
Negli ultimi mesi ne hanno parlato tutti, chi più chi meno; c’è chi ha dato la colpa alla mancanza di voglia di lavorare, chi ai sussidi, chi alla grande rivoluzione morale portata dal COVID e chi, semplicemente, ai tempi che stanno cambiando. Quello che di certo più di ogni altra cosa lascia perplessi è prima di tutto lo stupore dei tanti proprietari di ristoranti che, alla ripartenza delle proprie attività, si sono trovati senza personale perché nella loro testa un giocoliere o un equilibrista da mettere in sala si è sempre trovato.
Oggi, invece, siamo di fronte a una grandissima rivoluzione morale e professionale di uno dei lavori più bistrattati del mondo e le cose stanno cambiando più in fretta di quello che si possa immaginare.
Nel 2021 sorprendersi di tale mancanza in effetti può suonare strano perché, in fondo, fare il cameriere è sempre stato il sogno di ogni bambino. Altro che fare i calciatori, le veline, i tronisti o gli influencers! È il cameriere il lavoro più bello, figo e gratificante che ci sia sulla terra. Diciamolo pure: l’allure che si respira in questa professione è accattivante, a cominciare dalla sua immagine, sempre impeccabile grazie a quegli abiti sartoriali cuciti addosso e quegli esclusivi accessori alla moda esibiti, in contesti ovattati e raffinati come lo sono i ristoranti, luoghi dove quotidianamente si ha a che fare con personaggi importanti del mondo della moda, della politica, dello sport e dello spettacolo, dove tutti saranno sempre gentili con voi e voi altrettanto con loro.
Senza dimenticare poi che i camerieri saranno sempre considerati maestri di stile e simbolo d’accoglienza, osannati sulle copertine dalla stampa specializzata ma, soprattutto, un cameriere potrebbe avere la grande fortuna di lavorare al fianco di importanti cuochi che mai come in questo momento sono considerati vere e proprie star alla stregua di Beyoncé, Tom Ford, Woody Allen.
Per cui, come si fa a non desiderare una vita da cameriere?
Beh, il motivo in realtà è abbastanza semplice: ci sono più probabilità di essere colpiti da un asteroide mentre si tenta la fortuna grattando “un turista per sempre”, che quello di riuscire a diventare un Super Cameriere che conta come sopra descritto, straprofumatamente pagato tra l’altro. Ma di casi di super camerieri se ne contano veramente pochi sulle dita di una mano, quindi perché una persona dovrebbe sognare di passare la propria vita dentro un ristorante portando dei piatti alla gente e aspirare a fare una professione che ancora oggi viene considerata solo di ripiego, in attesa di meglio da fare?
A meno che non si appartenga alla categoria degli Emo o dei Masochisti che sono sempre alla ricerca del disagio e del dolore, bisogna sapere che chi fa il cameriere non lavora poco e soprattutto non fa una bella vita; coloro che desiderano realmente farla sono in pochi e sempre meno, ma perché?
Lavorare e basta
Innanzitutto in un ristorante si fanno in media due servizi al giorno e per quel poco che si può lavorare, tra pranzo e cena si sta in bottega almeno 10/12 ore, ma l’impegno nell’arco della giornata sale a 14/15 ore al giorno; chi è fortunato ha una piccola pausa nel pomeriggio che, se va bene, gli permette di stare a sedere con le gambe all’aria, altrimenti si ha poco più che il tempo per farsi una doccia e portare fuori il cane prima di tornare a lavorare.
In pratica la giornata lavorativa di un cameriere diventa tutta la sua giornata: si lavora e basta, anche perché l’unica certezza che ha un cameriere è a che ora inizia il turno, ma non a che ora esce dal ristorante, per cui è anche inutile programmare un post lavoro perché, alla lunga, nessuno aspetterà un cameriere e la sua vita sociale pian piano sarà pari a zero.
I camerieri sono persone bioniche, nessuno può permettersi minimamente di ammalarsi, infatti il 90% dei ristoranti ha un personale talmente ridotto all’osso che raramente una persona può essere sostituibile; mettersi in malattia è un vero e proprio lusso riservato a pochi, non certo a dei camerieri perché metterebbero in difficoltà non solo la piccola azienda per cui lavorano ma anche i loro colleghi, i quali, non vedendolo presentarsi al lavoro e dovendo correre di più, gli manderebbero ancora più accidenti di quelli che già si era preso da solo.
Ferie? E perché mai?
In una qualsiasi azienda (anche la più sfigata) un dipendente normale ha diritto a 4 settimane di ferie, di cui 2 scelte dal dipendente e le altre due dal datore di lavoro.
Bene, abbiamo già scoperto che i ristoranti non sono aziende “normali” perché, rispetto alle altre, vivono di vita propria e il titolare ha sempre fatto un po’ quello che gli pareva sotto tacito assenso di tutti e, quindi, è assolutamente vietato andare in ferie quando se ne ha voglia: in ferie ci si va quando il ristorante chiude e la chiusura del ristorante coincide sempre con il periodo in cui il ristorante stesso lavora meno, non di certo con il sacrosanto diritto del cameriere di andare in ferie per due settimane quando vuole.
Ecco perché, caro cameriere, dimentichiamoci pure di progettare le ferie quando si vuole e dimentichiamoci pure di usufruire dei permessi retribuiti di cui si ha diritto, perché in fondo se il cameriere deve venire al lavoro quando sta male, dove diavolo vuoi che vada quando sta bene? Vi saranno pagati a fine contratto, ma usufruirne al 90% dei casi è pura fantascienza.
Siamo abituati a vedere camerieri sempre sorridenti e disponibili, ma vi siete mai chiesti a quale prezzo? In fondo fare il cameriere è come essere un soldato in frontiera munito di mitragliatrice e se per caso non sorride, perché mai dovrebbe farlo, ritrovandosi tra gli impropereri della cucina a cui arrivano spesso comande “scomode” e richieste da parte dei clienti sempre più spesso assurde!?
Qual è la retribuzione di chi fa una vita così sacrificante come quella del cameriere, impegnato tutte quelle ore al giorno per sei giorni a settimana, festivi compresi, per fare un mestiere bellissimo come, per l’appunto, quello del cameriere? Il valore commerciale in media oscilla tra i 1.200 e i 1.600 euro nei casi più fortunati, ovviamente non tutti in busta altrimenti costereste troppo a quell’azienda chiamata ristorante che regala tanti sogni ai clienti ma rende schiavi, invece, chi ci lavora. Ora, pur non avendo snocciolato tutti i lati negativi di questa professione, ci vuole tanto per capire perché nessuno vuole fare il cameriere o c’è bisogno di un disegnino? Ma siamo sicuri che sia solo colpa delle persone che non vogliono più fare questo lavoro e non anche dei datori di lavoro se le persone si sono allontanate da questa professione?
Di chi sono le colpe?
La figura del cameriere in un ristorante è sempre stata vista come una presenza inutile, facilmente sostituibile e che non potesse portare quel valore aggiunto come la cucina.
La Sala è una costola del ristorante che è sempre stata considerata più come un costo invece che una risorsa, e oggi che quella risorsa non c’è o scarseggia, tutti quelli che in questi anni avrebbero dovuto tutelare, crescere e nutrire questa professione, oggi piuttosto che viverlo come un sonoro fallimento e cospargersi il capo di cenere preferiscono attaccarla con la stessa ferocia con cui uno chef non inserito o premiato in una guida gastronomica dice la qualunque per delegittimare gli altri.
Ecco, lo stesso comportamento si verifica qui: piuttosto che essersi fatti un esame di coscienza sulle reali condizioni di lavoro a cui il personale di Sala è realmente sottoposto, c’è chi attacca il reddito di cittadinanza, attribuendo alle persone la mancanza e la voglia di lavorare, ignari che, tra l’essere schiavi e lavorare, c’è un mondo in mezzo.
E oggi che molti se ne sono accorti e che hanno deciso di non alimentare più quel meccanismo controverso di lavoro, poco appagante sotto il punto vista economico e personale, ecco che iniziano i guai.
Cercasi schiavi
Ma prima di scagliare la prima pietra dovremmo forse ricordarci che i primi articoli sulla mancanza del personale nelle attività ristorative risalgono al 2019 e quindi questo era un fenomeno ben noto prima ancora dell’introduzione del reddito di cittadinanza. Bisogna essere non soltanto ciechi, ma anche ignoranti in materia politica visto che i tanti che attaccano questa misura sono poi gli stessi che, invece di rivolgersi a un qualsiasi ufficio di collocamento per trovare personale mettendo in correlazione chi percepisce il reddito di cittadinanza con chi offre un lavoro, sono gli stessi poi che puntano la loro ricerca di personale su Facebook con annunci che spesso lasciano poco spazio alla fantasia: “Ingrandiamo la nostra famiglia, cerchiamo personale di Sala che voglia crescere, creda nel nostro progetto e ami il proprio lavoro”, dove si nasconde, per l’appunto, la ricerca di uno schiavo invece che un’idea di collaborazione e dove le competenze di una persona varranno meno di zero, visto che non vengono mai decantate o ricercate negli annunci.
Ma poi, siamo sinceri miei cari ristoratori: già 9 volte su 10 avete delle pretese fisiche su chi mettere in sala; assumereste veramente dei bisognosi di reddito di cittadinanza che non hanno mai messo piede in un ristorante?
La risposta è “No”, per cui evitiamo di tirare in ballo fasce di categorie veramente povere e bisognose che con i vostri sontuosi menù e ristoranti realizzati da architetti di grido non avrebbero nulla da condividere. Anzi.
Ma avete mai letto quanto sia difficile avere requisiti per fare domanda e ottenere il Reddito di Cittadinanza? Avete mai conosciuto qualcuno che percepisce questa misura?
Ma veramente vivete in questo mondo o fuori dal vostro ristorante vivete solo per sentito dire?
Dunque oggi vi chiedete perché nessuno ambisce a fare il cameriere. Anche con un certo stupore, a quanto pare, dimenticandovi che dopo la gestione mediatica di questa pandemia, si è passati dagli allori televisivi di programmi come Masterchef, la Prova del Cuoco ecc…, a un’immagine disperata di persone che non potevano permettersi di star chiusi con le proprie attività, mettendo in cassa integrazione i propri dipendenti con una GIC, tra l’altro inferiore a quanto realmente percepivano i dipendenti. Dunque ora che con stupore avete scoperchiato un mondo non tanto così fatato, siete ancora sicuri che la gente voglia venire a lavorare per voi in un settore che traballa facilmente?
Occorre una rivoluzione mentale e morale
La risposta è no. Mai come in questo contesto storico la gente ha voglia di certezze, sicurezze e una qualità della vita migliore. Se nessuno vuole entrare in questo mondo, la colpa non la si può dare agli altri ma anche a noi che abbiamo fatto credere che lavorare in un ristorante fosse bellissimo pur sapendo che spesso fosse una schifezza. Abbiamo sempre nascosto quali fossero i sottili meccanismi che lo tengono in vita, ad esempio i ridottissimi margini di guadagno che con il tempo, come se fosse sempre più normale, hanno sempre più trasformato i propri collaboratori in schiavi della ristorazione con salari e orari che apparivano normali a tutta la categoria perché sembrava giusto così.
Oggi che molti si sono resi conto che tanto normale la ristorazione non è, abbiamo bisogno di una grandissima lucidità mentale per realizzare una grande rivoluzione morale ed economica per rilanciare la ristorazione in maniera sana, sostenibile e appagante, e non più solo per il cliente che quel ristorante lo frequenta, ma anche e soprattutto per chi ci lavora.
Se siete scesi in piazza a manifestare per riaprire, se siete andati in tv a dire la qualunque, perché non lo fate per invocare una riforma sul costo del lavoro che vi permetta di ristrutturare le vostre aziende in maniera sana per voi e per i vostri dipendenti?
Il motivo è semplice: siete talmente concentrati su voi stessi e sul vostro orticello che non vi siete mai resi conto che il mondo sta cambiando, e in questo cambiamento è la qualità della vita ciò a cui la gente più ambisce, anche al lavoro. Non dunque i vostri sogni di stelle, cappelli e forchette, non i vostri problemi economici legati a ristoranti appesi sul filo dell’arrivare a fine mese legati a margini di guadagno bassi e numeri su cui la ristorazione italiana non può più pensare di sopravvivere: oggi le priorità sono altre.
Fare il cameriere potrebbe essere un mestiere bellissimo ma, se avessi un figlio, sarei il primo a esortarlo a fare altro, perché a parità di tempo impiegato, professionalità richiesta, guadagni e sacrifici, esistono altri mille lavori che permettono di vivere una vita migliore che quella passata dentro un ristorante.
Occorre una riforma del lavoro e dei suoi costi
Ristoratori, unitevi, sedetevi a un tavolo con le associazioni di categoria, raccontate a loro come arrivate realmente a fine mese, gli orari che svolgete voi e i vostri collaboratori nel ristorante, non abbiate paura di uscire allo scoperto e chiedere aiuto su un comparto che nel giro dei prossimi 5 anni rischierà di cambiare totalmente perché nessuno vorrà più fare questo mestiere.
Purtroppo la ristorazione non ha i numeri per poter reggere un mercato i cui costi di gestione sono diventati sempre più insostenibili ed occorre intervenire ora se volete evitare che tra un paio di anni nessuno vorrà più fare questo mestiere.
Chiamate i vostri collaboratori e chiedete cosa gli manca della loro vita a causa del lavoro e cercate assieme delle soluzioni che possano far star bene quei pochi e validi collaboratori che avete e quelli che un giorno andrete a far crescere. Fate crescere il personale come una risorsa futura e non solo con l’idea che sia un costo.
Stare bene per far stare bene
Lavorare nel mondo della ristorazione può esser bello, ma si è arrivati a un punto in cui questa professione spesso è diventata una schiavitù (e non sempre intesa come sfruttamento del lavoro) ma di orari, di vita sociale sacrificata (per non parlare di quelle sentimentali) di mancanza di tempo per se stessi e, a volte, la sola passione non basta più per andare avanti.
E questa aridità che abbiamo accumulato, con il tempo rischia di diventare mancanza di entusiasmo e interesse nei confronti dei nostri colleghi e clienti. Non stupisce affatto, quindi, che molta gente non regga più la pressione emotiva e fisica che questa professione comporta, perché in fondo si rischia di essere soli pur stando in una grande brigata di persone che chiamiamo spesso famiglia ma che di famiglia ha ben poco. Il vero futuro della ristorazione sta nel volerci bene e per farlo dobbiamo imparare a costruire modelli di ristorazione che funzionino a 360 gradi.
Forse è arrivato il momento di non vergognarsi di chiedere aiuto. In fondo, volerci bene per poi dare il massimo agli altri è la vera essenza del fattore umano. E sarà quello che in futuro farà la differenza, in cucina e in sala. Avete tutti concentrato troppa attenzione sul salvare il pianeta, sullo spreco delle risorse alimentari, ma non avete ancora deciso di salvare voi stessi. Prima di puntare il dito su un cameriere impariamo ad ascoltarlo: potrebbe avere grandi cose da dire.
E la vera rivoluzione potrebbe partire proprio da lui.