Che la demoniaca barrique non fosse più di moda non è un segreto, d’altronde anche al Diavolo capitano periodi di alti e bassi.
Come sottolineava Coco Chanel “la moda passa, ma lo stile resta”, un concetto tranquillamente applicabile a questo settore perché il vino è stile e non moda.
Tutto passa – più prima che poi – tutto evolve, soprattutto e con maggiore velocità se parliamo di gusto oggettivo e non.
La prima a urlarlo sulle pagine del Times qualche anno fa è stata la mitica e controversa Jancis Robinson, la quale si accorse che i vini – italiani – assumevano caratteristiche differenti e affilavano la precisione gustativa quando l’evoluzione era affidata alle gigantesche botti di rovere. Che scoperta, eh?
Ma torniamo a noi; se continuamente si adeguano al linguaggio moderno i dizionari e le enciclopedie, perché non possiamo rivedere i detti popolari?
Scherzi a parte, non è certo la signora Robinson o chi per lei a dettare le regole del gioco. Precisiamo subito una cosa molto importante: non è che la barrique non sia più adeguata al momento storico, è che non sono più adeguati i tempi e l’uso di questo strumento. Non è corretto demonizzarla.
Esistono in natura vitigni più propensi a un’evoluzione dentro i piccoli fusti (barrique) altri che esprimono al meglio le loro caratteristiche all’interno di formati più grandi, tutto qui.
Ma attenzione: sia attraverso botti grandi sia attraverso le barrique si posso produrre grandi vini o vini mediocri.
L’uso della barrique, soprattutto se nuova, necessita di maggiore attenzione da parte del produttore. I profumi rilasciati dal legno non devono avere il ruolo di protagonisti nel bicchiere, a discapito dei profumi primari e secondari dell’uva. Torniamo per un attimo ai legni grandi oggi tanto tornati in voga.
In Italia – non è un segreto – siamo sempre stati tra i più grandi produttori di botti in rovere e non è una coincidenza o un caso.
Sono molto pragmatico in merito alle coincidenza, ne ho sentito parlare ma non ne ho mai vista una.
Anche in Francia le cose stanno cambiando seriamente; c’è un ritorno dei legni da 500 e più litri di capacità (molti pensano anche per questioni economiche ma io non credo proprio).
Comunque, oggettivamente, un vino maturato in legno grande è sicuramente più “refined and precise”.
Non che adesso Parker e tutti gli illustri critici che hanno sponsorizzato le barrique per anni non vanno più presi sul serio, anzi, all’epoca anche il nostro caro Luigi Veronelli è stato uno dei primi giornalisti a puntare sulla barrique.
Quante cose sono cambiate da allora? Tantissime.
Mettiamoci bene in testa che l’utilizzo della barrique non determina il tradizionalista o il modernista: è un grave errore credere il contrario. È dagli anni ’80 che la discussione tra tradizionalisti e modernisti va avanti, quasi ininterrottamente, senza sosta, spesso con argomentazioni sterili e noiose.
Ricordate i Barolo Boys?
Hanno avuto un grande merito, quello di avere rinnovato i processi produttivi del Barolo e non solo, ma soprattutto di farlo conoscere trasformandolo, in un periodo di crisi d’identità, in uno dei più grandi vini italiani a livello mondiale in diretta concorrenza con i grandi rossi di Bordeaux e di Borgogna.
I vecchi produttori e i tradizionalisti più in generale sono sempre rimasti fedeli all’utilizzo della botte grande per il Barolo. Hanno però seguito i modernisti nel nuovo approccio produttivo/qualitativo. La tradizione non si esprime attraverso il legno utilizzato, ma da come si educa la vigna e il processo produttivo. Il vero stile si decide li, sul campo.
Non è il legno a comandare il vino, ma è il vino insieme all’uomo a comandare il legno. Sempre se l’uomo si dimostra buon domatore. Anche quello, seppur circense, è un buon mestiere.