Rudi-Dutschke-Strasse è una delle strade più elettriche di Kreuzberg, nel via vai di turisti con il kebab in mano che sfilano fra le guardie al Checkpoint Charlie, per poi tuffarsi in qualche aperitivo dentro mille localini hipster. Uno scenario inconsueto per l’eccellenza gastronomica, dove nel settembre 2010 Tim Raue e la partner in business Marie-Anne hanno aperto il loro ristorante, oggi unanimemente considerato il primo della capitale tedesca (se non della Germania) grazie a due stelle Michelin (nessuno ne vanta tre nei paraggi), all’ottimo ranking ai 50 Best e al doppio titolo di Chef of the Year, conferito da Gault & Millau nel 2007 e Der Feinschmecker nel 2011, senza dimenticare la recente consacrazione su Netflix. Sul logo un colibrì, simbolo di creatività, unicità, libertà: la cifra della cucina, sempre leggera e capricciosamente svolazzante.
Il suo volo nel cielo di Wim Wenders, fra la corona dorata della Siegessäule e il pinnacolo vintage della Fernsehturm, era del resto iniziato proprio qui: a Kreuzberg, dove Raue è nato nel 1974 da una famiglia modesta. Ed era proseguito in Germania, dove si sono svolte integralmente formazione e carriera dello chef: prima gli studi e l’apprendistato di rito, poi le prime esperienze al ristorante Quadriga dell’hotel Brandenburger Hof, al Bamberger Reiter e allo Schloss Glienicke; la toque da chef al Rosenbaum e al Kaiserstuben, con il riconoscimento di “Newcomer of the Year” da parte sempre di Feinschmecker; l’arrivo all’E.T.A. Hoffmann del Riehmers Hofgarten Hotel, valevole del titolo di “Berliner Meisterkoch”, e al Restaurant 44 dello Swisshotel, premiato con la stella Michelin. Dopo l’Adlon e il Mâ, la scalata a chef patron presso il ristorante omonimo, stellato dal 2011, bistellato già un anno dopo, in futuro chissà. Ma il mal d’Asia è cronico dal 2003, quando Raue è diventato Global Culinary Advisor per Swisshotel e ha iniziato a esplorare il continente con regolarità, viaggiando, assaggiando, studiando con gli occhiali inforcati e la forchetta in mano (i cuochi della sua brigata restano principalmente europei, in maggioranza tedeschi o austriaci).
Con lui Marie-Anne (foto a lato), direttrice e sommelier da un indirizzo all’altro (oggi supportata dal restaurant manager André Macionga) (foto a lato), protagonista di una gavetta parallela, tanto paziente quanto instancabile. Ma nel presente di Raue ci sono anche il ristorante Sra Bua del Kempinski Hotel Adlon di Berlino, con una proposta più informale sulla stessa linea della casa madre; tre brasserie Tim Raue a Berlino, Monaco e Costanza con Tertianum Premium Residences, brand di case di riposo deluxe; l’Hanami sulla nave da crociera Tui e Spices a Sylt, pittoresca isola del Mare del Nord. Più varie ed eventuali in agenda, per esempio il ripescaggio del concept tedesco della Soupe Populaire, recentemente chiusa a Berlino.
Spin-off che non allontanano Raue dall’amata Kreuzberg, di cui il locale conserva le atmosfere, in contrasto con una diversa ricercatezza: sui pavimenti in cemento gli arredi classici e sobri ricordano la vecchia Galleria Crone, che qui aveva sede; li impreziosiscono i tovagliati Kvadrat e le ceramiche Asa. Ma gli ambienti sono diversi: c’è la Krug Table, massiccia tavola in quercia e intarsi di metallo, con vista sulla cucina per piccoli gruppi e menu ispirati allo Champagne. Poi c’è la scala in noce che conduce al piano inferiore, dove un soffitto di 300 lampadine evoca il cielo lampeggiante di Hong Kong. Sotto di esso possono sedersi fino a 30 ospiti per piccoli eventi privati. È da qui che il colibrì intraprende la sua migrazione verso est, in chiave panasiatica: la cucina di Raue opera infatti una coalescenza di rigore sul prodotto giapponese, tessiture aromatiche thai e filosofia culinaria cinese. Senza alcuna tentazione fusion né contaminazioni alla Massimo Bottura, uno che in cucina usa il dashi, ma di Parmigiano. È dentro i confini di un solo continente che si staglia il ring della creatività, con qualche sporadica eccezione di natura squisitamente tecnica. Ogni piatto è pensato per massimizzare energia e joie de vivre, senza stressare il corpo, quindi i carboidrati, compresi pane, pasta e riso, gli zuccheri semplici e i latticini contenenti lattosio sono banditi.
Non mancano i signature, depositati lungo la parabola ascendente. Per esempio scampi e wasabi alla maniera cantonese, piatto ispirato ai gamberi gustati 15 anni prima al Jade restaurant dell’hotel Fullerton di Singapore, un classico moderno firmato Sam Leong. “Il piatto era sorprendente: caldi crostacei croccanti, cotti al wok, con una salsa piccante cremosa e ricca, un mix di tecniche di cucina cinese e prodotti giapponesi. Su queste basi ho creato la mia versione, sostituendo i gamberi con scampi più dolci e succosi, spingendo il croccante con riso verde soffiato e il gusto con una vinaigrette thai speziata ma freschissima di mango e carota. Qualcosa di più complesso e personale”. Oppure il maialino da latte, dove fa capolino un po’ di Germania insieme alle consuete tecniche cinesi. Gli stinchi, croccanti fuori e succulenti dentro, sono trinciati e disossati in sala, per essere impiattati elegantemente con una crema di senape giapponese, giovane zenzero marinato e gelatina di dashi. Soprattutto la celeberrima anatra alla pechinese interpretazione TR, vera icona del ristorante, una preparazione straordinariamente lunga e complessa, dove la carne alla fine è impiattata in tre servizi: il petto con cialda ripiena di composta di mele e cipolle piccante; la mousse di fegato con porro, zenzero, cetriolo e pelle croccante; i cuori fritti con lingua e stomaco in brodo al melone.
L’INTERVISTA
La tua carriera è stata umile e graduale, del tutto peculiare a questi livelli. Il risultato potrebbe essere l’assenza di modelli, il colpo d’ala del colibrì.
Ho tentato di lavorare per 2 o 3 celebrity chef, in modo da farmi le ossa, ma sfortunatamente (o forse no) ho scalato l’organigramma così in fretta, che ad appena 23 anni, in grande anticipo sul cronoprogramma, ero già head chef. Da quel momento in avanti ho percorso la mia strada da solo, lentamente ma con determinazione. E questo forse ha propiziato una certa libertà.
Un’altra peculiarità che salta agli occhi, considerata la tua cucina attuale, è che hai sempre lavorato in Germania. Cosa rimane di locale nei tuoi piatti?
Usi e sei ispirato dai prodotti tedeschi? Diversi cuochi della tua generazione ne hanno fatto una bandiera, teorizzando una Neue Deutsche Küche che non sembra sfiorarti. Ho imparato che si sviscera meglio una cucina, mangiando un intero piatto in sala da pranzo che pelando cipolle in qualche angolo buio. In passato ho creato un concept di ristorante tedesco, dove usiamo e siamo ispirati da prodotti tedeschi. Ma presso il ristorante Tim Raue il focus sono gli ingredienti asiatici. La nostra non vuole essere una cucina fusion o contaminata, come quella che si pratica in tanti altri ristoranti blasonati.
La cucina asiatica è estremamente complessa e varia. Perché ti attrae così tanto, in relazione alla tua identità?
Tutto è nato dai profumi della cucina thai e cinese e dall’ossessione giapponese per il migliore prodotto.
Descrivi infatti il tuo stile come “un blend di perfezione del prodotto giapponese, aromaticità thai e filosofia culinaria cinese”. Potresti spiegarlo meglio, facendo l’esempio di un tuo piatto?
Certo. Prendiamo il Lucioperca al vapore con salsa di soia Kamebishi, porro e zenzero. In origine si trattava di un piatto cantonese, ma la salsa è preparata con una soia giapponese invecchiata per 10 anni nel legno, il pesce è tagliato e cotto al vapore alla francese, i contorni sono cucinati a modo mio con marmellata di limone, giovane zenzero marinato e peperoncino verde thai quali spezie per insaporire.
Quindi le tecniche di cucina sono eclettiche.
Sì, adoperiamo perlopiù procedure cantonesi e francesi, ma nel corso di un decennio sono arrivato a creare un modo unico di fare. Qualcosa di mio.
Come sposi la tua cucina al vino ed eventualmente ad altre bevande?
Cerchiamo semplicemente il match fra profumi. Di solito abbiniamo vini forti e potenti a piatti che hanno la stessa intensità, come Bordeaux, bottiglie californiane o del Rodano. Mentre per i piatti leggeri ed eleganti privilegiamo sakè, Borgogna e rinfrescanti vini bianchi tedeschi.
RESTAURANT TIM RAUE
Rudi-Dutschke-Straße 26, Berlin, Germania
Tel. +49 30 25937930
www.tim-raue.com