
Non c’è identità di vedute su quale sia l’origine degli attuali Pinot e del Pinot Nero in particolare. Alcuni studiosi sostengono il primato della Vitis Alloborgica, mentre i latini Plinio il Vecchio e Columella, citano l’ Helvolae e l’ Helvinium minusculum. Il Pinot nero, infatti, ha un patrimonio genetico molto antico e per due terzi di origine selvatica, quindi è intuibile che sia anche progenitore di parecchie altre specie viticole. Già 2000 anni fa i Romani piantarono vigne con uve a bacca rossa nelle zone delle Gallie conquistate all’impero.
Sia come sia tutti quanti, nei loro antichi scritti, descrivono questo vitigno, soprattutto quello a frutto più scuro, come produttore di ottimi vini, specie contenendone la resa.
Anche se il Pinot Nero ha, ed ha avuto diversi sinonimi, a seconda delle zone di piantagione (in ordine alfabetico: Auvernat, Auvernaut noir, Blauburgunder, Blauer Spätburgunder, Blauer, Blauer-Klävner, Clävner, Franc Pineau, Franc Noirien, Möhrchen, Morillon, Morillon Noir, Noirien, Nürnberger e Nagyburgunder, Pineau de Bourgogne, Plante Doré, Salvagnin, Schwarzer Riesling, Schwarzer Burgunder, e Vert Doré), il nome Pinot è sicuramente riconducibile alla forma dei suoi grappoli, che sono piccoli e a forma di pigna.
Il Pinot noir è pianta assai difficile da coltivare e, da questo punto di vista, la scelta del terroir è fondamentale, e per terroir intendo compresa anche l’opera dell’uomo, che proprio in funzione della scontrosità di questo vitigno, dovrà essere un viticoltore più che abile, perché se è vero che in un caso si possono ottenere vini eccezionali, nell’altro in zone meno adatte e con viticoltori meno esperti, si otterranno vini mediocri e di scarso interesse, inoltre il risultato della sua vinificazione varia considerevolmente di annata in annata persino nelle posizioni ad esso più adatte. La sua vinificazione è complessa e rappresenta forse la sfida maggiore per un enologo, che in genere riesce a ottenere in media una buona annata su cinque.
C’è poi chi sostiene, e spesso a ragion veduta, che se si vuole ottenere un vino di grande qualità, sia meglio avere vigneti policlonali, cioè molti cloni dello stesso tipo di cultivar; ciò esalterebbe al massimo le caratteristiche varietali e porterebbe maggiori benefici alla conduzione del vigneto stesso.
Il Pinot nero, infatti, è una delle varietà più geneticamente instabili e il numero dei suoi cloni è infinito, solo in Borgogna ne sono stati censiti più di 40 tipi diversi.
I cloni più comuni sono due: i cosiddetti Pinot noir “droit”, con sviluppo eretto, assai diffusi in California, Oregon e Australia, e i Pinot noir “tordu” a sviluppo cadente, che hanno rese più contenute. Questi ultimi sono più diffusi in Borgogna, dove per la verità si trovano anche alcuni droit, ma assolutamente mai nei premiere e grand Cru.
Il Pinot Nero è sicuramente il padre genetico e spirituale di molti vitigni come il Pinot Gris, lo Chardonnay e il Pinot Blanc, non a caso tutti i pinot che conosciamo sono versioni mutate del Pinot Noir che, in alcuni casi, si è fuso con altri vitigni, strada facendo; la sua uva è caratterizzata dalla ridotta quantità di pigmenti, ma ha molti vinaccioli (più di 2 per acino), che in maturità dell’uva apportano tannini utili a fissare il colore conferito dai pochi antociani stabili.
Se vinificata in rosso, quest’uva è ricca di note fruttate: amarena, mirtillo, ribes, lampone e, sul finale persino profumi di fiore di zagara.Le statistiche riportano il Pinot noir come decimo vitigno più coltivato al mondo;
la Francia è il paese che ne ha di più (oltre 26.000 Ha.) seguono nell’ordine Moldova, USA, Svizzera e Italia. In Francia, come abbiamo detto, è coltivato, oltre che nella Champagne (circa 13.000 Ha – specie sulle colline di Reims e nella zona dell’Aube), con molto successo nella Borgogna Cote d’Or (oltre 10.000 Ha), zona della Francia che gode del clima ideale per garantirne l’ottimale sviluppo e l’esaltazione delle peculiarità.
Personalmente credo che questo vino (che se fosse una donna definirei bisbetica e scontrosa) una volta ben “domato” sia uno dei più eleganti e raffinati che io abbia mai bevuto, specie in Borgogna, dove pare abbia trovato il suo habitat perfetto.
Pur essendo diffuso anche in altre località francesi, il prodotto vinicolo finale di ognuna di esse esprime caratteristiche differenti, per l’estrema sensibilità di risposta della vite alle diverse condizioni ambientali e climatiche.