Oggi ho deciso di parlarvi del tempeh, un alimento che porta con sé una storia secolare fatta di gesti ed ingredienti semplici che lo rendono unico al mondo. Il suo pregio sta anche nei suoi eccellenti valori nutrizionali, di cui possiamo trarre beneficio senza rinunciare al gusto e assaporando un’aromaticità che si adatta a tutte le cucine del mondo.
COS’È IL TEMPEH
Il tempeh (pronuncia TEM-pay), di provenienza indonesiana, è un popolare cibo fermentato, che consiste nella fermentazione di fagioli di soia cotti ( occasionalmente vengono utilizzati anche altri legumi, semi, cereali e persino il cocco) tenuti insieme da un denso e “cotonoso” micelio generato dal fungo Rhizopus oligosporus che li compatta in panetti dallo spessore di 2cm circa. Il tempeh può essere venduto fresco, refrigerato o congelato, in Italia lo si trova sottovuoto nel banco frigo. Di solito viene affettato sottilmente o fatto a cubetti, fritto o saltato in padella fino a doratura e a superficie esterna croccante. Sapore e struttura del tempeh variano in base alle modalità di cottura; la consistenza e l’aroma talvolta ricordano il “pollo fritto”, le “cotolette di vitello” o “filetti di pesce” presentano sentori lievemente dolci che, a seconda del palato, assumono note simili alle noci, al formaggio, ai funghi ed al lievito del pane appena sfornato. Il processo di fermentazione a cui viene sottoposto lascia la possibilità di affidarsi alla libera interpretazione del proprio gusto, conferendo una struttura tale da poter essere affettato, anche molto sottilmente, con consistenza simile alla carne.
Il tempeh di soia è il più conosciuto ed utilizzato, ma non l’unico. Tra i miei favoriti c’è il tempeh di arachidi, oppure esiste anche quello di miglio, di riso e soia, oppure il tempeh di okara che altro non è che la polpa ottenuta dagli scarti della preparazione del tofu e/o del latte di soia. In effetti esiste la possibilità di fare innumerevoli tipologie di tempeh che possono essere racchiuse in 5 categorie base:
1) tempeh di legumi, incluse le varianti più tradizionali dell’Indonesia: dalla soia ad altre varietà di fagioli meno conosciute in occidente, ma molto diffuse in Africa, Asia tropicale, America centrale , Sud America ed in India tra cui la Mucuna (Mucuna Pruriens,), il fagiolo alato (Psophocarpus tetragonolobus), la Leucaena leucocephala ed il fagiolo mung (i fagioli azuki verdi per intenderci). Negli ultimi decenni la pratica del tempeh si è estesa anche ai lupini, fagioli dell’occhio, fave e ceci.
2) tempeh di grano o riso lavorati insieme ai fagioli di soia;
3) il tempeh di soli cereali: riso, orzo, miglio, grano, avena, segale;
4) tempeh degli “scarti: vengono riutilizzati i materiali di scarto come l’okara e i residui dall’estrazione degli olii di arachidi, cocco e fagioli mung per creare dei deliziosi panetti;
5) tempeh di semi e legumi: con semi di sesamo e soia.
Nella tradizione indonesiana si era soliti aggiungere dei “filler” per diminuire i costi e azzerare gli scarti aggiungendo alla preparazione tradizionale l’okara, la cassava, le bucce dei fagioli, le patate dolci e gli scarti dalle estrazioni dell’olio di cocco.
Nel mercato indonesiano il tempeh viene preparato e venduto in quattro stadi di fermentazione diversi. Si trova così una versione più “acerba” il cui periodo di fermentazione varia dalle 4 alle 6 ore massimo ed il panetto assume una consistenza leggermente compatta; una versione al giusto stadio di maturazione (circa 48 ore) ed è il classico che troviamo nei nostri negozi; poi uno stadio un po’ più maturo del classico, lasciato a fermentare dai 2 ai 3 giorni in più ed infine la versione ben oltre le tempistiche di fermentazione standard, prolungata per ulteriori 3/5 giorni. Più si allungano i tempi di fermentazione più si ottiene un aroma molto simile al formaggio Camembert la cui caratteristica è proprio quella di essere ricoperto da una crosta costituita da una “muffa” bianca.
AUTOPRODURRE IL TEMPEH OGGI E NELLA TRADIZIONE INDONESIANA
Fare il tempeh a casa è molto semplice, non richiede tempi biblici ed è anche molto economico. Basta procurarsi dei fagioli di soia gialla biologici, lavarli, portarli ad ebollizione, spegnere la fiamma e lasciarli in ammollo per almeno 12 ore.
Dopodiché sfregare energicamente i fagioli tra i palmi delle mani per privarli delle bucce che andremo a gettare. Sostituire l’acqua aggiungendone di fresca per un volume pari al doppio della soia ammollata, portarla ad ebollizione e far cuocere per 45 minuti circa aggiungendo 2 cucchiai di aceto di mele; scolare la soia e farla asciugare nella pentola a fuoco bassissimo.
Farla raffreddare sino ad una temperatura di circa 35°C ed a questo punto aggiungere 4 grammi di starter composto principalmente dal fungo “Rhizopus oligosporus”; mescolare e riempire due sacchetti grandi per alimenti (tipo Cuki), posizionarlo su un piano orizzontale, eliminare l’aria all’interno appiattendolo fino a circa 3 centimetri, sigillare il lato aperto con una pinza o con la zip in dotazione. Praticare sul sacchettino dei piccoli fori ad 1 centimetro di distanza e conservare tra i 28° e 31°C per circa 48 ore.
A casa si può mantenere la temperatura dei 31°C posizionando il nostro sacchettino nel forno insieme ad una pentola piena d’acqua bollente e sigillata, mantenendo lo sportello del forno chiuso per 48 ore. Io mi trovo meglio posizionando il panetto direttamente nell’essiccatore che mi permette di avere un maggior controllo impostando direttamente il timer e la temperatura necessari. Dopo 48 ore otterrete un panetto ben compatto e solido, rivestito da una patina bianca, dal leggero odore di ammoniaca.
Se vi è una leggerissima presenza di macchiette grigio/nere, trattasi della muffa sviluppata proprio dal fungo Rizhopus; queste non pregiudicano la qualità ed il sapore del prodotto, l’importante è che siano solo delle macchie sporadiche. Una volta pronto va conservato in frigorifero per 3/5 giorni, oppure anche un paio di settimane se avete la possibilità di metterlo sottovuoto. Con queste quantità si ottengono circa 900 grammi di tempeh ad un costo irrisorio: 500 grammi di soia gialla biologica massimo € 2,00, 4 grammi di starter Rizhopus circa € 1,40, quindi con meno di € 4 ottenete 900 grammi di tempeh, mentre il costo al supermercato varia da € 4,50 a € 5,50 (o anche di più) per circa 250 grammi. Un notevole risparmio per un prodotto dalle caratteristiche nutrizionali eccezionali e che si presta a diverse preparazioni in cucina.
Nella tradizione indonesiana il procedimento di produzione del tempeh è molto simile a quanto descritto qui sopra, ma stupisce per la semplicità ed originalità di due passaggi: i fagioli di soia vengono privati della loro pellicina pestandoli con i piedi in ceste di bamboo piene d’acqua permettendo una sorta di prefermentazione; vengono poi inseriti tra foglie di ibisco a mò di sandwich, dove il micelio matura e viene trattenuto dalla sottile peluria delle foglie stesse permettendo la sporulazione. Per tutto il periodo della fermentazione vengono confezionati in pacchetti di foglie di banano.
CARATTERISTICHE NUTRIZIONALI DELLA SOIA
La soia è un’eccellente fonte di nutrienti chiave: contiene gli 8 amminoacidi essenziali necessari all’uomo (o 10 se si includono tirosina e cistina), con abbondante lisina che invece scarseggia nella maggior parte dei cereali, i quali a loro volta compensano con un’alta disponibilità di metionina e cisteina presenti in quantità inferiori nella soia.
A differenza del tofu, il tempeh è un cibo integro ricco di fibre che permettono di controllare i livelli di colesterolo nel sangue. E’ un prodotto dietetico poiché contiene circa 160Kcal ogni 100gr, pochissimi grassi saturi, abbondanti grassi polinsaturi come l’acido linoleico e non contiene colesterolo. Il tempeh è molto digeribile, grazie ai processi di ammollo, cottura ma soprattutto quello di fermentazione, che riducono enormemente gli “zuccheri” che causano gas intestinali. Il processo di fermentazione rende la soia più morbida e tenera grazie agli enzimi prodotti dal fungo che predigeriscono le proteine (e parte degli olii) trasformandoli in amminoacidi, rendendoli più facilmente assimilabili dal corpo umano. E’ uno dei pochissimi prodotti fermentati vegetali che viene preparato senza aggiunta di sale. Infine, oltre alle vitamine del gruppo B, il tempeh è un’ottima fonte di altre vitamine e minerali resistenti al calore (vitamina A, niacina, calcio, fosforo, ferro, etc). Tutte queste caratteristiche rendono il tempeh il cibo ideale per coloro che tengono alla propria salute.
LA STORIA DEL TEMPEH
Il tempeh ha origine nell’isola di Java, la cui popolazione aveva una lingua propria sin dai tempi antichi, costituita da un insieme di dialetti derivanti dalla lingua malese ed austronesiano antico; soltanto intorno al 1928 il malese divenne la base della lingua ufficiale odierna dell’Indonesia che oggi si somiglia molto, ma che ha subito le influenze dalla colonizzazione olandese. Non è stato trovato molto di scritto sull’origine del tempeh, etimologicamente si sa solo che era sillabato “témpé” con la ”é” da pronunciare come “ay”; per convenzione gli accenti sono stati successivamente rimossi ed aggiunto una “h” finale per indicare la pronuncia “TEM-pay” e non “temp”. Da alcuni studi effettuati sembrerebbe che il tempeh abbia avuto origine più di 2000 anni fa, forse introdotto dai primi commercianti che esportarono dalla Cina un prodotto fermentato con una muffa “Aspergillus Oryzae” che venne poi sostituita dai javanesi con il Rhizopus che più si adattava al clima indonesiano. Verso fine 1600, l’Indonesia divenne colonia olandese e, ad inizio 1900, si ebbero i primi scritti sul tempeh proprio da studiosi olandesi che, oltre a pubblicarne le metodologie di produzione, ne analizzarono l’aspetto nutrizionale, chimico e microbiologico. Ben presto anche studiosi americani furono colpiti da questo prodotto e iniziarono ad approfondire le sue qualità per introdurre questa fonte di proteine nell’alimentazione infantile. Un enorme merito circa la diffusione del tempeh in America, l’ebbe l’azienda agricola “The Farm” nel Tennessee: una comunità di circa 1.400 persone unite da uno spirito sociale ed agricolo di auto-sostentamento. Grazie alle loro ricerche, iniziarono ad autoprodurre il tempeh per uso interno alla comunità stessa e, successivamente, per essere distribuito all’esterno a mezzo posta, oppure attraverso i negozi delle aziende agricole a loro collegate situati in altri stati come la California e la Louisiana. L’interesse iniziò ben presto a crescere in altri stati d’America e nel resto del mondo anche grazie alla distribuzione del libro “Farm Vegetarian Cookbook” edito proprio da questa comunità, dove si dedicò un’ampia sezione al tempeh e relative ricette.
VANTAGGI DEL CONSUMO DEL TEMPEH
I vantaggi del consumo del tempeh sono numerosissimi e toccano diversi aspetti: sociale, ambientale, umano ed economico.
Innanzitutto la sua produzione favorisce l’economia delle popolazioni più povere: un costo bassissimo dato da ingredienti semplici e modesti, la cui lavorazione non richiede tecnologie e macchinari speciali ed onerosi. Inoltre le caratteristiche climatiche delle aree tropicali, tipiche di molte società in via di sviluppo, facilitano il procedimento di fermentazione in qualsiasi momento dell’anno a temperatura ambiente, senza ricorrere all’utilizzo di impianti di riscaldamento. Le tempistiche di fermentazione sono di gran lunga più brevi rispetto a quelle a cui vengono sottoposti molti altri cibi fermentati garantendo una produzione e disponibilità continue e sfruttando al massimo tutti i materiali di scarto (okara, bucce e residui delle estrazioni di oli di arachidi, cocco, etc) per evitare qualsiasi spreco.
Il tempeh è la proteina a salvaguardia del pianeta e dell’uomo: data un’area di piantagioni di soia (che ad oggi è la proteina meno costosa in assoluto che abbiamo a disposizione), si può produrre sino all’85% di proteine UTILIZZABILI rispetto a quelle che si otterrebbero utilizzando lo stesso appezzamento di terra per allevare animali da macello, sfruttando tecnologie elementari senza che la materia prima subisca processi di rilavorazione infiniti che depauperano le sue qualità nutrizionali. La soia inoltre può essere coltivata in diverse tipologie di terreni e condizioni climatiche adattandosi dal clima equatoriale brasiliano a quelli più temperati come l’area giapponese di Hokkaido; è resistente a molte malattie e si sviluppa in natura senza l’uso di troppi fertilizzanti.
La versatilità in cucina del tempeh è straordinaria e richiede pochi minuti di cottura. Lo si può utilizzare ad esempio per fare dei burger, dei sandwich, oppure per degli spiedini o cotolette. Si possono creare anche dei cremosi condimenti e spalmabili, delle croccanti fettine o cubetti da utilizzare come “crostini” in insalate, zuppe, o aggiunto sulla pizza, con del riso saltato, negli stufati o nel sugo.
Gli amanti del tempeh apprezzano la cottura più semplice e popolare, ovvero fritto in poco o abbondante olio.
Silvia e gli esperti rispondono…
I vegani consumano troppa soia che oltre ad essere OGM è un prodotto allergenico (Gioia – Firenze)
In realtà la soia OGM in Italia esiste solo come coltivazione sperimentale e quella OGM che arriva dall’estero deve essere indicata in etichetta obbligatoriamente per legge. Inoltre nessuno vuole acquistare prodotti OGM per il consumo umano e l’unico utilizzo che si fa della soia OGM proveniente dall’estero è per il mangime degli animali da macello (anche vari frumenti come il mais sono OGM e vengono prodotti per foraggiare gli allevamenti), ma non è assolutamente destinata al consumo umano. La soia viene considerata un prodotto allergenico, perché contiene certe sostanze come l’istidina, che altro non è che un amminoacido, che può trasformarsi in istamina e produrre infiammazioni. Questo succede quando il nostro intestino è privo di alcuni particolari batteri con la funzione di legare l’istidina alla betalanina. Se il nostro intestino è colonizzato da una buona flora batterica, abbiamo tutti questi batteri “buoni” che uniscono istidina alla betalanina, formando la carnosina deputata tra le sostanze antiossidanti ed anti-invecchiamento. Di conseguenza la soia contribuisce all’inversione dell’invecchiamento (grazie alla carnosina) anziché sviluppare allergia all’istidina. Il problema non è quindi la soia e prima di passare alla sua eliminazione o peggio ad assumere farmaci antiacidi ed antibiotici bisognerebbe valutare la situazione batterica intestinale riequilibrandola con dei probiotici.