L’imprinting è un particolare tipo di apprendimento per esposizione, presente in forme e gradi diversi in tutti i vertebrati. Serve a fissare una memoria stabile delle caratteristiche visive degli individui da cui si verrà allevati (imprinting filiale).
L’imprinting non è un comportamento innato ma neppure una forma di apprendimento possibile durante tutto l’arco della vita: esso ha caratteristiche intermedie, poiché rimane legato sia alle informazioni che il nuovo nato riceve dal mondo esterno, sia alla predisposizione genetica, con una sorta di “finestra temporale” durante la quale il suo sistema nervoso è sensibile a “stampare” l’immagine del genitore o di chi viene riconosciuto come tale.
Appena nati, gli animali possiedono, in diverso grado, una rappresentazione a livello di sistema nervoso che consente loro di riconoscere gli individui della propria specie.
L’imprinting serve a completare questa rappresentazione. Più la rappresentazione è dettagliata, meno ci sarà bisogno di imprinting.
Questo in sostanza quello che Wikipedia racconta; interessante il passo “…poiché rimane legato sia alle informazioni che il nuovo nato riceve dal mondo esterno sia alla predisposizione genetica …”.
Può questo concetto essere trasposto al vino?
Sì, è possibile.
Il mio imprinting fu generato alla tenera età di 17 anni durante un pranzo di Natale.
Mio padre mi offrì un calice di un vino romagnolo totalmente inzuppato nel legno di una barrique, il che mi piacque particolarmente… et voilà!
Eccomi catapultato nel mondo del vino.
L’imprinting iniziale viene costruito in base al momento storico in cui ci si forma: negli anni ’90 si veniva avvicinati da un tipo di vino, oggi, nel 2023, ovviamente da un’altra tipologia totalmente diversa.
Proprio nel primo periodo di passione verso il vino prende forma il nostro stile, che ci accompagnerà in base ai cambi stilistici e climatici del tempo, che tuttavia non sono mai così veloci ed uniformi.
Gli stili cambiano, ma, come per la moda, poi ritornano: eventi ciclici che si ripetono per ogni cosa che ha a che fare con il genere umano.
Il mondo del vino è percorso da sempre dalle mode. Alcune di queste sono ondate più stabili, difficili da scalzare, altre molto più veloci.
I consumatori sono piuttosto conservatori, anche se ultimamente le nuove generazioni vivono cambiamenti velocissimi e repentini.
In molti ricorderanno che negli anni Novanta lo stile dei vini rossi (ma anche dei bianchi) era corposo e opulento, con un utilizzo massivo delle barrique. Quella ondata durò parecchio, fino a produrre la reazione opposta.
Oggi, invece, lo stile dei consumatori è orientato su vini più sottili ed eleganti, con acidità molto alte.
Anche la corrente dei vini naturali si sta rivelando un’onda lunga e destinata prima o poi a quietarsi.
Quella degli Orange Wine, ovvero i super macerati, invece, sta attraversando il suo momento più felice.
Di contro però si sta affacciando – e dilaga un po’ ovunque – la richiesta di vini a bassa gradazione alcolica.
Appunto imprinting: ciò che ci piace inizialmente non è detto debba per forza piacerci in futuro, il palato evolve, muta costantemente.
Quante volte vi siete stupiti del fatto che, con l’avanzare dell’età, certi elementi gastronomici iniziano a piacervi sempre di più? Credo sia accaduto a tutti.
Come dicevo, lo stile rimane, le mode passano, ma non è coerente negare il passato, anzi, intelligente è farne tesoro per avere più opportunità per creare un futuro splendente.
Solo gli stolti non sono in grado di cambiare idea e fare autocritica.
Il bello del vino, in fondo, è proprio questo: non negare l’errore, ma condurlo a successo estemporaneo.
[Questo articolo è tratto dal numero di novembre-dicembre 2023 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]