Se dovessimo paragonare la cucina di Aurora Mazzucchelli ad un’opera letteraria, sarebbe certamente una di quelle opere collocate in piccoli angoli pregiati di una biblioteca d’autore.
E quando apriamo uno di questi volumi, ci rammarichiamo di non averlo fatto prima, perché subito ci rendiamo conto di essere di fronte ad un capolavoro. Questo parallelo per significare che tali sono i risultati che ha raggiunto Aurora Mazzucchelli, la cui ricerca colta e personalissima l’ha proiettata nell’olimpo dei grandi interpreti della cucina italiana, una chef che colpisce per la forza intrinseca che i suoi piatti sono in grado di sprigionare. Quella di Mazzucchelli è una cucina impetuosa, muscolare, che riesce a trafiggere il palato, emozionare il cuore, per poi ricondurre tutto al quadro concettuale che è alla base delle sue creazioni. Fulgido esempio, nel menù che abbiamo assaggiato, è Ofelia, l’anatra che si specchia nel suo stagno: uno schiaffo alle convenzioni, con profumi spiazzanti e confini spezzati fra terra e mare (la terrosità del cavolo nero e della bietola come contraltare al salmastro della salsa d’ostrica e dei cuori eduli): una portata celebrale, provocatoria e coreografica, dove prevale l’impatto della rappresentazione e la potenza sferzante degli elementi.
La stessa intensità gustativa e ideologica ritorna in uno dei piatti che più ci ha colpito di recente: la lumaca.
Degustatelo ad occhi chiusi per capire cosa significa integrità e perfezione. Qui troviamo la profondità dei sapori, data dalla salsa d’uovo e dalla salsa verde, l’affumicato della schiuma di tè nero e dell’aglio bruciato, le note ossidative della riduzione di “Canto del Ciò”, la consistenza vivida e carnosa della lumaca: un piatto avvolgente che da assuefazione ed invita anche alla più tradizionale delle scarpette!
Poiché la storia del Marconi è ormai lunga e consolidata, ed è costellata di tanti piatti memorabili, non ci siamo fatti mancare due grandi classici: il Mare del Nord, teca gelida che riproduce il mare, con la stupenda brina di canocchie a simboleggiare la spuma ghiacciata, e le profondità del mare rappresentate dal fasolare, dal gambero rosso, dalla capasanta, dalla lattuga di mare e, ai margini del piatto come al largo nel mare, dall’aringa affumicata e dal caviale: una portata suggestiva, che spinge la mente nelle profondità degli oceani invernali; a seguire, il Maccherone ripieno d’anguilla affumicata, ostrica cruda e spinaci, un’esplosione di gusto e profumo in cui ci si domanda quale alchimia consenta a questi sapori di restare in assoluto equilibrio.
Un pregevole virtuosismo lo troviamo nel Risotto cotto nel brodo di maiale, che ha tutto il sapore del maiale ma non la sua grassezza, bilanciata dalla verza e dalla mela in agro che conferisce la giusta accelerazione acida al piatto.
Ma Aurora Mazzucchelli è anche in grado di giocare con la massima semplicità, regalandoci una Faraona con purè al limone con sambuco e tiglio, piatto nel quale emergono straordinarie e delicatissime note floreali ed agrumate.
Anche con i dolci è una continua altalena di sapori e consistenze: dopo l’intramontabile Ananas in raviolo con ricotta uvetta, pinoli e caviale di caffè, cavallo di battaglia del ristorante da circa un decennio, rinfrescante e gustoso, merita l’inchino una delle recenti proposte: Mandarino, meringa alle spezie e caramello, un dolce che sa unire la freschezza dell’agrume, la dolcezza morbida del caramello e la pungenza della speziatura, un fine pasto che non saremmo riusciti ad immaginare così centrato!
Aurora si presenta al tavolo con una stupefacente umiltà, quasi timida, ma dietro a questa coltre, c’è un fiume in piena in grado di concretizzare incredibili portate, forte di una tecnica e di una maturità ormai consacrate.
Aurora, però, non è sola in questo viaggio: quella del Marconi è anche una bella storia familiare, come ormai ne sono rimaste poche, con il fratello Massimo a governare con mano sicura la sala e la pregiata cantina, la sorella minore Mascia a destreggiarsi fra i tavoli, e i genitori Mario e Maria (fondatori del vecchio ristorante Marconi, nel 1983) a dare il loro prezioso contributo dietro le quinte.
Quanto al vino, abbiamo aperto la cena con un azzeccatissimo – e per nulla scontato – Metodo Classico di Spergola, la Riserva dei Fratelli 2010 di Ca’ de Noci: vitigno autoctono del territorio emiliano, breve macerazione sulle bucce, 36 mesi sui lieviti e nessun dosaggio, per una bollicina dal colore ambrato che spiazza ed intriga, entrando in bocca come una lama per poi rivelare corpo ed equilibrio, con un leggero tannino a ripulire meravigliosamente la bocca.
Bevuta sorprendente, e perfetta con alcuni dei piatti degustati. A seguire, abbiamo scelto il Riesling Abtsberg Kabinett Trocken 2007 di Von Schubert Grunhaus, vino di estrema pulizia ed eleganza, che unisce le tipiche note agrumate ed idrocarburiche del riesling (qui molto fini e delicate) ad una trama acida e fitta, piacevolmente sapido e secco, pieno e persistente, con una lunga vita ancora davanti. Ci siamo infine concessi un calice di rosso, orientandoci sul Vita Grama 2000 di Aurelio del Bono (Casa Caterina), un uvaggio di Cabernet e Merlot profondo, un po’ ruvido, come solo Del Bono potrebbe fare. A conclusione dell’esperienza, riponiamo il pregiato volume del Marconi nella biblioteca d’autore che merita, in attesa di riscoprire le nuove emozioni che ci regalerà la prossima volta che lo sfoglieremo.