La monumentalità discreta del Castello Estense, i vicoli e le biciclette, la “elle” velarizzata, i cappellacci e il pasticcio, la salama e la coppia, la nebbia, il lambrusco e il fortana, l’economia che langue, la gioventù pure. Ferrara è Emilia, ma un po’ meno esuberante, un po’ meno ricca. Moderna e progressista nel Rinascimento, è inciampata poi nella storia, finendo per chiudersi in un rassicurante e fiero immobilismo, tra i suoi 9 chilometri di mura medievali. E se tutta l’Emilia-Romagna vive sotto il giogo gastronomico della tradizione, a Ferrara non c’è proprio scampo. O quasi.
Cucina Bacilieri, nel centro storico della città, propone con entusiasmo e dedizione un’idea di ristorazione che ammicca al fantomatico “territorio” senza nascondere una sana apertura verso il mondo e verso la contemporaneità.
Michele Bacilieri, chef e titolare, è un quarantottenne garbato e schivo, di quelli che non fanno rumore; dopo la scuola alberghiera e le molteplici esperienze in brigate anche importanti, nel 2006 è approdato a La Mezzaluna di Ferrara in qualità di capocuoco, e nel 2016 ha scelto di prenderne le redini, trasformandola nell’odierna (e moderna) Cucina Bacilieri.
10 tavoli e una piccola cucina a vista, un ambiente raccolto dal taglio classico ma attuale.
Si viene accolti dalla frangetta berlinese e dal sorriso luminoso di Elisa Fusi, responsabile di sala e sommelier, la cui storia personale parla di rivoluzioni e passioni. Un menu piuttosto ampio e variegato, limpidamente focalizzato sulla materia prima e, per i più curiosi, gli immancabili percorsi “terra”, “mare” e “a mano libera”, rispettivamente di 6, 6 e 9 portate.
Una cucina rotonda, avvolgente, non ostica, che penetra il mondo animale e quello vegetale in un fluire armonico, senza larsen. Chi cerca la semplicità e il comfort qui trova piatti ben eseguiti, gustosi, con qualche richiamo alle tipicità locali ma senza strascichi nostalgici né superflue opulenze. Chi invece desidera giocare e sperimentare liberandosi dai diktat della tradizione, può trovare piatti moderatamente creativi e ben ragionati.
A sorprendere, in una precedente visita, furono il guacamole di riccio di mare alla liquirizia con molluschi e crostacei crudi, e la scaloppa di foie gras con scampi e ricci di mare.
L’ultima volta, invece, a conquistare la mente e il palato è stato il falso risotto con vongole veraci e germogli di ravanello: finti chicchi di riso realizzati con ritagli di polpa di rombo, quella attaccata alla lisca centrale, più soda e grassa; intuizione, forma e sostanza che si combinano in un boccone di puro piacere. Divertente e spiazzante anche il ricordo del pasticcio ferrarese, mitica ricetta dolce-salata qui ricreata con una base di torta sbrisolona, baccalà mantecato e scaglie di tartufo nero.
Il menu degustazione “a mano libera” è un viaggio di sicura soddisfazione, dove le idee non sono sempre inedite ma il risultato è piacevole a ogni portata: chiaro l’omaggio a Davide Scabin e alla sua “ostrica virtuale” nella “finta ostrica” di inizio pasto (un cubetto di anguria sormontato da scaglie di mandorla e foglia d’ostrica, che al gusto richiama il sapore del mollusco), ancor più evidente se si pensa che Giuseppe Rambaldi, ex braccio destro di Scabin al Combal.Zero, è originario proprio di Ferrara; riproposto da molti chef, nelle sue diverse interpretazioni, il battuto di mazzancolle con gocce di pomodoro e burrata, a ricordare una pizza napoletana, delizioso al palato e alla vista; accostamento classico quello del foie gras con le nocciole, qui impreziosito da una fetta di pesca leggermente sciroppata, dal risultato goloso e avvolgente; un evergreen rinfrescante ed equilibrato, in chiusura di pasto, la zuppetta di sedano e frutta fresca.
Menzione speciale per la cottura delle carni, che rivela tecnica, manualità, conoscenza e perizia: impeccabili il piccione (petto, coscia e ciliegia del suo fegato) e la pancia di maialino.
La carta dei vini è assai ridotta ma interessante, e tradisce passione enoica; in essa svettano le assenze (illustri) più ancora delle presenze, e non è affatto un male: per i meno esperti, è un’ottima occasione per affidarsi alla brava sommelier ed esplorare nuovi territori.
Esperienza complessiva di sicuro valore, in questa Ferrara intorpidita di inizio millennio.