La città di Como, gastronomicamente parlando, è un po’ come il Molise, o il Lichtenstein: qualcuno sostiene che esista, ma nessuno lo sa con certezza. Orfana del suo figlio prediletto, Paolo Lopriore, non si può certo dire che brilli nel firmamento delle capitali gourmet italiane.
Tuttavia negli ultimi tempi, complice un incremento del turismo lacustre (bisognerà forse ringraziare il divo Clooney), pare che l’offerta ricettiva stia crescendo e, con essa, la proposta gastronomica di qualità.
Lo chef Davide Maci, classe 1980 e un curriculum internazionale dove spiccano le collaborazioni con Pierre Gagnaire e Gordon Ramsay, nel 2011 ha scelto di tornare nella sua Como per aprire il primo ristorante da chef-patron, The Market Place.
Già dal nome si intuisce l’impronta cosmopolita del locale, uno spazio dai tratti industriali e dal design essenziale che proietta l’ospite più in un market londinese che in un tipico ristorante italiano.
La cucina di Maci, però, è fieramente italiana.
Di un’italianità ispirata e mai nostalgica, che abita i propri territori buttando l’occhio al di fuori di essi con curiosità e rispetto.
Si può selezionare qualche piatto dalla carta (due corse a 50€, tre corse a 70€) oppure farsi guidare dallo chef lungo due percorsi di degustazione (sei corse a 75€, 8 corse a 95€).
Come sempre, noi scegliamo di non scegliere e optiamo per una degustazione con abbinamento vini, lasciandoci anche sorprendere dalle creazioni del mixologist Andrea Attanasio, titolare (insieme allo chef Maci) del Fresco Cocktail Shop, un cocktail bar a pochi passi dal ristorante che propone, oltre ai classici drink al bicchiere, curiosi cocktail premixati e imbottigliati, ai quali occorre aggiungere solo la parte alcolica.
Dopo una serie di gradevoli appetizer, arriva la capasanta con topinambur e caviale, accompagnata da una chip di coralli e daikon al sesamo nero; segue la zucca con finferli e consommè alla birra, e poi il piatto più centrato e impattante dell’intero percorso, la golosissima trippa con ‘nduja, yuzu, sfoglia di seppia cruda e calamaretti spillo.
Si prosegue con le delicate linguine con lime e bottarga di tonno, affiancate da una ciotola di dashi al pomodoro confit; a seguire, un boccone carnoso di ricciola con leche de tigre (ovvero succo di ceviche), radicchio rosso e crema di cavolo viola, pietanza dagli ottimi contrasti. Si passa poi alla carne, con il piccione alla Wellington accompagnato da salsiccia homemade di quinto quarto di piccione, piatto scenografico (poiché porzionato al tavolo) e davvero ben cucinato. Si chiude con la dolcezza dell’ananas e nocciole, fresco e ricco al contempo.
Discreta la carta vini, in attesa di maggiore definizione e personalità.
Con questo pranzo possiamo confermare che la città di Como (così come il Molise) esiste davvero, e merita certo una sosta.