Diventare vegani o vegetariani è diventato mainstream in Gran Bretagna: sempre più persone si convertono ad una dieta a base vegetale.
Abbiamo visto un chiaro segno di questo cambiamento durante il vertice COP26 a Glasgow lo scorso novembre.
A prescindere dai risultati ottenuti durante le discussioni sul riscaldamento globale e cambiamento climatico, i leader mondiali si sono seduti a tavola gustando piatti a base vegetale in linea con le aspirazioni dell’evento.
L’80% del cibo era stagionale e proveniente dalla Scozia, con un complessivo 95% di cibo proveniente dal Regno Unito, incentrato sull’idea che la sostenibilità dovrebbe essere al centro della ristorazione del vertice, della riduzione delle emissioni e della promozione di una produzione alimentare rispettosa dell’ambiente.
Il menù non era al 100% vegano, ma il fatto che la maggior parte dei piatti in un evento internazionale di così alto profilo sia stato fortemente voluto, è stato un chiaro messaggio che c’è un notevole cambio di paradigma.
AL VERTICE COP26 SI PORTANO IN TAVOLA PIATTI VEGAN
Per ogni piatto offerto al COP26 è stata fornita una stima dell’impronta di carbonio, aiutando i delegati a fare scelte rispettose del clima. Tra le materie prime selezionate le alghe di Mara Seaweed, azienda di Edinburgo, i cui prodotti crescono in abbondanza in modo sostenibile, senza fertilizzanti, senza utilizzo di acqua o terreni.
Carote e patate dell’azienda Benzies che utilizza turbine eoliche per fornire energia e mantenere i propri prodotti al fresco e biomassa per fornire riscaldamento e riciclare attivamente l’acqua utilizzata.
Le tazze utilizzate per servire le bevande durante l’evento erano riutilizzabili e lavabili 1.000 volte; si stima che questo approccio abbia fatto risparmiare fino a 250.000 tazze monouso. Questo focus su un menù a base vegetale era inevitabile, dato il crescente slancio verso il passaggio alla dieta vegana negli ultimi anni in Gran Bretagna, nazione patria della Vegan Society, costituitasi nel 1944, come costola della Vegetarian society, che coniò la parola vegan utilizzando le prime tre lettere e le ultime due di vegetarian.
LA FILIERA VEGANA
Nel 2010 l’invito delle Nazioni Unite per un’ampia diffusione globale della dieta a base vegetale e poi un susseguirsi di una serie di studi ed iniziative di sensibilizzazione di massa da parte di gruppi promotori, ha sdoganato il veganismo diventando mainstream con supermercati, ristoranti, produttori di cosmetici, medicinali, articoli da toeletta, abbigliamento e tessuti completamente vegan dalle materie prime, alle lavorazioni successive, rivolgendosi ad una clientela inizialmente di nicchia e poi sempre più in crescita.
Gli amanti del caffè britannici possono oggi gustarsi un caffè macchiato, un cappuccino, un “flat white” con latte di soia, ma anche di avena, cocco, mandorle invece del classico latte vaccino, senza dover impazzire per cercare un servizio bar che proponga queste alternative.
Un esempio al passo coi tempi e che ha fatto notizia in Gran Bretagna è Cadbury, conosciutissima azienda britannica di alimenti e bevande, che a partire dallo scorso novembre ha introdotto l’alternativa vegana alla sua famosissima barretta al cioccolato Dairy Milk.
La nuova barretta veg Cadbury Plant Bar utilizza pasta di mandorle al posto del “bicchiere e mezzo di latte vaccino” che dovrebbe essere tra gli ingredienti principali dell’originale Dairy Milk bar.
LA PROFONDA CRISI DEGLI ULTIMI DUE ANNI COME TRAMPOLINO DI LANCIO ALLA DIETA VEGETALE
Veganuary è un’organizzazione di beneficenza che ogni anno invita milioni le persone a provare la dieta veg e lo scorso 2021 ha coinvolto ben più di 580.000 persone, in più di 200 nazioni e quest’anno sono certi di battere questo record.
Personalmente conosco diversi britannici che in questi ultimi mesi hanno confermato un cambio quasi al 100% del loro approccio alimentare, prediligendo la cucina vegetale con un occhio a sostenibilità e ambiente. Per molti, complici gli eventi degli ultimi due anni, eliminare la carne è avvenuto durante il lockdown e piano piano hanno diminuito i derivati, riscontrando benefici immediati sia nel fisico, sia nel tono dell’umore, cosa che non guasta di questi tempi.
A conferma di ciò, una ricerca della Vegan Society, da cui è emerso che un gran numero di britannici ha ridotto la quantità di prodotti animali che consuma dall’inizio della pandemia di Covid-19: il 20% della popolazione ha ridotto la quantità di carne che mangia, mentre il 12% ha dichiarato di aver ridotto al minimo l’assunzione di uova e latticini.
Il 7% degli intervistati ha rivelato di aver ridotto tutti e tre i prodotti, equivalente a un totale del 25% che ha attivamente ridotto, in una qualche forma, i prodotti animali sin dal primo lockdown.
Lo studio ha inoltre rivelato che il 34% delle persone trascorre più tempo con i propri animali da compagnia e il 32% pensa di più al proprio impatto personale sul pianeta. In un secondo sondaggio la Vegan Society ha analizzato le motivazioni di coloro che hanno ridotto i prodotti animali ed è emerso che il 35% è mosso principalmente da problemi di salute, percentuale che sale al 39% per gli over 55, mentre il 30% è deciso al cambiamento per questioni ambientali e di sostenibilità, mentre il 21% vuole impegnarsi alla causa per i diritti degli animali.
Louisianna Waring, responsabile Insight e politiche commerciali della Vegan Society, ha mostrato la sua soddisfazione nel vedere che non solo le persone stanno riducendo consapevolmente i prodotti animali, ma che questa tendenza è rimasta tale anche nel corso dell’ultimo anno, e aggiunge: “Non sorprende che la pandemia abbia ispirato così tanti consumatori a passare ad alternative a base vegetale e ad adottare una dieta più rispettosa del pianeta. Il Covid-19 ha sicuramente fatto riflettere le persone su cosa stanno mangiando e da dove proviene. Ciò è evidenziato dal gran numero di persone che riducono i prodotti animali a causa dei propri problemi di salute”.
Di fatto, una recente ricerca pubblicata sul British Medical Journal afferma che le diete a base vegetale e pescetariane sono associate a minori probabilità di contrarre l’influenza Covid-19.
UN DIBATTITO LEGISLATIVO IN CORSO
Gli attivisti e sostenitori della dieta vegetale chiedono a gran voce che la svolta al veganismo fosse appoggiata anche dalla legislazione, con sussidi per il cibo a base vegetale, ma l’opinione all’interno del governo Johnson è contrastante.
Il Comitato indipendente sui cambiamenti climatici ritiene importante che i britannici debbano essere incoraggiati dal governo a ridurre la quantità di carne e latticini, raccomandando una riduzione di almeno il 20% di tali prodotti entro il 2030, poiché la riduzione del consumo di carne e latticini ridurrà le emissioni dell’agricoltura, liberando terra per piantare alberi che aiutano ad assorbire l’anidride carbonica.
Al momento il governo Johnson ha affermato che manterrà la libertà di scelta delle persone nella loro dieta. Il segretario agli affari Kwasi Kwarteng ha replicato parlando ai media dell’importanza del veganismo per il cambiamento climatico. Esso stesso, ha affermato che potrebbe adottare una dieta vegana per fare la sua parte nello sforzo globale per il clima.
Questo perché sarebbero necessari cambiamenti nello stile di vita in tutta la società, se il governo del Regno Unito vuole veramente raggiungere il suo nuovo obiettivo di emissioni: tagliare del 78% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2035.
Kwarteng ammette: “Sto certamente riducendo il mio consumo di carne, non solo per motivi ambientali, ma anche per motivi di salute. Sto mangiando molto più pesce di quanto abbia mai fatto prima e forse a un certo punto potrò passare a una dieta vegana completa. Il numero di persone che stanno riducendo il consumo di carne, è in costante aumento. Penso che ci siano molti cambiamenti sociali che effettivamente ci aiuteranno e guideranno il progresso verso il 2035”.
Le opinioni di Kwarteng sono in netta contrapposizione con quelle del premier Johnson, secondo il quale in risposta ad un’intervista alla BBC circa la sua decisone di perdere peso nel 2020 e se avesse intenzione di abbandonare carne e latticini dalla sua dieta, ha asserito che il veganismo è un “crimine contro gli amanti del formaggio e che per lui richiederebbe troppa concentrazione”, aggiungendo però la propria ammirazione per i vegani che sono in grado di gestire la loro scelta.
Non poteva certo mancare la risposta degli attivisti che hanno sottolineato come l’offerta di formaggi vegani sia ampia non solo online, ma su tutti i banchi degli alimentari, unitamente a tutte le altre alternative vegetali. Difatti, tra le ultime novità alternative al latte vaccino, oltre a mandorle, soia, cocco, avena – c’è il latte di patate ed il latte di avocado.
In Inghilterra il mercato del solo latte vegetale è stimato a 400 milioni di sterline all’anno, mentre il mercato globale delle alternative a base vegetale è fissato a oltre 115 miliardi di sterline.
Dal 1990, Il marchio “Vegan” della Vegan Society si è stabilizzato sul mercato aiutando gli utenti a identificare i prodotti privi di ingredienti animali. Oltre 56.000 prodotti in tutto il mondo, inclusi cosmetici, abbigliamento, cibo, bevande, articoli per la casa e molti altri mostrano il marchio Vegan. I numeri parlano chiaro. Solo nel 2019, The Vegan Society ha registrato 14.262 prodotti con il marchio Vegan, in aumento rispetto al 2018, quando furono registrati 9.590 prodotti.
Il marchio Vegan è presente in 108 Paesi, con oltre il 50% dei prodotti registrati provenienti da aziende con sede al di fuori del Regno Unito.
Secondo le principali società di consegna di alimenti negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito, gli alimenti a base vegetale sono la categoria in più rapida crescita che le persone ordinano. Secondo le stime dei gruppi attivisti il numero di vegani a livello mondiale è di quasi 80 milioni; e nel Regno Unito il 66 % per cento sono donne.
LA RIVOLUZIONE VERDE: LINEE GUIDA DA CHATAM HOUSE
Secondo il Royal Institute of International affairs (Chatham House) di fronte a una recessione globale dovuta alla pandemia di COVID-19, i leader mondiali devono affrontare le cause alla radice di tale crisi, sia come crisi di salute pubblica derivante da una malattia zoonotica, sia come crisi economica e sociale esacerbata da sistemi alimentari interconnessi e ad allo stesso tempo fragili e quindi discutere le opzioni per il rilancio economico.
Gli sforzi di ripresa economica post-Covid da parte dei governi di tutto il mondo offrono un’opportunità unica per mettere in atto misure per una “ripresa verde”.
Il rapporto Food System Impacts On Biodiversity Loss del Royal Institute of International affairs del 3 febbraio 2021 (www.chathamhouse.org/2021/02/food-system-impacts-biodiversity-loss/03-key-levers-food-system-redesign) afferma che “negli ultimi 50 anni, la conversione degli ecosistemi naturali per la produzione agricola o il pascolo è stata la causa principale della perdita di habitat, riducendo a sua volta la biodiversità… Senza riforma del nostro sistema alimentare, la perdita di biodiversità continuerà ad accelerare…”.
Il rapporto fornisce i tre elementi chiave necessari per la riprogettazione del sistema alimentare più favorevole alla biodiversità: “…in primo luogo, i modelli alimentari globali devono convergere attorno a diete più vegetali, a causa dell’impatto sproporzionato dell’allevamento di animali sulla biodiversità, sull’uso del suolo e sull’ambiente… In secondo luogo, incrementare gli spazi come habitat naturali protetti…
In terzo luogo, coltivare in modo più rispettoso della natura, a sostegno della biodiversità, limitando l’uso di mangimi, fertilizzanti ed altri agenti, sostituendo la monocoltura con la policoltura…” e concludono in maniera categorica che il cambiamento nell’alimentazione e la riduzione degli sprechi alimentari sono fondamentali per rompere i vincoli del sistema che hanno guidato l’intensificazione dell’agricoltura e la continua conversione degli ecosistemi autoctoni alla produzione agricola e al pascolo.