
Si accetta: “Abbigliamento pulito e senza strappi, elegante o casual elegante. Vietati jeans, denim, gonne aderenti o corte, top, magliette ombelicali, canottiere, leggins, pantaloncini, tute, pantaloni a vita bassa, cappelli da baseball, scarpe da ginnastica o di gomma, ciabatte”. Se non si rispettano queste regole, non si sale nella classe superiore della Qatar Airways.
Vorrei scrivere “mi piace” sotto questo elenco perché apprezzo che vi sia, come un tempo, un dress code per ogni situazione.
Ormai è passato il messaggio che ognuno può vestirsi come vuole, specie se paga.
E così si vedono donne in stivaloni e minigonne alle udienze scolastiche (o a insegnare), uomini in bermuda nei ristoranti dove si richiedono giacca e cravatta, spalle nude e ampi decolletes in chiesa, tute e jeans, jeans, jeans sbrindellati ovunque, come se buferasse.
Rimango convinta, come mi è stato insegnato, che l’abito sia un codice (code, appunto) attraverso il quale comunicare: l’abito decoroso adatto alle varie situazioni significa rispetto per gli altri e a poco valgono i proclami che inneggiano alla libertà individuale sempre e comunque, perché vale sempre la regola che ogni libertà confina con quella degli altri.
La divisa esprime lo stesso concetto relazionale: indica soprattutto il proprio ruolo e, di solito, la si indossa con orgoglio e responsabilità perché è indice di decoro professionale.
Lo dico, ancora una volta, per chi nei ristoranti pensa di poter servire ai tavoli vestito come gli pare, lo dico anche a quella bella ragazza del ristorante sotto casa che serve cosce al vento con pantaloncino mutanda e reggiseno d’estate, poco più in inverno.
L’idea che sei venuta dal mare o dal mercato con la stessa mise mi sa di scarse regole igieniche, anche se sei giovane e bella e a tutti piacciono le curve che mostri, quelle sì, con orgoglio.
La divisa, di fatto, anche fosse una semplice polo pulita e un pantalone, comunicherebbe invece subito che non sei una cliente, che svolgi un ruolo preciso, che rispetti la sensibilità di ciascuno dei tuoi ospiti.
L’abito non solo fa il monaco, ma fa anche la persona educata.
E di educazione, oggi, ci sarebbe un gran bisogno…