Bollicine da Belle Epoque, quelle che da qualche anno vengono prodotte in un minuscolo ma pregiato fazzoletto di terra compreso fra il Trentino e il confine del Brennero. Che i vini del Südtirol, in particolare i suoi sontuosi bianchi, posseggano quel certo non so che capace di stregare tanto il comune bevitore quanto il raffinato esperto è noto da tempo, come nota da tempo è la straordinaria abilità con cui i produttori altoatesini hanno affinato le loro capacità portando i loro prodotti a competere con i migliori del mondo. Che però dai vigneti faticosamente piantati nelle vallate dolomitiche potesse nascere una bollicina in grado di convincere anche i più diffidenti in pochi potevano prevederlo. Eppure già l’imperatore Francesco Giuseppe ci aveva visto lungo, quando aveva destinato il Südtirol alla produzione di vino e frutta. E la corte di Vienna mai e poi mai avrebbe permesso che la principessa Sissi trascorresse le sue dorate ferie nel Belpaese senza il conforto di un vino che non le facesse rimpiangere le ben fornite cantine del palazzo di Schonbrunn. Dei primi tentativi fatti dai vignaioli del territorio la storia non conserva tracce apprezzabili: si sa solo che uve Riesling opportunamente lavorate erano riuscite nel miracolo; di certo c’è che nei primi anni del Novecento, ormai purtroppo tramontata la stella dell’imperatrice Elisabetta, fece la sua comparsa il “Tiroler Gold” della “Ubertscher Champagnekellerei Burk” di Appiano, uno spumante prodotto secondo quello che oggi definiremmo metodo classico, seppure con le inevitabili differenze legate allo stato pionieristico delle conoscenze della vinificazione dell’epoca. Quel primo spumante altoatesino ebbe vita breve, a causa principalmente dei conflitti bellici che sconvolsero aspramente quella contesa terra di confine. Ma il seme piantato allora non inaridì, anche se si dovette attendere il 1965 per rivedere in bottiglia un degno erede in grado di dare vita ad una vera e propria tradizione: accadde alla Fiera di Bolzano, dove Franco Kettmeir, vignaiolo di Caldaro, presentò la sua Cuvée realizzata con metodo Charmat usando solo Pinot bianco. Una sorpresa che convinse il suo creatore ad insistere sulla strada aperta quasi per scommessa, fino a trasformarlo in vero chef de cave una trentina di anni dopo, quando la sua cantina sfornò il primo metodo classico realizzato con Pinot Nero, Chardonnay e, particolarità rimasta inalterata fin dalle origini, Pinot bianco. Salorno, Soprabolzano ma soprattutto Caldaro i territori di provenienza delle uve: quest’ultimo in particolare, col suo microclima mediterraneo ai piedi delle Dolomiti, il più adatto ad affinare proprio quel Pinot bianco che dello spumante altoatesino rimane la specificità più marcata, grazie all’eleganza, alla profondità e alla ricchezza che è in grado di donare al vino se ben coltivato. I produttori di spumante in Südtirol oggi si contano sulle dita di due mani, a testimonianza del fatto che l’ambizione di arricchire la propria gamma con un vino fuoriclasse si scontra con le difficoltà di raggiungere a latitudini estreme le condizioni ideali per una corretta maturazione dei vini. Ma la ferma volontà di proseguire nella ricerca, prerogativa unanimemente riconosciuta ai vignaioli altoatesini, è attestata dalla nascita, nel 1990, di un’associazione voluta per riunire intorno a problematiche comuni tutti coloro che a sud del Brennero si erano impegnati nella nobile arte della produzione delle bollicine. Sette sono attualmente i membri che la innervano (Kettmeir, Arunda, Braunbach, Martini, Praeclarus, E+N e Haderburg), gli stessi che, per dare visibilità ad un prodotto che con le sue 250mila bottiglie annue non può che essere ancora considerato di nicchia, hanno provato di recente a dare vita ad un superspumante realizzato con il meglio della produzione di ogni singola azienda: 190 bottiglie soltanto, destinate alla beneficenza, in cui è però condensata la summa della bollicina made in Südtirol. Deus ex machina dell’operazione Josef Reiterer, patron di Arunda di Meltina, ad oggi la cantina più alta d’Europa con i suoi 1200 metri di altitudine: “Ad un tratto abbiamo pensato di unire le nostre forze – ha ricordato il presidente dell’associazione – anziché sprecarle in una inutile concorrenza. Anche perché il mercato dello spumante, va riconosciuto, risente di una diffusione spinta del fenomeno, che alla fine procura danni all’intero sistema. Le nostre bollicine soddisfano poco più che il mercato locale e sono nate in molte cantine per supportare soprattutto i grandi bianchi che godono di una tradizione più che consolidata. Il nostro obiettivo, pur consapevoli che l’ultima cosa di cui ha oggi bisogno il mercato è un ulteriore ampliamento della gamma, è quello di farci conoscere, perché siamo consapevoli di produrre spumante di grande qualità”. I vigneti, tutti collocati tra i 500 e i 1000 metri di altitudine, si trovano in condizioni di escursione termica importante, una situazione che se da un lato non crea problemi nella gestione dell’acidità, dall’altro può rendere difficile il necessario bilanciamento tra sapidità ed estratto, anche perché a quelle latitudini ci si ostina a lavorare quel Pinot bianco che solo se portato alle corrette condizioni di maturità conferisce al vino profumi e sapori davvero unici. “Non è un caso – ha aggiunto Reiterer – che i nostri spumanti diventino tali solo dopo almeno 24 mesi e non è raro che alcune cuvée riposino in cantina anche cinque anni prima che le bottiglie vengano sboccate e avviate alla vendita”.
E il fenomeno si è diffuso a tal punto lungo le vallate alpine che c’è stato persino qualcuno che ha osato là dove nessuno si era mai spinto prima, nel tentativo di combinare un matrimonio forzato tra due delle eccellenze riconosciute del territorio e della civiltà altoatesina, ovvero la grande capacità di lavorare in cantina e la straordinaria qualità delle mele. È nato così lo spumante di mele che Peter Thuile ha realizzato con grande perizia nella cantina del suo Sandwiesn Hof a Gargazzone: il processo di produzione è laborioso anziché no, ma il risultato ha dell’incredibile, visto che dalla fermentazione controllata del sidro ottenuto dalla spremitura di mele delle varietà Pink Lady, Granny Smith e Breaburn nasce un prodotto che si faticherebbe a classificare diversamente da uno spumante tradizionale se non si facesse riferimento all’etichetta sulla bottiglia. Un prodotto unico, non solo per il Südtirol, a testimonianza che se da quelle parti qualcuno si mette in mente un’idea, è difficile che non la realizzi nel migliore dei modi. Sono in molti infatti a scommettere che nel giro di pochi anni il baricentro qualitativo della produzione di bollicine in Italia finirà per spostarsi inevitabilmente lungo l’asse del Brennero.