Passeggiando per Modena si può finire in un angolo molto suggestivo, un luogo raccolto e intimo: piazzetta della Pomposa. Lungo il muro che circonda il giardino della chiesa, una targa ricorda che a volerla fu Telesforo Fini, un famoso ristoratore per il quale “il segreto del (suo) successo sta tutto qui: nella genuinità dei prodotti.” Non è dunque un caso che a pochi metri di distanza si trovi la cucina di un altrettanto importante maestro dell’arte culinaria: Luca Marchini. Il suo ristorante porta un nome speciale: l’Erba del Re, ovvero il basilico. In numerose tradizioni, miti e leggende di diverse culture, si legge che questa pianta sacra fosse in grado di influenzare positivamente mente e spirito. Come fa Marchini con i suoi piatti.
Persona equilibrata, avvolto da un’aura quasi zen, guida come un attento e saggio maestro “una sorta di famiglia professionale sulla quale ogni chef decide di puntare giorno dopo giorno. Questa famiglia si chiama staff”.
Accoglienza, materia prima, verità, ordine e creatività: a ognuno dei “magnifici 5” della squadra di Luca Marchini corrisponde uno di questi valori, dal maitre, al sous chef, dal sommelier fino alla pâtissière.
E il risultato è un menù pulito, equilibrato che invita a destare tutti i sensi.
La triade che apre le danze è composta da un pomme soufflé, con interno di crema di mortadella e riduzione a freddo di succo di limone e un amuse bouche di baccalà mantecato in una fragrante pastella a base di birra. Chiude il triangolo un burger di seppia in totale purezza: pane al nero di seppia cotto a vapore, con un morbido cuore al centro e un’emulsione di maionese, dove al posto delle uova sono utilizzate le proteine di un brodo, ovviamente di seppia.
Il primo piatto è già un gioco di perfetti bilanciamenti: un calamaro in doppia cottura, prima sottovuoto a 53°C, poi brevemente sul kamado. Il leggero sentore di affumicato viene richiamato da un fondo bruno di bucce di topinambur, mentre profumate cimette di cavolfiore cotte in un infuso di spezie regalano croccantezza. Infine, a completare il cerchio, una nota di miele millefiori.
Si passa poi a uno dei primi trompe-l’oeil con cui Marchini ama compiacere tanto la mente quanto il palato: nel piatto un uovo (con il guscio), petto e coscia di quaglia su una crema di mele acidulata con aceto di mele, salsa di patate e aneto e piccoli vegetali tagliati e adagiati come fossero funghetti colorati.
L’uovo in realtà è un guscio di cioccolato salato con all’interno una crema di soli tuorli: va mangiato per primo e in un sol boccone, per sorprendersi ancora una volta del fatto che l’abito non fa il monaco.
Gli spaghetti con infuso ai carciofi, rombo e polvere di olive taggiasche (foto in basso) arrivano in tavola pettinati e composti: Luca Marchini infatti usa una tecnica tutta sua, con cui cuoce per pochi minuti in acqua bollente gli spaghetti legati in piccoli fasci. Poi, sempre stretti tra loro in un abbraccio che non lascia disperdere gli amidi, li brasa in una crema di acciughe dissalate e lasciate sott’olio una settimana.
Infine li avvolge come fossero uno chignon in un savarin di acciaio.
Al centro del nido la morbidezza di una mousse di carciofi, mentre croccanti petali di carciofi fritti sovrastano il piatto, insieme a una leggera e amarognola polvere di olive taggiasche. Infine il rombo appena scottato in padella, morbido e delicato, completa il tutto. La mineralità del piatto è spiazzante.
Segue una rana pescatrice anch’essa elaborata in due passaggi: infatti prima viene marinata con la tecnica Gravlax, per concentrarne i sapori, per poi essere dorata in una perfetta tempura classica con le uova.
La parte più emozionale del piatto è che con questa rana devi fare scarpetta in un caleidoscopio di 7 emulsioni e 3 creme vegetali di diversi colori: una sorta di pennello con cui mescolare una tavolozza di sapori che vanno a riempire completamente la bocca. All’acidità ci pensa la verza viola fermentata più di un mese e poi essiccata e frullata.
Arriva poi il piatto tridimensionale: petto d’anatra servito su un foglio di pellicola teso su un piatto fondo vuoto, ma pieno di fumo.
L’anatra è appena scottata e laccata con caramello all’aceto di lamponi. La accompagnano, sempre sospesi sul piatto, mele in osmosi con succo di lamponi e una maionese fatta con fondo bruno di ossa di anatra.
Prima di iniziare occorre fare un piccolo foro sulla pellicola e poi utilizzare solo il cucchiaio per mangiare, in modo da esercitare sulla superficie (senza romperla) quel perfetto pompaggio che consente al sentore di affumicato di emergere e avvolgere ogni singolo pezzo.
Oltre all’elemento del gioco e della stimolazione dei sensi, nel piatto ritornano due caratteristiche di Luca Marchini: il rispetto del tempo e l’uso in cucina di tutto ciò che è edibile, compreso quello che comunemente viene chiamato scarto.
Come dimostra il risotto con fondo bruno di carne e maionese al cren: vialone nano cotto prima in brodo vegetale (no cipolla, no vino, no burro) e poi con fondo bruno di tutti i volatili di cortile.
Il cren insieme alla scorza di arancia candita puliscono la bocca. Il consiglio dello chef è di non mescolare: in questo modo ogni tanto arriva l’abbinamento, ogni tanto arriva la purezza. Poesia. Tra i 5 pilastri avevamo citato la creatività, che si manifesta nel suo splendore nel dessert, sempre che così lo si voglia chiamare.
Una fetta di mortadella che ricopre qualcosa: di nuovo Luca Marchini gioca ingannando la nostra vista. Si tratta infatti di un sottile strato di gelatina di fragole (e panna per la parte bianca) coppata a mo’ di fetta e adagiata su pezzetti di pane tostato con burro e zucchero, succo di ribes e un sorbetto di vino passito.
Un piatto che arriva al cuore e alla pancia, che ci riporta un po’ all’infanzia e stimola la mente.
“Il gusto è in parte dovuto agli ingredienti e in parte all’abilità dello chef. Quest’ultima può essere portata agli estremi. Ciò che il gourmet adora di più è vedere arrivare in tavola un’anatra laccata, inebriante e pregna di quello che deve essere il bouquet aromatico dei succhi della carne, solo per scoprire che l’ “anatra” è composta esclusivamente di verdura. Il cuoco di alto livello cerca di compiacere la mente tanto quanto l’appetito”.
Così inizia uno dei capitoli de “L’Ultimo chef cinese” di Nicole Mones e credo non ci sia miglior chiosa per concludere questo viaggio esperienziale, alla corte dell’Erba del Re.