Da Alfredo Russo, cucina italiana “multilivello”
Forse sono solo coincidenze. Quasi certamente Alfredo Russo, nel 1990, quando all’età di 22 anni decise di aprire il suo primo (piccolo) ristorante, nel centro di Ciriè, chiamandolo Dolce Stil Novo, non aveva in mente il futuro che destino e bravura gli avrebbero riservato. O forse no, già lo sapeva che sarebbe finito in una reggia, e che quel Dolce Stil Novo sarebbe stato nome adatto, da conservare, così azzeccato com’è. Chissà. Certo è che non capita tutti i giorni di stare in una reggia e di poterne ammirare i vasti giardini dall’ultimo piano di un possente torrione. E poi di sedersi, nel contempo, al tavolo di un ristorante celebrato, elegante, appagante. Ma se si è alla Reggia di Venaria, questo può accadere.
Bisogna solo salire sullo scintillante ascensore e, quando la porta si apre, sono marmi verdi pregiati e una essenziale sala, ad accogliere l’ospite. Essenziale, non povera: le poltrone in oro ricordano il trono di un vero re, il marmo e il raso della tappezzeria il lusso d’impronta sabauda. Quelli che tre secoli fa erano gli appartamenti delle “balie”di corte, oggi sono tre sale, uguali, a pianta quadrata, affacciate verso la corte d’onore della Reggia. Qui va in scena la cucina di Alfredo Russo, che lui definisce, semplicemente, “italiana”. E “multilivello”, capace di soddisfare la curiosità del gourmet, ma comprensibile e soddisfacente anche per le famiglie, per i turisti, per un incontro di lavoro. E se la sala, con la sua “regalità contemporanea”, potrebbe mettere soggezione, la filosofia del servizio è quella di rispettare lo spazio e la privacy del cliente. No all’iperpresenza dei camerieri, quindi, per instaurare un’atmosfera rilassante. Anche se si è in casa Savoia, e l’imponenza della storia si sente.
Gli ambienti sono stati allestiti dagli architetti Max e Lella Vignelli (che hanno curato anche altre parti della Reggia di Venaria), con un concept preciso: ricercare una regalità del 2000. E se un tempo lo sfarzo era ottenuto con stucchi e decorazioni in oro, oggi si è puntato tutto sull’essenzialità dei volumi, lasciando le pareti icasticamente vuote e utilizzando arredi di design anni ’60, come le seggiole imbottite in verde inglese disegnate da Mies Van der Rhoe. Il risultato è forse un po’ freddo, ma carico di imponente sobrietà. E se di giorno la luce del sole illumina le sale dalle grandi vetrate, di sera l’illuminazione è soffusa, flebile, intima. “È un ambiente classico e moderno al tempo stesso – spiega Alfredo Russo – pensato per non consumarsi in fretta. In linea con la nostra idea di cucina”.
IL MENU
Ecco, appunto, la cucina. Ci sono tre menu degustazione, che lasciano tutti “carta bianca” allo chef: il Lunch Basic (3 portate a 38 euro a persona, servito solo a mezzogiorno dei feriali); il Menu Gourmet (7 portate a 70 euro) e il Grand Gourmet (9 portate a 90). Alla carta, gli antipasti si aggirano attorno ai 25 euro, i primi 24 euro, i secondi 29, a cui aggiungere 10 euro di coperto. “Il coperto l’avevo eliminato 15 anni fa – sottolinea Russo – ma qui lavoriamo molto alla carta, e tanti assaggiano un paio di piatti soltanto. Aver inserito la voce coperto ci ha permesso di non alzare i prezzi delle portate in carta”. E nel piatto? Non aspettatevi nessuna ricerca storica filologicamente improntata a Giovanni Vialardi, il cuoco ottocentesco di Casa Savoia. Alfredo Russo porta avanti le stesse idee già sperimentate nelle due prime versioni del Dolce Stil Novo, quando ancora era a Ciriè. Cucina italiana, quindi, contemporanea, che ricerca la purezza e l’essenzialità, togliendo dal piatto la stratificazione di ingredienti, giocando invece tono su tono (come nel caso della famosa “pasta in bianco”, centrata principalmente su diverse variazioni di Parmigiano). Ma è anche cucina che sorprende ed emoziona, come con il sorbetto all’ostrica (che viene cotta), il vitello tonnato di fassone piemontese con caramello al limone, e quel polpo arrostito con polenta cruda e capperi di Pantelleria che è antipasto strepitoso per cottura del pesce ed equilibrio di sapore. L’attenzione per la materia prima è grande, e ampio è l’utilizzo di materie prime “locali”: il fassone piemontese, il coniglio grigio, i porri di Cervere. Ma c’è anche il Sud, terra d’origine dei genitori dello chef (pugliesi), e gli spaghetti di Gragnano vongole e broccoli ne sono esempio. Lo stracotto di fassone piemontese con brunoise di pomodori freschi, servito con chips di patate su una base di purè, è un altro grande piatto di grande spessore. Prima dei dolci, arriva il carrello dei formaggi, ricco e goloso, costruito sulla produzione di un’unica valle, quella di Lanzo. La crema bruciata in doppia consistenza (e temperatura, tiepida e fredda) dimostra che anche la pasticceria è ben inserita nella filosofia del locale, così come le coccole finali della piccola pasticceria, che chiude il pasto con un lecca lecca di miele e limone che è gioco e gusto assieme, come deve essere.
IN CUCINA
O meglio, nelle cucine. Perché sono due. Una di servizio, al piano del ristorante. E una di preparazione, al piano inferiore. A sovrintendere la brigata (età media 25 anni), Fabrizio Milano, executive chef, e Federico Frigato, secondo chef, mentre il pasticcere è Matteo Vigilante.
“Siamo suddivisi in maniera classica – spiega Fabrizio Milano, 32 anni, da 14 anni al fianco di Alfredo Russo – per partite: antipasti freddi, antipasti caldi e secondi, primi e dolci. Nella cucina di preparazione effettuiamo le lavorazioni più grandi, prepariamo il pane e i dolci, puliamo pesce, carni e verdure. Nella cucina di servizio tutti i prodotti arrivano semilavorati: ultimiamo le cotture e impiattiamo”. Ad occuparsi della spesa è lo stesso Fabrizio Milano. “Non facciamo arrivare direttamente i fornitori, ma andiamo noi da loro. Preferisco scegliere la merce”. I fuochi sono ad induzione: scelta imposta, per motivi di sicurezza. “A Ciriè avevamo i fuochi a gas, ma non torneremmo indietro: l’induzione è più potente e precisa”.
IN SALA
La sala è guidata da Debora D’Avola, restaurant manager, sommelier e maitre del locale, e vede all’opera Luigina Roman, sommelier, con i commis Andrea De Zordo e Valentina Leta. Sul servizio Alfredo Russo ha le idee chiare: “Qualcuno ci ha criticato perché non spieghiamo troppo i piatti”.
È una scelta precisa, fatta per rispettare il cliente. Alla base c’è l’idea di non interrompere il colloquio al tavolo, e poi lasciamo che la scoperta del piatto venga fatta dal cliente stesso. Se poi qualcuno chiede delucidazioni, siamo pronti a fornirle”. Concetti confermati anche da Debora D’Avola. “Il servizio è molto curato, senza però essere troppo invadente. Cerchiamo di mantenere un’atmosfera soft, che metta tutti a proprio agio”. E poi è questione di ritmo. “Il ritmo è tutto – continua Russo –. Quando un cliente finisce un piatto, entro pochi minuti deve arrivare il successivo. Soprattutto sul menu degustazione, i tempi devono essere precisi”.
LA CANTINA
350 etichette, con larga preponderanza di vini piemontesi. E una buona offerta di mezze bottiglie per i bevitori morigerati. La carta dei vini è congruamente rapportata al blasone del ristorante. Per chi predilige il bicchiere, c’è la degustazione (a 20 euro) dei quattro vini prodotti appositamente per il locale da Andrea Faccio, nel Monferrato: un blend di Cortese (80%) Chardonnay (10%) e Sauvignon (10%), un merlot con una piccola percentuale di Barbera, una Barbera superiore e un moscato dolce di Canelli.
INTERVISTA ALLO CHEF
Partiamo dalla tua storia. Raccontati in cinque righe.
Sono uscito fuori dal cilindro: ho deciso che sarei diventato cuoco a 13 anni, senza che la mia famiglia fosse di ristoratori. Ho fatto la scuola alberghiera, poi qualche esperienza in ristoranti importanti di Torino e Piemonte. Nel 1990, a 22 anni, con mia moglie Stefania ho aperto il Dolce Stil Novo, a Ciriè. Nel 1993 è arrivata la stella Michelin. Ci siamo spostati in un locale più grande, sempre a Ciriè. E dal 2008 siamo qui, alla Reggia.
Un passo importante.
Sì, e una bellissima esperienza. Siamo passati dal ristorante familiare all’organizzazione aziendale.
È cambiata la tua cucina?
No, cerco sempre di fare una cucina contemporanea, comprensibile da tutti. Io la chiamo appunto “cucina del multilivello”.
Cosa significa per te cucina contemporanea?
Significa fare una cucina pura, netta, dai sapori ben riconoscibili. Non individuare quel che c’è nel piatto è un valore negativo. Nel 1991 abbiamo abolito fondi bruni, basi, emulsioni, per andare all’essenza dei sapori. Un fondo bruno livella, appiattisce il gusto. Il bello della cucina sono gli alti e bassi, e i nostri prodotti eccezionali dobbiamo elevarli, non standardizzarli.
Hai abolito anche il soffritto?
Sì, il classico soffritto, sedano carote e cipolle, è un gusto standard, è il soffritto della mamma e della zia. Preferisco lavorare su tasti precisi: se voglio valorizzare la cipolla lavoro sulla cipolla, se scelgo un’erba la utilizzo da sola. Quando la gente percepisce questo lavoro rimane sorpresa ed emozionata. Il gusto puro è immediato, si ricollega alla memoria gustativa, ed emoziona.
Racconta un tuo piatto.
Il mio piatto più famoso è la pasta in bianco, nata come provocazione, quasi 15 anni fa, quando si era creativi se si usava il lemongrass e lo zenzero e facevi spume e schiumette. L’idea era quella di fare di un piatto semplicissimo, che però racchiude l’essenza dell’Italia, un piatto per un ristorante gourmet. Da lì è nata l’idea che poi è diventata un po’ una prassi, quella di avere un ingrediente unico nel piatto, variato, giocato tono su tono.
Un piatto deve essere bello per forza?
Io non disegno un piatto pensando all’estetica. Io penso alla bontà di quel piatto, e se anche non è bellissimo, ma è buono, mi può andare bene.
Da cliente, cosa apprezzi maggiormente?
La cucina ha una grande importanza, anche se non è l’unica componente che rende positiva un’esperienza al ristorante. Quando vado in un locale sono aperto a tutte le tipologie di cucina, che sia trattoria, pizzeria, ristorante gourmet, asiatico. Quello che apprezzo meno è trovare cucine, anche ipercelebrate, fatte senza cuore, senza anima, con lo scopo evidente di stupire.
DOLCE STIL NOVO
Piazza della Repubblica, 4
Venaria Reale (Torino)
Tel. 011 4992343 – 339 1996218
www.dolcestilnovo.com
Aperto dal martedì sera
alla domenica a pranzo