
Cercando di fare maggiore chiarezza sui recenti movimenti dei produttori vinicoli cosiddetti “green”, non nego di aver percepito, oltre a parecchie note positive, anche diverse criticità, prima tra tutte quelle relative ai controlli: in molti casi non si capisce chi è che deve porsi a garante del “manifesto”, chi è che ha il compito della sorveglianza, e se chi poi alla fine certifica, abbia verificato in loco, anche con visite frequenti e approfondite.
Non vorrei che gestione e conduzione delle varie categorie sotto indicate siano affidate solo alla “serietà” dei produttori o che ricalchino, come spesso accede in Italia, le tante (e, a questo punto, forse anche troppe) certificazioni ISO che, alla prova dei fatti, producono solo confusione e un mare di documenti elencanti i metodi da seguire, senza che vengano effettuate profonde e continuative verifiche relative alla merceologia cui si riferiscono (purtroppo durante la mia carriera ne ho avuto più di una prova diretta).
A chi avrà la bontà di leggere questo articolo lascio il giudizio finale, che nel caso, non sarebbe male corredare di qualche bell’assaggio a riprova.
Il vino biologico
In base al Regolamento Europeo 203/2012 possono fregiarsi del logo Bio solo i produttori che:
1) utilizzano solo uve coltivate con metodi di agricoltura biologici, senza sostanze chimiche di sintesi e senza Ogm.
2) effettuano la vinificazione utilizzando solo prodotti enologici e processi autorizzati dal citato regolamento 203/2012, evitando l’aggiunta di sostanze chimiche abitualmente in uso per la correzione del vino: non è consentito l’uso di acido sorbico e la desolforazione.
3) quantità massima di solfiti ammessi per il vino biologico 100 mg/l per i vini rossi e 150 mg/l per i bianchi e rosé, con un differenziale di 30 mg/l quando il tenore di zucchero residuo è superiore a 2 grammi per lt. ; la derivazione del prodotto da uve biologiche sarà controllata e certificata dai vari enti certificatori, che stilano ognuno un proprio disciplinare (?) con le norme da seguire affinché il vino possa essere certificato come biologico. (Esempio di enti certificatori per l’agricoltura: AIAB, CCPB, IMC, ECOCERT, FEDERBIO, CODEX etc…; per la vinificazione : AIAB, ICEA, CCPB etc…)
Il vino biodinamico
L’agricoltura biodinamica è un sistema di coltivazione nato dalle ricerche del filosofo austriaco Rudolf Steiner negli anni Venti. Il concetto di base di questo tipo d’agricoltura, come vedremo, è quello dell’eco-sostenibilità (rispetto dell’ambiente, mantenere la terra fertile, usare solo sostanze naturali, produrre vini di alta qualità).
Non esiste nessuna normativa ufficiale europea che certifichi il metodo biodinamico, se non gli scritti di Steiner e dei suoi allievi, tuttavia il sistema è regolamentato dalle associazioni volontarie “Demeter”, e dalla più recente “Renaissance d’Appellation” che, oltre a bandire completamente l’uso della chimica ed a ridurre al minimo l’uso di macchinari, escludono l’utilizzo di additivi aromatici, di enzimi e batteri, di zuccheri, ed escludono inoltre alcuni metodi spesso seguiti nella preparazione del vino, come l’acidificazione, la chiarificazione. L’agricoltura biodinamica si basa sul rispetto del corso naturale della natura e delle sue risorse; i suoi principali fondamenti, applicati alla coltivazione della vigna e alla produzione del vino, sono i seguenti:
1) mantenere la fertilità della terra, stimolando in essa le materie nutritive già presenti;
2) rendere sane le piante in modo che possano resistere alle malattie e ai parassiti senza l’utilizzo di composti chimici;
3) produrre vini di alta qualità, che nutrano l’organismo in modo corretto per preservare la condizione naturale di equilibrio;
4) ricreare l’humus nel terreno in cui vive la radice della pianta della vite;
5) utilizzo della cornosilice (501), un preparato da spruzzo che concentra e potenzia le forze luminose proprie della silice e che regola la maturazione dei frutti;
6) utilizzo del cornoletame (500), che stimola e armonizza i processi di formazione dell’humus.
Quanto precede, ribalta completamente la logica dell’agricoltura industriale moderna, che utilizza in larga parte antiparassitari, pesticidi, antibiotici. Il vino biodinamico limita ulteriormente l’uso dei solfiti: 70 mg/l nei vini rossi, 90 mg/l nei vini bianchi e 60 mg/l in quelli frizzanti.
I presupposti sono dunque simili a quelli dell’agricoltura biologica, solo che, in questo caso, si affrontano le pratiche agrarie in modo più esoterico, con riti quasi magici, molto legati a pratiche ancestrali come, ad esempio, la concimazione con quarzo rosa o l’assoluta attenzione alle fasi lunari e dello zodiaco.
Infatti, l’agricoltura biodinamica considera di primaria importanza le influenze “cosmiche”, ritenute essenziali per lo sviluppo degli esseri viventi, quindi utilizza le “dinamizzazioni”, cioè alcuni specifici preparati naturali che, usati in piccolissime percentuali, una volta disciolti in acqua, vengono dinamizzati (con veloce mescolamento alternato in senso antiorario e poi orario), poi distribuiti sui terreni o sulle foglie delle piante.
Queste pratiche, secondo i principi biodinamici, servono ad incrementarne le capacità biologiche (fotosintesi, accumulo di sostanze, prelievo di nutrienti dal terreno, eccetera), tenendo in conto le leggi della natura, che è influenzata anche dai cicli cosmici (pianeti, satelliti e stelle).
Infine, ma assolutamente non come ultima cosa, sono ritenuti importantissimi gli equilibri dell’habitat in cui crescono le viti, dove ogni essere vivente fa la sua parte, come le “micorrize” che aiutano le radici ad assorbire meglio i nutrienti dal terreno, o gli insetti “benevoli” che eliminano altri parassiti “dannosi” per la pianta (per micorrize s’intende il rapporto di simbiosi che si viene a creare nella rizosfera, ovvero la porzione di suolo adiacente alle radici della pianta: mycos è il termine greco per dire fungo mentre rhiza significa radice).
Per i nuovi iscritti a Demeter questo è il percorso da seguire:
– Fase di tutoraggio e preparazione tecnica, conoscitiva e relazionale dell’azienda per l’accesso al sistema di controllo per la concessione del marchio Demeter.
– Fase ispettiva di accesso al sistema di controllo per la concessione del marchio Demeter.
– Per poter avere accesso al sistema Demeter l’azienda agricola deve essere assoggettata al controllo per l’Agricoltura Biologica così come previsto dal Reg. CE 834/07 e 889/08; per avere il marchio infatti è obbligatorio essere anche certificati biologici.
– Ogni anno le aziende agricole, di trasformazione e di distribuzione vengono ispezionate e valutate con relativa decisione del Consiglio Direttivo dell’associazione Demeter.
Il vino naturale
Leggermente più semplice è spiegare invece che cosa sono i vini cosiddetti “naturali”: si tratta di vini che, nelle intenzioni degli assuntori del “manifesto”, sono realizzati senza additivi chimici né manipolazioni o aggiunte da parte dell’uomo.
Anche in questo caso, tuttavia, esistono alcune sfumature: le vigne, tutte a bassa resa, sono trattate, ma solo con sostanze naturali come zolfo e rame, ridotte al minimo, così come la fermentazione e l’affinamento, che vengono effettuate solo con lieviti indigeni già presenti nell’uva. Per i solfiti, in alcuni casi, si può chiudere un occhio: anche se non dovrebbero essere aggiunti a quelli che si sviluppano naturalmente durante la fermentazione alcolica, nel caso si verificassero annate particolarmente carenti i solfiti possono essere utilizzati in quantità minime, mediamente 30 mg/l per vini rossi e rosati e 50 mg/l per i vini bianchi (?).
Il concetto di “vino naturale” è, tuttavia, ancora abbastanza controverso, in quanto gli stessi viticoltori hanno spesso opinioni diverse sulle pratiche considerate accettabili, così resta, a tutt’oggi, difficile dare una precisa definizione di “vino naturale”, tanto che non esiste alcuna legislazione nazionale o europea sulla esatta definizione di questo tipo di produzioni.
Il nome “vino naturale” non è quindi certificato da nessun organismo accreditato.
C’è da dire, però, che tutti i produttori dichiarano di voler produrre vini con una specifica identità di terroir e proclamano di rifiutare le varie possibilità d’intervento in fase di vinificazione, che sarebbero permesse dalla legislazione europea sul vino biologico.
Il vino libero
“Vino Libero” è un’associazione fondata nelle Langhe da Oscar Farinetti (patron di Eataly), con l’obiettivo di perseguire un’agricoltura sostenibile ed economicamente più vantaggiosa per le imprese agricole.
I capisaldi dell’associazione sono: proporre vini liberi da concimi di sintesi, da erbicidi e con un contenuto di solfiti inferiore almeno del 40% rispetto al limite previsto per i vini cosiddetti “industriali”. Le metodologie per far ciò sono le seguenti: in fase di vinificazione si pone particolare attenzione al tempo di attivazione della fermentazione, poiché una partenza veloce riduce i rischi di attacchi microbiologici e ossidativi; al termine dell’attività fermentativa, anche la gestione del vino sulle fecce fini rappresenta un’ottima alternativa all’uso della solforosa; infine, durante affinamento e travasi, si protegge il vino dal contatto con l’ossigeno mediante l’utilizzo di gas inerti. Tutto ciò dovrebbe dar vita a un nuovo modello agricolo, in grado di rispettare l’ambiente ed evitare pratiche dannose per il suolo, senza la necessità di obbligare le imprese agli esborsi necessari per ottenere la certificazione biologica (?).
Quindi la differenza tra “vino biologico”, certificato secondo il Regolamento Europeo 203/2012, e “vino libero” consiste nella riduzione della chimica sia in cantina che in vigneto, ma il vino cosiddetto “libero” sarebbe tale semplicemente perché “autodisciplinato” da produttori che non intendono sottostare alle regole previste dall’Europa per ottenere le dovute certificazioni. Una questione che ha molto più a che fare coi costi aggiuntivi (o forse anche con i controlli) che ne deriverebbero, che con un più etico concetto di “libertà”.
I vini triple A
A Genova, nel 2003, Luca Gargano ha fondato il Movimento “Triple A”: Agricoltori, Artigiani, Artisti. Il movimento ha stilato un decalogo portato avanti dai produttori associati. Secondo gli aderenti al movimento i vini Triple A possono nascere solo:
– da una selezione manuale delle future viti, per una vera selezione massale (ogni vignaiolo tenta cioè di selezionare le proprie viti “ideali”, che devono essere innanzitutto in grado di produrre uve sane, belle e integre. L’espressione “selezione masale” designa quindi la ricerca dei ceppi che producono le uve migliori allo scopo di moltiplicarli.);
– da produttori agricoltori, che coltivano i vigneti senza utilizzare sostanze chimiche di sintesi rispettando la vite e i suoi cicli naturali;
– da uve raccolte a maturazione fisiologica e perfettamente sane;
– da mosti ai quali non venga aggiunta né anidride solforosa né altri additivi – l’anidride solforosa può essere aggiunta solo in minime quantità (?) al momento dell’imbottigliamento;
– utilizzando solo lieviti indigeni ed escludendo i lieviti selezionati;
– senza interventi chimici o fisici prima e durante la fermentazione alcolica diversi dal semplice controllo delle temperature. (Sono tassativamente esclusi gli interventi di concentrazione attuati con qualsiasi metodo);
– maturando sulle proprie “fecce fini” fino all’imbottigliamento;
– non correggendo nessun parametro chimico;
– non chiarificando e filtrando prima dell’imbottigliamento.
Non vi sono tracce di certificazioni di sorta, sia a livello nazionale che europeo, per questa categoria.
Gli orange wines
Gli Orange Wines non sono altro che vini da uve bianche, solitamente molto aromatiche e piraziniche (che hanno cioè sentori vegetali, precussori di quelli propriamente aromatici del vitigno), ottenuti dal prolungato contatto con le bucce dell’uva, prima col mosto, e poi col vino (di durata variabile da pochi giorni a diversi mesi), al fine di ottenere il massimo di concentrazione delle sostanze aromatiche tipiche del vitigno. Infatti, sono le bucce dell’uva, artefici del naturale apporto di tannini, polifenoli e, in parte, di terpeni, a rendere questi vini molto complessi sia al naso, sia in bocca. Da questo processo, tipico di vinificazione dei vini rossi, solitamente ottenuto utilizzando i cosiddetti “qvevri” (anfore giganti in terracotta originarie della Georgia) o le più semplici botti o vasche in cemento nostrane, si ottengono anche colori assai inusuali per un vino bianco, molto carichi ed aranciati (da qui il nome “orange wine”).
Questi vini dovranno assolutamente essere prodotti solo con uve da agricoltura super-pulita, biologica o biodinamica (?), perché tutto quello che si trova sulle bucce si ritroverà poi nel vino; inoltre, secondo il “manifesto”, non si possono usare additivi esterni.