Più piccolo di cinque figli maschi, Thomas Keller è nato il 14 ottobre del 1955 nella base militare di Camp Pendelton ad Oceanside, in California. Suo padre Edward era un marine, sua madre Betty la manager di un ristorante. Quattro anni dopo il divorzio dei suoi genitori, la sua famiglia si è trasferita a Palm Beach in Florida.
L’adolescente Keller per alcuni anni, durante l’estate, ha lavorato al Palm Beach Yacht Club, dove ha scoperto la sua passione per la cucina, e poi, sotto la guida dello chef francese Roland Henin, al Dunes Club nel Rhode Island. È stato Henin a presentarlo come chef ai proprietari del piccolo ristorante francese di nome “La Rive”, nelle montagne Catskills tra Philadelphia e New York. Dopo tre anni, quando fallì il suo tentativo di comprare “La Rive”, Keller partì per New York e poi per Parigi dove ha partecipato a degli stages in diversi ristoranti stellati.
Tornato negli Stati Uniti nel 1984, tre anni dopo con un socio ha aperto “Rakal”, uno dei locali preferiti dagli “yuppies” di Wall Street. Una recensione del New York Times ha cambiato le sue sorti, contribuendo a far premiare con due stelle la sua cucina francese molto raffinata ed esclusiva. Ma il successo di Keller cominciò a perdere terreno dopo un crollo della Borsa. Gli anni successivi furono una sofferenza per Keller, ma l’eterno ottimista non perdette mai la speranza. La sua ricerca per il ristorante dei suoi sogni ebbe un lieto fine. Infatti nel 1994 aprì “The French Laundry” a Yountville, un piccolo centro a Napa Valley, la zona dei vini della California, e da allora il suo successo continua senza sosta: nel 1998 aprì “Bouchon” sempre a Yountville; nel 2004 una succursale di “Bouchon” nell’albergo di lusso “The Venetian” a Las Vegas; nel 2006 “Per Se” nel complesso del Time Warner a Manhattan e “Ad hoc” a Yountville. Se non bastasse, è anche il proprietario di due pasticcerie “Bouchon”. Una si trova a Yountville, l’altra al piano inferiore di “Per Se” nel complesso del Time Warner.
Lontano dai fornelli Keller ha trovato il tempo sia per scrivere due libri di cucina, “The French Laundry” e “Bouchon”, sia per disegnare una collezione di posate d’argento per Christofle ed una linea di porcellana bianca di Limoges. Quest’ultima, prodotta da Reynaud, Keller l’ha chiamata “Point” in onore del grandissimo chef Fernand Point.
Tra i suoi riconoscimenti troppo numerosi da elencare qui, è doveroso citarne due di rilevante importanza: nel 2005 tre stelle a “Per Se” nella prima guida Michelin di New York e nel 2006 tre stelle a “The French Laundry”, nella prima guida Michelin di San Francisco e dintorni. Keller, subito dopo aver partecipato a Manhattan ad una “roundtable” pubblica sul mondo della ristorazione nel passato, nel presente e nel futuro (unitamente ad uno storico della gastronomia, al food critic del New York Times e allo chef ribelle Marco Pierre White, che è stato il più giovane chef in assoluto ed il primo britannico a fregiarsi delle tre stelle Michelin) ha incontrato Lucy Gordan in esclusiva per La Madia.
I nostri gusti per il cibo sono strettamente collegati all’infanzia; le sue prime memorie sul cibo?
Mangiare dello stufato di scoiattolo con un contorno di pomodori verdi fritti a casa di mia zia in campagna e gustarmi la crema della Sanka, il caffè decaffeinato che era la bevanda perferita di mia nonna, fa parte dei miei ricordi indelebili, ma il pranzo di Thanksgiving rimaneva senza dubbio il pasto più atteso di tutto l’anno. Era uno dei pochi giorni dell’anno che mia madre passava con noi a casa. Cucinava ogni ben di Dio: mangiavamo il tradizionale tacchino arrosto, il prosciutto cotto, il cavolfiore, i piselli, i funghi trifolati, il puré di cipolle, spinaci, patate al forno, puré di patate, mirtilli, ecc. Come, se tutto ciò non bastasse, godevamo poi di una sfilza di dolci vari: la crostata con la crema di cocco, la crostata di zucca con il gelato alla crema e infine la torta al cioccolato che era la mia preferita.
Chef in famiglia oltre a lei?
Mio fratello maggiore Joseph, che oggi è lo chef ed il proprietario del ristorante “Josef” al lago di Las Vegas, mi ha introdotto in cucina. È stato lui ad insegnarmi come montare la salsa alla olandese, arrostire il prime rib, preparare l’aragosta, tagliare le carni di macelleria e girare le frittate. Lui è stato il mio primo maestro in cucina.
Cosa ha imparato da sua madre e da Roland Henin?
Mia madre era certamente un modello da seguire per la sua etica professionale, i suoi valori morali e la sua ricerca infinita di migliorarsi ogni giorno che passava. Da lei ho imparato a capire che oggi doveva essere meglio di ieri: il modo di organizzarmi, di essere sempre più competente, il desiderio profondo di avere successo, di superare gli ostacoli… tutte queste cose le ho imparate da lei.
Dallo chef Roland Henin ho imparato le emozioni, il lato emotivo della cucina, le sensazioni stupende che sorgono quando cucini per un’altra persona, quando offri dei piaceri a chi conosci e a chi non conosci, e quando vedi l’effetto positivo della tua cucina e come essa tiri fuori sorrisi dalle labbra dei tuoi ospiti e soddisfa in modo molto profondo un loro bisogno o desiderio intimo.
Quale l’origine dei nomi dei suoi ristoranti?
In francese “bouchon” significa tappo ma è anche un tipo di trattoria, una specie di bistro. I bouchons, come i bistros, si trovano sempre in città. Invece in America, “bistro” è stato ridefinito e significa più una categoria di cibo che un luogo dove si mangia. Significa cibo casual che non costa oltre certi limiti. Quindi negli USA abbiamo dei bistros americani, bistros cinesi, addirittura dei bistros italiani. Per fortuna, consultando dei libri di storia eno-gastronomica, ho scoperto con gioia che in passato, a Lione, i bistros, come li conosciamo oggi, si chiamavano “bouchon”. Ecco il perché del nome. “Per Se” risale ad “ampersand”. La parola ampersand significa unica, eccezionale, una cosa a sè, che non ha bisogno di altro: la descrizione precisa del mio ristorante dall’inaugurazione ad oggi.
Come Gualtiero Marchesi lei è proprietario di cinque ristoranti in tre città diverse; come divide il Suo tempo tra Napa Valley, Las Vegas, e New York?
Non divido il mio tempo in parti uguali tra i miei ristoranti, anche se mi piace molto, anzi sento l’obbligo e la necessità di mangiare il più spesso possibile in ciascuno dei miei ristoranti. Comunque ho uno staff efficientissimo, siamo come una famiglia molto unita, una vera squadra. La mia filosofia è di trattare le persone che lavorano per me come se fossero loro i padroni dei miei ristoranti e di coinvolgerli come tali emotivamente. Siccome questa filosofia funziona bene, non ho bisogno di essere sempre fisicamente omnipresente. Jonathan Benno di “Per Se”, per esempio, capisce perfettamente questa mia filosofia ed il mio repertorio dei menù. Lui è capace di ampliare ed evolvere questo mio repertorio esattamente o quasi come li modificherei io stesso. Ho lo stesso rapporto con Mark Hopper a Las Vegas e con Corey Lee al “French Laundry”.
Le qualità essenziali per essere top chef?
La qualità preminente è il desiderio di migliorarsi sempre. La gente parla di passione, ma io dico che la passione va e viene come la marea. Possiamo essere appassionati di una cosa oggi e domani non più. Ma finché tu hai dentro quel desiderio ardente di continuare, di raggiungere il tuo traguardo, questa spinta, questo sentimento è una delle qualità essenziali per essere un top chef. Un’altra è il desiderio di diventare famoso, essere riconosciuto come un gran talento e che la propria cucina venga riconosciuta eccellente, che valga la pena assaggiarla e goderla.
Ha mai pensato ad un blind tasting per vedere se riconosce il piatto, per esempio, suo o di Heinz Beck, o di Bocuse, o di Marchesi…?
No, ma potrebbe essere divertente.
L’aspetto del Suo lavoro che ama di più?
Il lavoro di squadra: sia in cucina che in sala.
Di meno?
Il tempo lontano dalla cucina. Le interruzioni. Rilasciare delle interviste. Ripetere sempre le stesse cose. Il troppo viaggiare.
La Sua filosofia culinaria?
La mia filosofia culinaria è spiegata in dettaglio sul foglio che Le ho inviato e che spero tradurrà in italiano per i Suoi lettori, anche se sarebbe meglio pubblicarlo così com’è in inglese.
Il titolo è “Core Values” o “Valori di base”. Io e le mie squadre gestiamo più di un gruppo di ristoranti, dedicati al cibo di alta qualità e al servizio esemplare.
Siamo un gruppo di individui con lo stesso scopo: impegnarci al massimo nel creare ricordi piacevoli per i nostri ospiti e per noi stessi; elevare la qualità e le aspettative dell’industria della ristorazione; creare un’ambiente senza pericoli ed ideale per lavorare al massimo delle nostre capacità. Per raggiungere questo scopo, dobbiamo lavorare sodo e dobbiamo credere nei seguenti valori: la modestia, l’integrità, il rispetto per i nostri capi, i nostri colleghi ed i nostri ospiti, la responsabilità, la capacità di rinnovarsi, la collaborazione tra colleghi, il mantenimento o, meglio ancora, il miglioramento della qualità del nostro prodotto, la voglia di raggiungere sempre un impatto positivo con i nostri colleghi ed i nostri ospiti, ed infine, ma non per questo meno importante, lo scopo di regalare ai nostri ospiti un beneficio permanente.
Ma come si realizza tutto ciò?
Il nostro scopo è che alla fine del pasto i nostri ospiti desidereranno un altro morso ancora e diranno: “Cosa farei per un altro assaggio di…”
Come definerebbe la Sua cucina?
Statunitense moderna e progressista, che ha, alla fonte, la tecnica ed il repertorio della cucina francese classica.
Le Sue specialità?
Non so, non mi garba avere delle specialità perché mi piacciono le modifiche, le evoluzioni, le innovazioni. Detto questo, ammetto di avere due specialità, due creazioni tutte mie. “Il cornetto” e “Le ostriche e le perle”. “Il cornetto” è il nostro simbolo, il nostro logo. È divertente e fa sorridere. Invece, “Le ostriche con le perle” (il budino di tapioca coperto di ostriche e di caviale) rappresenta il lusso del cibo.
Quanto spesso cambia i menù nei Suoi ristoranti?
Tutti i giorni.
Quali sono gli ingredienti del “confit byaldi” nel film “Ratatouille” a cui Lei ha collaborato?
“Confit byaldi” contiene gli stessi ingredienti del ratatouille provenzale: pomodori, cipolle rosse e peperoni come base.
Poi ci sono le melanzane, le zucchine, la zucca gialla, del timo, dell’aglio, e dell’olio d‘oliva: tutti quei gusti meravigliosi della Provenza.
“Ratouille” è uscito da poco in DVD in Italia: può descrivere questa esperienza per il lettori de La Madia?
Partecipare alla costruzione del film “Ratatouille” è stata un’esperienza serendipity e di gioia inaspettata per me. Brad Bird e Brad Lewis hanno chiesto di venire a trovarmi al “French Laundry” perché avevano bisogno di studiare il mondo dei ristoranti per rendere credibile il loro futuro film “Ratatouille”. Il nostro rapporto di lavoro è presto diventato un’amicizia. Sono subito stato così coinvolto emotivamente nel loro progetto che la ricetta del “Confit Byaldi” è quella della mia ratatouille al “French Laundry”. “Confit Byaldi” è una mia creazione e anche la sua disposizione nel piatto lo è.
A che cosa attribuisce il Suo grande successo?
Alle mie squadre: quelle del passato, quelle del presente e quelle del futuro.
Fino ad ora abbiamo parlato del Tom Keller chef; adesso vorrei conoscere meglio Tom Keller persona. Per esempio, quali sono i Suoi piatti preferiti?
Pollo arrosto, hamburgers, in verità cheeseburgers, e la pizza…tutti i cibi della classe media americana.
I Suoi vini preferiti?
Zinfadel, “Ridge” di Paul Draper. I vini rossi in generale, ma stanno facendo molto progresso anche i pinot noirs.
è mai venuto in Italia?
Sì, a Milano, a Roma ed in Piemonte, ma non abbastanza spesso.
Un posto preferito in Italia?
Amo il Piemonte, soprattutto La Cantina Vietti a Castiglione Falletto in provincia di Cuneo ed il ristorante “Cacciatori da Cesare” (in Via Umberto 9, Albaretto della Torre (Asti), tel. 0173-520147). Cesare Giacone è un uomo straordinario, con una visione culinaria unica. I suoi piatti sono complessi ma nello stesso tempo semplici. I loro gusti sono indimenticabili. Giudicare la cucina di Cesare sarebbe come giudicare un libro dalla copertina o dal primo capitolo. Mangiare da lui è un’esperienza euforica.
Gli chef sono noti per avere collezioni di moto, di macchine veloci, o di orologi. E Lei?
I macinapepe ed i libri. Amo gli orologi ma non ho i soldi per metterne su una collezione mozzafiato. La cosa che preferisco collezionare sono i ricordi. I ricordi delle esperienze speciali al lavoro, con i miei cari, con gli amici, durante le vacanze. La vita consiste in tanti ricordi.
Lei ha già scritto due libri di cucina di successo; per caso ne sta scrivendo un’altro adesso?
Sì, si chiamerà Under Pressure. È una demistificazione della cucina sous vide. L’editore è sempre Artisan. Uscirà nell’autunno del 2008.
Ci crede nei giudizi delle guide? Un consiglio che vorrebbe dare ai loro scrittori?
I giudizi dei critici e delle guide gastronomiche sono fondamentali per noi chef e ristoratori. Indirizzano i consumatori, i nostri clienti potenziali. Il mio consiglio non è per lo scrittore, bensì il consumatore. Prima di scegliere un ristorante, il consumatore dovrebbe leggere, consultare almeno due guide diverse. Se consulta tre o quattro guide, riesce a fare una scelta più mirata. Sa meglio a che cosa va incontro e che cosa può pretendere.
Ho letto che non Le è piaciuto il primo pasto che ha mangiato in un ristorante con tre stelle Michelin; perché?
Il mio dispiacere era auto-inflitto. Mi spiego meglio: il menù era perfetto, la preparazione idem, ma in quel momento le mie aspettative erano talmente alte che nessuno chef, nessuna pietanza avrebbe potuto soddisfarmi. Dico questo per mettere in guardia i Suoi lettori. Devono sapere che, quando vanno ad un ristorante, le loro aspettative devono allinearsi con il livello del ristorante scelto.
Altri chef che ammira?
Cesare Giacone, Alain Ducasse e Ferdinand Point, ma in realtà, ammiro tanti chef per la loro diligenza, il loro entusiasmo e la loro devozione alla loro professione, o meglio ancora, al loro mestiere e soprattutto alla loro clientela e alla loro squadra.
Il Suo sito web dice che Lei è uno dei pochissimi chefs/proprietari ad avere due ristoranti con tre stelle Michelin; chi sono gli altri?
Siamo in tre: io, Alain Ducasse, e Joël Robuchon.
Per conoscere ancora meglio Thomas Keller ed i dettagli della sua splendida carriera, cliccate sul sito ufficiale del “The French Laundry, www.frenchlaundry.com; per una prospettiva da “insider” o da dietro le quinte leggete Service Included: Four-Star Secrets of an Eavesdropping Waiter di Phoebe Damrosch (che ha lavorato come cameriera a “Per Se”); per un’esperienza da non perdere seguite il mio consiglio e mangiateci come ho fatto io a pranzo il 23 novembre 2007. Il prezzo del mio menù prix-fixe di 11 degustazioni accompagnate da tre bicchieri di vino: Veuve Clicquot, “Reserve,” Rheims, Champagne, Francia 1999; Château Raymond-Lafon, Sauternes, Francia 1985; Elyse, Grenache, “Le Corbeau-Hudson Vineyard,” Carneros, California 2004, era di $272.00 servizio compreso. L’esperienza valeva ogni centesimo e rimarrà nella mia collezione di ricordi per sempre. (L.G.)