È il momento del Portogallo, è il momento di Lisbona. Capitale perennemente fuori sincrono, improvvisamente all’unisono col mondo. Per le stradine scoscese di Alfama non si affacciano più i pescatori e le robuste matrone sui banchetti di sardine (oggi effigiate agli spigoli fra esquinas), ma truppe di turisti anglosassoni con la valigia in mano. Tra le destinazioni più trendy dell’estate, stordisce la bellezza di una città che somiglia a un continente, tanto è mutevole e trafficata, impossibile da bloccare nell’immagine di un luogo. Continente, o forse groviglio intercontinentale, fra il razionalismo settecentesco, la memoria struggente del passato imperiale, con il suo melting pot ante litteram, e la contemporaneità ruggente post Expo.
La Spagna è vicina e lontana, sicuramente ingombrante ma in fondo un po’ estranea. Ai tempi in cui sbrilluccicava il suo siglo de oro culinario, la ristorazione in Portogallo era ancora poca cosa, a parte il papa straniero Dieter Koschina, di nascita austriaco, a Vila Joya. Terminata da non molto l’era Salazar, pagava ancora lo scotto del suo isolazionismo (“siamo soli”, rivendicava il dittatore), paradossale in una terra che aveva fatto del mosaico fra tessere fenicie, romane e arabe la sua identità arabescata, destinata a incurvarsi ancora nei ghirigori del merletto manuelino e nelle rotte degli esploratori a caccia di spezie. Tanto che se c’è un principio di individuazione per la portoghesità, sta forse nell’attitudine sensualmente femminile a lasciarsi guidare, nella certezza che qualsiasi influenza sarà riassorbita in un’identità tentacolare. Lo dicono gli azulejos, patchwork geniale di tecniche italiane, motivi arabi e cinesi; o la cucina, che ha distillato tipicità da un pesce dei mari del nord. La stessa storia di vini leggendari, al cui conio hanno contribuito non poco i mercanti inglesi, che oggi sono un vanto nazionale. Ma tutta la produzione enoica è in gran crescita, con un rapporto qualità/prezzo da primato.
José Avillez
Il rinascimento è iniziato con Expo 1998: è stato allora che un popolo da sempre incline alla malinconia del fado ha rialzato la testa, scoprendosi carismatico e alla moda. In cucina ha avuto un volto: quello scavato di José Avillez (foto a lato), oggi quarantaduesimo ai 50 Best. Non ancora quarantenne, conserva un sogno nel cassetto, chiuso fra lo spelucchino e la mandolina: quello delle 3 stelle, che in Portogallo non hanno mai brillato. Il suo Belcanto ne conta 2, come Alma, sempre a Lisbona, e altri 4 esercizi nel Paese; mentre le stelle singole sono 20, concentrate negli epicentri turistici, quindi la capitale, Porto, Algarve e Madera. C’è chi giura che la ragione stia nella penuria di ispettori della Rossa, quasi tutti spagnoli, quindi diretti concorrenti della cenerentola iberica. Ma la missione non sembra impossibile, anche grazie a prodotti incomparabili, su tutti i mariscos pescati lungo la costa atlantica: gli stessi della confinante Galizia, c’è chi dice perfino migliori, percebes e carabineiros su tutti. Né mancano altre carte da calare, le migliori potrebbero anzi essere ancora girate. È stata la CNN qualche tempo fa a definire il Portogallo come “il segreto culinario meglio tenuto d’Europa”. Il momento è magico per l’ottimismo elettrico, le nuove potenzialità del mercato e anche le sacche di arretratezza fuori dagli avamposti del turismo, fonte di reddito ormai preponderante del Paese. Configurano uno sviluppo a più velocità che significa contemporaneità del non contemporaneo, tecnologia e ruralità, mezzi e materia. Insomma sogno.
“Dieci, quindici anni fa chi veniva in Portogallo si sarebbe imbattuto in ottimi ristoranti tradizionali, ma non avrebbe trovato il ventaglio di opzioni che si è aperto adesso. Il paese è rimasto a lungo una destinazione gastronomica sconosciuta. Ma alcuni anni fa si è verificata una rinascita culturale e gradualmente è diventato un nuovo posto da esplorare”, conferma Avillez, fresco del trionfo a Singapore. “Gli chef portoghesi hanno modernizzato i piatti tipici, in modo da rendere la cucina nazionale più visibile. La tradizione, intesa come combinazione di ingredienti e tecniche, è stata coniugata ad elementi contemporanei con uno spirito innovativo. La scena culinaria è diventata sempre più eccitante: il Portogallo sta diventando un punto di riferimento”. Ma quali sono gli atout del paese, in una scena ipercompetitiva e globale? “Direi la tradizione, le influenze, la diversità, la qualità e il sapore. La cucina portoghese è incredibilmente ricca e varia. Grazie ai nostri esploratori, mostra influenze africane ed asiatiche. Non solo il Portogallo è estremamente vario in termini di morfologia del terreno, condizioni climatiche e suoli, ma dal punto di vista geografico non è una nazione omogenea. Il nord è montuoso, le coste centrali presentano dune e pinete, il sud, o Alentejo, è pianeggiante. Cosicché ogni regione vanta prodotti diversi, formaggi o norcineria, carni, frutta, verdura o erbe… Oltre a una cucina a sé. La nostra gastronomia riflette l’apertura al mondo e la capacità di trarre il meglio dai diversi ingredienti in modi altrettanto vari”.
Se Avillez è riuscito a smuovere le acque del Tago, è probabilmente grazie allo spirito imprenditoriale, oltre che al talento, visto che oggi guida 17 locali. “Sono appassionato di cibo e di cucina fin da piccolo: già a 7 anni cuocevo torte con mia sorella, che vendevamo a familiari, amici o vicini. Senza pesare gli ingredienti, riuscivano niente male. Nell’ultimo anno dei miei studi universitari in Business Communication, ho deciso di fare lo chef, ho partecipato a sessioni di studio con Maria de Lourdes Modesto, la nostra autrice più importante sulla tradizione, e ho avuto l’opportunità di entrare in una cucina professionale, dove il mio cuore ha iniziato a battere all’impazzata. Le emozioni mi hanno sopraffatto a tal punto, che ho realizzato di aver trovato la mia strada. Negli anni ho incontrato un secondo mentore, che mi ha veramente ispirato: José Bento dos Santos, il più importante gastronomo portoghese. Lui e Maria mi hanno trasmesso generosamente le loro conoscenze e mi hanno sempre supportato, cosa di cui sarò sempre grato. Mentre a scuola da Alain Ducasse ho imparato a padroneggiare le tecniche classiche, conoscere il prodotto e i fornitori, alla ricerca della perfezione. Al Bristol con Éric Fréchon è stata la volta dell’organizzazione, della precisione e della disciplina. Ma Ferran Adrià è stato colui che mi ha aperto la mente e mi ha fatto guardare avanti. Ha cambiato la mia carriera e la mia vita, insegnandomi a pensare e a saltare le barriere mentali”.
Fresco di trasloco, il suo nuovo Belcanto è un ristorante elegante nel cuore della città, proprio di fronte alla statua di Pessoa firmata da Folon. Conta su un Lab, modello elBulli, che dopo lo spostamento è ancora in progress, e su un’azienda agricola bio, Quinta do Poial, dove Avillez ha voluto piantare sementi scelte in giro per il mondo; più l’orto personale a Cascais, dove ama piantare, selezionare e raccogliere personalmente ortaggi, frutta ed erbe.
I coperti non sono pochi (come accennato, Avillez è un imprenditore nato), ma l’atmosfera e il servizio sono quelli di una grande maison. E si beve benissimo: per il 90% portoghese (con il pairing al 100%), fra cui rarità quali i sapidi vini delle Azzorre, i macerati di nuova tendenza e una sezione dedicata al Madeira. Anche nel suo stato liquido è un Portogallo eclettico al limite dell’arrendevolezza, tutto da scoprire.
Il menu Evolution (185 euro, più 100 o 120 per il pairing) è una mitragliata di trouvailles, che magnificano il prodotto locale con svolgimenti ora comfort, ora avanguardisti. Vedi i cannolicchi con scaglie di purea di lupini ghiacciata, ricci e pesca verde; l’incomparabile carabineiro dell’Algarve in due servizi, prima la coda con il porridge di mais e le vesciche di baccalà alla menta, poi la testa nella crosta di sale alla barbabietola; il tuorlo con purea di topinambur e salsa di sangue o il sorprendente dessert Tinta de choco, con cioccolato e nero di seppia. Ma ci sono anche i signature del ristorante a 165 euro, più 70 o 85 euro, e la carta. “Dico spesso che la tradizione si evolve”, commenta Avillez. “Quando parliamo di cucina contemporanea, ci riferiamo a un processo evolutivo costante: impavidamente ricreare, reinventare, rivisitare, perché pensiamo che le cose si possano fare sempre meglio o quantomeno si possano battere nuovi sentieri. Il processo evolutivo di un piatto rappresenta il nostro stesso processo evolutivo e cammino creativo. Metto le tecniche al servizio del prodotto e la ricetta è il risultato finale”.
Nel centro cittadino è fresco di apertura un altro ristorante di Avillez, la Casa dos Prazeres, consacrata a una creatività panasiatica collisa da feticci nazionali, come il Madera nel curry, in collaborazione con lo chef argentino Estanis Carenzo. Il gourmet è al primo piano, dietro lo “speakeasy” di un bancone da street food con asporto. Si aggiunge al mini bar, al bairro, al café, alla cantina peruana, al Cantinho e alla “pizzaria” solo a Lisbona. “Ogni ristorante riflette la mia passione per il cibo e la cucina. Sono tutti unici. Indipendentemente dallo stile, cerco sempre la qualità e il mio scopo è offrire ai clienti una piacevole esperienza. Ogni locale rappresenta un lato della mia personalità, ma Belcanto è lo specchio della mia evoluzione creativa”.
Lisbona tuttavia non è solo Avillez, per quanto nessuno neghi il suo ruolo di apripista: negli anni è venuta avanti una generazione di giovani cuochi determinati a sovvertire le mappe geogastronomiche. Impossibile non parlare di Loco, dove Alexandre Silva abbozza una modernità autoriale per i sapori portoghesi, forte del Project 4, piattaforma che riunisce cuochi e produttori del paese, o il figliol prodigo Nuno Mendes, baciato dal successo a Londra, che ha appena inaugurato il suo ristorante a Lisbona, all’ultimo piano del Bairro Alto hotel.
BELCANTO
Rua Serpa Pinto, 10 A – 1200-445 Lisboa – Tel. +351 213 420 607
www.belcanto.pt
João Rodrigues
Poi c’è João Rodrigues, 100% lisboeto, più volte eletto cuoco dell’anno dalla critica nazionale. A differenza di Avillez e Mendes si è formato unicamente in Portogallo, dove ha affiancato anche chef francesi, che lo hanno profondamente influenzato nella morbida eleganza. “Per esempio ho lavorato con Sébastien Grospelier”, racconta. “Ai tempi aveva due stelle e ha rappresentato un cambiamento gigantesco nella mia vita professionale. Una questione di dettagli, tecniche e profondo rispetto dell’ingrediente. Ho iniziato a capire che bisogna prendersi cura e sentirsi responsabili di tutti i prodotti e del cibo utilizzato in cucina”.
Dal 2009 è chef di Feitoria, ristorante dell’hotel Altis a pochi passi dalla torre manuelina di Belem. Il nome (letteralmente “dove si fanno le cose”) indica l’avamposto che i portoghesi impiantavano ovunque arrivassero durante le esplorazioni del XVI secolo: qui potevano stabilizzarsi, praticare commerci e scambi con i nativi, tanto che vi si concentravano tutte le ricchezze, oro, seta o spezie. Ed è proprio la scena dell’arrivo degli esploratori portoghesi in Giappone a essere riprodotta sul divisorio del ristorante, che per il resto mostra arredi moderni.
“Il nostro ritardo nella ristorazione è dovuto soprattutto alla dittatura, che si è protratta fino al 1974, per più di mezzo secolo, con il suo corredo di povertà e mancanza di educazione. Penso che il cibo regionale e tradizionale in Portogallo abbia molto a che fare con la sopravvivenza, quindi l’uso di prodotti locali per sostentarsi. Si sono in questo modo sviluppati molti modi per trasformare qualsiasi parte degli animali, dei pesci e dei vegetali in piatti schietti dai sapori diretti. Nel contempo quanto giungeva da fuori veniva considerato contraffatto e sofisticato. Ma ora tutto è diverso: i giovani stanno tornando alla campagna con uno spirito nuovo, ci sentiamo fieri delle nostre origini, possiamo estrapolare il dna del gusto portoghese e renderlo sexy. È arrivato il momento di imparare a venderci e mostrare al mondo in che paese stupendo viviamo”.
In questo quadro si inserisce il progetto Materia, che Rodrigues ha avviato nel 2015. “Si tratta di censire piccoli, onesti, seri produttori di tutto il Portogallo, in modo da creare una rete con noi cuochi e favorire la sostenibilità delle nicchie. Ma ha anche riflessi sociali e storici. Voglio che diventi uno strumento informativo per i giovani chef e qualcosa di utile in generale per i ristoratori, gli artigiani e il loro pubblico. La mia cucina è una questione di persone. Ciò che oggi chiamiamo tradizione è il frutto di un’evoluzione, nel senso che il cibo è sempre cambiato nella storia. Nemmeno noi siamo gli stessi di un decennio fa. Certo molti piatti hanno una storia e vanno codificati, per fissare qualche punto fermo. Ma preferisco l’idea di un DNA gustativo che rappresenti il Portogallo: identità, persone e modi di fare, storie, mani e abitudini. Insomma gente. Personalmente mi piace raccontare una storia, una curiosità, mostrare da dove arrivano i prodotti”.
Per questo prima del pasto arriva in tavola una mappa del Portogallo, che situa e ordina gli ingredienti in un viaggio attraverso il paese, dal mare all’entroterra, di nuovo ventimila leghe sotto l’oceano, visto che Rodrigues prima di coltivare l’hobby del surf si sognava biologo marino. “Aiuta a visualizzare ciò che stiamo dicendo e a capire il lavoro dietro i piatti”. Ma non c’è solo il pesce, rigorosamente di lenza: il vegetale è protagonista di una degustazione ricca di spunti, Terra, alternativo ai due Materia da 4 e 6 corse (rispettivamente 85, 110 e 135 euro, più il pairing a 45 o 60 euro).
Poi c’è lo Chef’s Table per un massimo di due persone, da prenotare con due giorni di anticipo, dove lo chef serve e spiega i piatti. Ed è imperdibile il carabineiro, signature di Rodrigues: un prodotto, una ricetta, senza aggiunta di sale o aromi, solo fumo. “L’idea è quella di mostrare che less is more e un ingrediente può bastare al fine dining. Per prima cosa viene preparato un olio di carabineiro, in cui si cuoce la coda del crostaceo; mentre le teste sono grigliate e spremute à la presse, quella d’argento in uso per l’anatra. I succhi che se ne ricavano, ricchi e minerali, vengono serviti con le code ed è come mangiare un carabineiro alla griglia di fronte al mare”. Provare per credere.