Serata tiepida e piacevolissima a Londra. Al numero 50 di Merylebone High Street, a nord di Oxford Street, ci sono diverse persone in abito da sera che aspettano pazientemente di poter entrare nel bel locale dai toni beige e grigi, illuminati da calde luci ambrate, già affollato.
Malgrado siamo in una delle zone più conosciute di Londra, sembra di essere in Italia, in quanto la maggior parte degli invitati è italiana così come anche gran parte dello staff del ristorante. Il dettaglio non è irrilevante, perché ad aprire le porte di Cotidie – il nuovo fashion restaurant della capitale – è lo chef Bruno Barbieri.
L’INTERVISTA
Dopo i grandi successi ottenuti in Italia, l’invidiabile collezione di stelle, l’incredibile successo mediatico di Master Chef Italia, Bruno Barbieri si trasferisce a Londra. A cosa è dovuta questa scelta?
In questi ultimi vent’anni noi chef abbiamo riscritto la storia dell’enogastronomia in Italia, istituendo nuovi percorsi sulla base della tradizione o compiendo totali digressioni.
Eppure io, malgrado i grandi risultati e il mio personale dispendio creativo a Villa Del Quar di Verona, avevo voglia di cambiare, avevo voglia di respirare aria nuova.
Sono quindi arrivato in questo posto dove non conosco nessuno e senza parlare bene la lingua per rimettermi completamente in gioco. Tabula rasa. E rewind. Riparto dall’unica cosa che so fare bene: cucinare. Questo non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Posso contare su un gruppo di persone che sono venute qui a lavorare per me e con me, e da qui inizia una nuova storia. Io non sono sbarcato a Londra per fare il fenomeno, ma questa partita me la voglio giocare bene.
A Londra c’è un ristorante ogni 5 metri, un po’ come le banche a Istanbul. Qui le persone non sono abituate a mangiare a casa ma mangiano sempre fuori, al ristorante, dando così la possibilità a tutti di lavorare. Nonostante la concorrenza spietata, se lavori bene, se entri nel meccanismo giusto, questa è una città capace di offrire opportunità e grandi soddisfazioni.
Come è composto il tuo staff?
Questa è appunto la prima esperienza imprenditoriale londinese sia per me che per il mio socio, Francesco Ortone. Ho circa 35 dipendenti di cui una sfoglina, Carla Cavina, che è una vera arzdora, (la reggitrice della casa romagnola, ndr): viene da noi tutti i mesi, rimane 15 giorni per produrre pasta fresca, come solo lei può farla. La sua è una di quelle professionalità che fanno la differenza. Le selezioni dei dipendenti sono durate 8 mesi. Ho voluto persone che avessero lavorato almeno negli ultimi 5 anni in Italia. Si sono presentati cuochi e maitre italiani che hanno operato per anni in grandi realtà londinesi, ma che non potevano andare bene per Cotidie, per raccontare Bruno Barbieri e la cucina italiana, perché non erano aggiornati, perché non ne sapevano abbastanza e non erano al passo con l’evoluzione della nostra cucina. Non puoi vendere ciò che non conosci veramente bene, quindi inutile tentare e prendere scorciatoie “locali”.
In sala dunque il direttore è Enrico Baronetto, fratello del sous chef di Carlo Cracco, insieme a Aldo Berti, che ha lavorato a La Pergola e a L’Altro Mastai. C’è nella mia ricerca tutta una serie di collegamenti e di storie a me necessari. Non posso farne a meno.
Il gruppo di cucina è fortissimo, fatto di persone coese che avevano già lavorato con me, infatti il mio sous chef è Daniele Simonetti, mia spalla a Villa del Quar.
Va detto che c’è una grande richiesta di lavoro a Londra: mi arrivano continuamente curricula, anche perché i rapporti di lavoro non sono complicati come in Italia e possono concludersi dalla sera alla mattina. Non ci sono contratti vincolanti come nel cosiddetto Belpaese.
Non esiste un contratto nemmeno per lo chef.
Altro che articolo 18!
Ti sarai già fatto un’idea della cucina italiana a Londra: cosa ne pensi?
Con tutto il rispetto per molti degli altri chef italiani che lavorano qui, io mi sono accorto di una sola cosa: la cucina italiana proposta oggi a Londra è spesso una cucina travestita da cucina italiana, una cucina ferma agli anni ’80. Il vero problema, grande, è che gli chef italiani che sono venuti qui 30, 40 anni fa non hanno partecipato all’evoluzione strutturale e contenutistica insita in questi ultimi anni decisivi, non si sono resi conto che la cucina italiana e la produzione della materia prima hanno subìto grandi cambiamenti. La cucina italiana proposta a Londra è fatta generalmente con le materie prime che trovi qui, ed è quindi stata adattata ai prodotti locali.
Molti chef famosi hanno aperto ristoranti a Londra, ma un conto è fare una toccata e fuga, un conto è rimanere sul campo ogni giorno.
E non trovare le vere materie prime per il mio locale mi ha fatto diventare matto.
Quindi come ti sei organizzato per fare la spesa per il Cotidie?
Londra sta a un’ora e mezza dall’Italia, quindi viene da pensare che non cambi nulla tra Italia e Inghilterra ed invece mi sono accorto che sul mercato non c’è niente, a parte una mozzarella blu, che deve essere quella menzionata sui giornali italiani. Questa cosa mi ha letteralmente sconvolto. Poi aggiungi pure che sono bolognese, ma mi sento anche romagnolo, che sono abituato a spingere a 3000, quindi non sono stato a rigirarmi i pollici.
Sono andato anche all’Amabasciata Italiana per capire come riuscire ad attivare una rete commerciale tra Inghilterra e Italia, perché relazioni politiche e commerciali forti tra questi due Paesi a quanto pare non ci sono.
Se in Inghilterra cerchi la radice di zenzero del nord est dell’India, la trovi e non solo, la trovi addirittura in formato piccolo, medio e grande. I Paesi asiatici qui si esprimono al top, i loro sono i migliori ristoranti e questo perché tra i Paesi asiatici e l’Inghilterra ci sono grandi relazioni economiche per via delle colonizzazioni.
Cerco le vongole? O acquisto quelle che arrivano dall’Australia o quelle del nord della Francia.
Voglio il sale grosso, giusto per fare un esempio terra terra? Si può acquistare solo il fiore del sale del Galles, che costa 35 pound al Kg.
Mi sono chiesto: come posso raccontare cosa sono la fregola, il lardo raschiato, quello di montagna, che cosa sono le cozze pelose, le cozze nere, cosa sono le canocchie o le lumachine di mare, cos’è la mora romagnola… E’ per rispondere a questo che è iniziata una vera e propria battaglia. Ho aperto dunque una sorta di rete commerciale pro domo mia, perchè il Cotidie vuole essere una vetrina a Londra per piccoli produttori italiani che hanno interesse per questo mercato. Così abbiamo iniziato a lavorare con una serie di produttori di nicchia, anche per le piccole cavolate, che possono sembrare banali, ma che sono il vero segno di distinzione, almeno nei miei menù.
Come hai affrontato l’abbattimento dei costi e quindi come hai realizzato il menù?
Quando sono venuto a Londra e ho fatto le prime riunioni con i commercialisti, sono uscito dicendo con Francesco “qui sono tutti matti, questo è un altro pianeta!”. “Qui pensare di pagare 40 / 50 mila sterline al mese per un affitto è normale. Di ristoranti piccoli, da 25 a 30 coperti, a Londra ce ne sono un’infinità, ma non sono remunerativi. Qui devi lavorare con numeri maggiori, altrimenti non reggi, non ce la fai.
A Londra tutto è business, tutto ha un costo, persino i sacchetti dell’immondizia li acquisti dal comune a 1 sterlina l’uno. Se rompi un sacchetto, è già una perdita.
Qui è sovrana la regola e le regole vanno rispettate. Per noi italiani è difficilissimo abituarci a tante regole. All’inizio dicevo appunto di diventare matto. Anche lo smaltimento dell’immondizia, ovviamente differenziato, ha degli orari da rispettare e se non li rispetti sono multe. E quindi costi aggiuntivi.
I costi in genere sono molto elevati.
Ma veniamo a Cotidie, che in latino significa ogni giorno (nel mio dialetto direi “tòt i dè”): ho voluto dare una svolta al menù, cambiandolo molto spesso, senza uno schema rigido. Non ci sono antipasto, primo e secondo, ma tre box, dalla terra, dal mare e dall’orto e tutto cambia a seconda dell’idea quotidiana dello chef ed in base alla materia prima disponibile (e devi sapere che i londinesi amano essere consigliati dallo chef). Il cliente sceglierà quindi il piatto in base alla materia prima. C’è poi uno spazio dedicato alla pasticceria e uno speciale dedicato al pranzo.
A pranzo c’è la possibilità di mangiare al bancone un piatto che si chiama “tutto in un piatto di”: vuol dire che arriverà un piatto grande quadrato con all’interno un menù completo, con un cuoco al bancone che lavora davanti al cliente e parla con il cliente. Questo piatto nasce da un’idea di Gualtiero Marchesi degli anni settanta e dall’esigenza dei single, come me, di mangiare fuori. Se non ci fosse stato Jobs a inventare l’Iphone sarei uno di quelli che va a mangiare da solo e spera che ogni tanto arrivi un cameriere a dirgli qualcosa. Così lo chef al bancone rappresenta la mia idea conviviale per far trascorrere un buon pranzo a 10 single. Il nostro lavoro comincia presto al mattino: facciamo dei breakfast lunch, poi abbiamo il pranzo, poi il pomeriggio e poi la cena. Calcola che andare a mangiare un piatto di spaghetti alle quattro del pomeriggio qui è normale e dopo le dieci di sera i ristoranti londinesi sono vuoti. La cucina è prettamente italiana ed esprime la volontà di far conoscere le regioni italiane tramite piatti che ho scelto, che mi piacciono, che ho rivisitati col mio stile, con le mie idee, con le mie esperienze, col mio cuore. Io mi faccio i miei viaggi mentali, non mi ispiro a qualcuno in particolare anche se i maestri come Gualtiero ti danno un imprinting indelebile, ma faccio ciò che amo fare. Non so se sono alla moda o trendy; sono io, con la mia cucina.
Lo stile grafico del menù e della locandina….
Sì lo so, sembra una locandina funebre: “Oggi muore a Londra Bruno Barbieri”.
è stupenda. è in pieno stile elegante londinese, appositamente studiato dall’agenzia che mi segue per le public relations.
Speri di ottenere una stella Michelin e altri riconoscimenti anche qui a Londra o sei uno tra gli chef miscredenti delle guide e delle valutazioni?
Se Bruno Barbieri è diventato ciò che è, lo deve a quel po’ di talento che ha, ma lo deve soprattutto alle guide, alla Michelin, al Gambero Rosso, alla Madia, a tutti i giornalisti italiani che si occupano di gastronomia, che si sono occupati di me e che hanno creato tutto un movimento di idee e di interesse.
è a mio parere da ipocriti dire “non me ne frega niente della guida, dei giornali, delle stelle”.
I giornalisti e le guide sono coloro che hanno cambiato, nel bene e nel male, il mondo della gastronomia.
Piace a tutti stare al top. Io sono uno di quelli che tante volte è stato in paradiso ma che ha assaggiato anche l’inferno, dove peraltro non si sta poi così malaccio, perché nessuno ti scoccia troppo ed è divertente il fatto di essere in tanti laggiù.
Io punterò alle guide, perché comunque questa è una città importante, anche se non conosco nessun giornalista e quindi non potrò mafieggaiare quel minimo (ride). Me la gioco gastronomicamente, posso dire così?
Una giornalista inglese mi ha chiesto se ho messo in conto che Cotidie possa essere un flop: dopo essermi girato per una toccatina superstiziosa, ho comunque riconosciuto che potrebbe esistere una, spero remota, possibilità. D’altronde lavoro per gli inglesi, non per gli italiani e di conseguenza ho un pubblico nuovo, diverso.
Dal Trigabolo a oggi cosa succede, cosa è cambiato, cosa rimane?
La grande storia del Trigabolo è quella che ci ha rovinati piscologicamente: siamo ancora qua, dopo trent’anni, a parlare di certe cose, a rimaneggiare storie morte e sepolte.
Cosa rimane? Rimane il fatto che sono un deficiente e che a 50 anni, se fossi stato un po’ più furbo e meno trigabolesco, sarei diventato ricco, come è successo a taluni personaggi. Invece sono ancora attaccato a certi principi e non diventerò mai ricco.
Ma tanto il mio futuro sarà a Caracas, a Los Roches, Venezuela. Pesco,mangio, bevo, dormo, prendo il sole e vedo gli amici.
Pensare di vivere in giro per il mondo mi piace, ma oggi dove c’è il mio lavoro c’è la mia vita.
Il Trigabolo ci ha fatto amare tanto profondamente questo mestiere da portarci a vivere e a ricreare situazioni anacronistiche, proprio perché legate ad un ciclo storico e professionale ormai concluso. Ma ieri come ora non mi sono mai piaciuti i compromessi, non vado alle manifestazioni solo per incontrarsi, per far sapere che c’ero, non ho più voglia di sentirmi dire cosa devo fare o come devo fare il mio lavoro.
Preferisco uscire e fare un’esperienza di cucina di strada, visitare un mercato all’estero per assaporare qualcosa di nuovo, assaggiare una storia che mi serve per ciò che amo fare.
Alcuni mi hanno dato del pazzo: cosa vai a fare a Londra, hai raggiunto quello che hai voluto, il successo, la televisione, Masterchef e cosa vai a rischiare. No, io faccio quello che mi piace fare, senza ascoltare nessuno.
Dopo dieci anni trascorsi a Verona, anni con bellissime esperienze da raccontare (alcune delle quali però mi hanno anche rovinato la vita) dopo che ho vissuto un momento critico, ho avuto bisogno di arrivare a Londra e cambiare.
Sono sempre andato un po’ controcorrente, ma non per attirare l’attenzione, solo per rispettare ciò che sento.
Durante l’intervista, Cotidie sembra un luogo di pellegrinaggio: gente che saluta, che bussa nel vetro, che fa foto, che cerca di entrare per vedere.
Bruno, tutto questo è causato dall’effetto boomerang del successo televisivo?
Il grande successo di Masterchef mi ha cambiato la vita. Ho sempre fatto televisione, ma mai niente del genere.
Gli italiani che ti salutano e ti stringono la mano per strada, che fanno complimenti… Mi è capitata una signora anziana in metropolitana a Milano che stava guardando il videowall con la presentazione di Masterchef, poi si è girata e mi ha guardato, ha riguardato lo schermo, poi di nuovo me: temendo che dubitasse di soffrire di demenza senile le ho confermato di essere io quello del videowall. L’ho tranquillizzata! (ride)
Ma mi sono anche veramente reso conto di cosa sia lo stalking, gente che ti lascia biglietti ovunque con scritte cose indicibili. Alcuni sono matti da legare.
Il mestiere del cuoco è diventato un mestiere che dà un successo planetario proprio tramite la tv.
Avendo fatto già tanta televisione e sapendo bene che tutti gli chef cercano di andare in tv (con qualità opinabile sia di certi programmi che di certi chef) non hai avuto paura a buttarti nell’avventura di Masterchef?
No, perché mi hanno chiesto di entrare a far parte del programma come Bruno Barbieri; non mi è stato chiesto di interpretare un ruolo, ma di essere me stesso.
Come parlo con te, parlo con i vertici di Sky, di Magnolia, perché io sono questo. Loro hanno sempre creduto in me e a volte mi chiedo il perché. Non sono bellissimo, non sono il Cracco della situazione, probabilmente però ho quel che di emiliano romagnolo che gli altri non avevano. (La genuinità, ndr).
Questo programma mi ha fatto sentire veramente protagonista, perché stai in una sorta di set cinematografico, lavorando come in un film, alzandoti prestissimo, restandoci per più di 10 ore, cambiando locations più volte al giorno, prendendo aerei, …
Poi era la prima edizione in Italia, con una scommessa dietro, con 200 persone al lavoro. E’ stato il programma dell’anno dopo Fiorello. Dietro a Masterchef c’è la grande materia prima umana, la grande manovalanza, la storia di tante persone, ma soprattutto un sentimento gastronomico. Le persone si sono immedesimate nel sogno di altre persone, che magari non hanno avuto modo di realizzare il sogno che avevano dentro e che con Masterchef hanno potuto dargli vita. Questo ha rappresentato la base del suo successo. In più siamo stati l’unica di 44 edizioni senza un conduttore, ma gestita dai tre giurati.
La televisione crea il personaggio, crea il mostro qualche volta, crea tutta una serie di situazioni collaterali. Per questo può diventare un’arma a doppio taglio…
Quindi adesso tra il tuo impegno televisivo con Masterchef, il tuo impegno al Cotidie, riuscirai a fare ancora i viaggi in oriente che tanto ami o ti fermi?
Mi hai fatto una domanda del c… una domanda che mi devasta. Sì, mi ha fatto un po’ stare male ‘sta domanda, non voglio neanche pensare che sono fermo, adesso. Io ho vissuto la mia vita viaggiando.
I viaggi sono stati la mia storia di lavoro, la mia storia personale. Ho scelto di vivere col sacco a pelo, viaggiando in situazioni che uno non crederebbe possibili, frequentando posti assurdi. Non viaggio mai in grande stile. Viaggio in autostop, pullman, autobus. Sono andato da Panama al sud del Brasile in autobus, con quelli scassati che hanno loro. Ma solo così capisci la gente, scopri le cose, mangiando ciò di cui altri neanche si immaginano l’esistenza.
Il Ciapas, per esempio è uno dei più grandi mercati gastronomici di food, inimmaginabile.
Ho fatto le vie del cacao, le vie del caffè, ho mangiato e bevuto di tutto, pensa che ho mangiato in una gelateria un gelato Tinca Carpione e aglio in Venezuela, sulle alpi venezuelane, al di sopra delle nuvole.
Quello che ho scoperto in questi viaggi è qualcosa che porto con me e che arrichisce il mio lavoro.
Ho creato una brigata di cucina perfetta in grado di lavorare anche senza di me: per fare questo mestiere devi essere un grande allenatore e in tutta la mia vita, in tutte le realtà, ho formato ragazzi che non ho mai avuto bisogno di controllare, creando nel contempo persone autonome e di successo. Questo per me è fonte di orgoglio.
COTIDIE RESTAURANT
50 Marylebone High Street
London W1U 5HN -Tel. +44 (0) 20 7258 9878
www.cotidierestaurant.com
reservations@cotidierestaurant.com