Correva l’anno 1997. Varcai l’ingresso Dal Pescatore con tanta emozione, ero impacciato, ero in un sogno, ero molto giovane. Pochi minuti e mi sentii subito a mio agio, grazie soprattutto all’anfitrione, Antonio Santini.
Solo pochi anni fa l’alta ristorazione era affare di pochi eletti, una sorta di club snob, ma la sostanza prevaleva sull’inconsistenza degli storytelling e dei social.
Nessuna nostalgia, si cambia e ci si evolve; nel frattempo ho avuto la fortuna di accomodarmi a tante tavole importanti in Italia e non solo e assistere alla crescita esponenziale dei frequentatori e divulgatori della ristorazione (di ogni livello). In questi anni, mentre tutto cambiava, le tre stelle Dal Pescatore della famiglia Santini restavano intatte, un baluardo familiare affidabile. Ogni anno mi ripromettevo di tornare da quel signore dai modi eleganti e garbati che è Antonio Santini.
E così ho varcato nuovamente l’ingresso Dal Pescatore, dove lui, con la medesima classe di vent’anni prima, mi ha accolto con un sorriso rassicurante e benevolo: ero tornato a casa. Non c’era l’emozione della prima volta, ma la consapevolezza di chi torna da un lungo viaggio. L’eleganza del locale (incluso lo straordinario dehors), con recenti tocchi di modernità, resta immutata; prevale la luce e la solarità a dispetto del freddo minimalismo di tanti locali moderni. I passaggi generazionali all’interno della famiglia Santini non sembrano intaccare l’immenso patrimonio costruito, anzi si avverte un’attenzione affettuosa a preservarlo, a renderlo immortale, facendolo ulteriormente evolvere.
La cucina è l’armonioso scenario della celebratissima Nadia con il figlio Giovanni (oltre alla nonna Bruna), mentre Alberto Santini (con il supporto sempre vigile di Antonio) governa con sobria professionalità la squadra dei giovani camerieri.
Rigore ma non affettazione in questo consacrato tempio dell’alta ristorazione. Dal Pescatore si conferma dunque una grande tavola che, partendo dal territorio, fa della tradizione il suo architrave e dell’imprinting d’oltralpe la sua chiave di volta. Nessun superfluo fuoco d’artificio ma solo perfetta calibratura dei sapori, nessun picco di acidità e di contrasti, ma solo armonia e piacevolezza. Il piatto signature è la Misticanza con orata marinata, mousse di melanzane, burrata e maionese allo zenzero, una creazione dai sapori lievi che arrivano uno dietro l’altro in euritmico climax.
La terrina di astice con caviale Oscietra Royal è molto più essenziale, pur nel ben calibrarto trionfo della materia prima. Perfezione e rigore con la carne: petto d’anatra al balsamico tradizionale con mostarda di frutta. I dolci concludono un viaggio emblematico nella grande tradizione gastronomica italiana con il soufflé all’arancia con coulis al frutto della passione e con la torta di amaretti. La carta dei vini è un monumento in linea con il livello del locale.