nuove bollicine italiane sono pronte ad affrontare le sfide del mercato e ad affiancare l’inarrivabile Prosecco nella conquista delle tavole di tutto il mondo. L’impresa è di quelle davvero ardue, ma proprio per questo sicuramente affascinante. Se è vero infatti che lo spumante trevigiano può contare su un brand ampiamente consolidato per qualità e notorietà, altrettanto vero è che il lago di Garda è una delle destinazioni turistiche più gettonate del nostro Paese, capace di attirare sulle sue sponde almeno 25 milioni di visitatori ogni anno, un patrimonio umano sul quale i produttori di vino di quelle parti hanno deciso di investire.
“Sarebbe sufficiente che ogni turista in visita sul lago acquistasse almeno una bottiglia del nostro spumante – ha dichiarato fra il serio e il faceto Luciano Piona, presidente del Consorzio Garda Doc – e avremmo risolto in un batter d’occhio tutti i nostri problemi”. Ma non è così facile: non si può dimenticare infatti che negli ultimi anni non tutti i territori a vocazione vitivinicola che hanno provato il rilancio buttandosi nella spumantizzazione sono riusciti nel loro intento. Che ci sia una sorta di inflazione di bollicine è noto ormai da tempo: in una situazione del genere è difficile emergere con prodotti nuovi, anche se le strategie di marketing puntano ad abbinamenti dal sicuro fascino turistico. Ma non tutti i turisti hanno una cultura e una curiosità enologiche tali da garantire sicuro successo all’equazione prospettata dal presidente Piona. Il quale però ostenta sicurezza: “Sappiamo – ha detto infatti – che da qualche tempo il Prosecco ha raggiunto un livello di vendite ormai stabile, anche a causa di una certa sofferenza dovuta all’aumento quantitativo dell’offerta e di una difficoltà sempre maggiore a conservare lo stesso prezzo di vendita. Garda Doc ambirebbe dunque a collocarsi sul mercato come prodotto simile al Prosecco, per genesi e provenienza, ma in un ambito più di nicchia: la nostra base produttiva è un decimo di quella trevigiana, ma i nostri produttori sono capaci di produrre ottimi vini. La maggior parte dello spumante Garda Doc sarebbe prodotto col metodo Charmat, ma il disciplinare garantisce ai vignaioli più spregiudicati anche la possibilità di lavorare col metodo classico, una versatilità che lascia maggiore libertà d’azione per raggiungere, si spera, elevate vette qualitative”. Va detto che lo spumante, sul lago di Garda, non è una novità: da molti anni le cantine che producono le denominazioni raccolte nel consorzio gardesano (Valtenesi, San Martino della Battaglia, Lugana, Colli mantovani, Custoza, Bardolino, Valpolicella, Valdadige, Durello e Soave) producono privatamente bollicine, seppure in quantità ancora poco significative. Una massa che non è mai riuscita a diventare critica, probabilmente anche a causa di strategie di comunicazione poco efficaci. Con l’operazione Garda Doc si è cercato di rimediare agli errori del passato, approfittando dell’innegabile successo internazionale di questa tipologia di vino e della notorietà di un nome, Garda, che oggi si vorrebbe identificare anche con un grande spumante. “Ciò a cui abbiamo puntato – ha dichiarato Piona, uno degli alfieri del Bianco di Custoza veronese – è la necessità di dare alle nostre bollicine, già da tempo presenti sul mercato ma in ordine sparso, una precisa identità e un’adeguata collocazione. Garda Doc dovrà diventare un altro sinonimo di spumante, proprio come è accaduto con il Prosecco”. Le premesse, d’altronde, ci sono tutte: gli ettari di produzione superano i 30mila, il 90% dei quali situati nella provincia di Verona, mentre il restante 10 se lo spartiscono quella di Brescia e quella di Mantova. Un territorio naturalmente vocato alla produzione di ottime uve e dotato di strutture che nel corso dei decenni sono riuscite a conferire un valore aggiunto ai vini del nostro Paese: evidentemente era giunto il momento del salto di qualità.
Per questo sul Garda hanno voluto fare le cose in grande, legando il nuovo spumante alla presentazione di grandi eventi del territorio e costruendo un marchio che possa piano piano diventare immediatamente riconoscibile per i consumatori: l’onda stilizzata graficamente che campeggia su tutte le bottiglie dello spumante gardesano è frutto di un concorso di idee e la dice lunga sulle intenzioni commerciali del nuovo brand. Le innovazioni portate nella denominazione hanno fatto il resto, imponendo alle etichette poste sulle bollicine lacustri la sola dicitura Garda, proprio per evitare di confondere il consumatore e per invitarlo a legare i bei ricordi delle vacanze trascorse sulle spiagge benacensi al piacere del flut. La sfida è dunque lanciata, ma, come sanno bene coloro che già hanno tentato inutilmente simili operazioni, il rischio di insuccesso è alto: quando si decide di costruire a freddo una nuova passione, bisogna spesso fare i conti non con la testa del consumatore, ma con il suo cuore, al quale, come recita un vecchio adagio popolare, si sa che non si può comandare.
Ma Carlo Alberto Panont, direttore del Consorzio Garda Doc, è di tutt’altro avviso: “La scelta che abbiamo fatto, e che reputiamo vincente, è stata quella di valorizzare un brand già affermato, Garda appunto, trasformandolo in un vino di successo e individuando nella tipologia spumante, oggi una delle più apprezzate, quella in grado di aggiungere un ulteriore valore economico e commerciale ai prodotti tradizionali delle dieci denominazioni del Consorzio, che da sole vantano un parco clienti di tutto rispetto”. Si tratta di scoprire ora se e fino a che punto gli appassionati sapranno cogliere l’ambiziosa proposta.