Edimburgo e le sue stelle
Fino al mese di maggio 2011 la Scozia celebrerà, con un ricco programma di eventi, la qualità dei prodotti locali e la creatività degli chef che hanno portato alla ribalta internazionale la scena enogastronomica scozzese.
Nonostante il cielo generelmente plumbeo e sempre minaccioso di pioggia, brillano molte stelle nel cielo di Edimburgo. Parliamo infatti delle stelle della cucina che hanno contribuito a dare di questa nazione un variegato quadro gastronomico, tanto che fra le decine e decine di festival che ci sono regolarmente a Edimburgo, denominata non a caso la città dei festival (nei mesi estivi se ne possono contare oltre dieci in contemporanea), non poteva mancare anche il Foodies Edinburgh. Edimburgo è divisa in due grandi aree: la Old Town che rappresenta la storia della città con il suo straordinario castello e i suoi sorprendenti sali e scendi, e la New Town fino al Leith (la zona residenziale del porto), un piccolo paradiso gourmet dove sono concentrati quasi tutti i ristoranti di un certo interesse.
Il nostro riconoscimento circa il più significativo ristorante della città lo attribuiamo al The Kitchin (78 Commercial Quay) nel Leith, dello chef Tom Kitchin, il quale si è guadagnato plausi a piene mani per la sua cucina che ha raccolto consensi unanimi. Il locale, pur nel suo rigore, è very relaxed, non ci sono infatti i tovagliati e gli addetti mantengono sempre un approccio diretto e informale. Ma rilevante è la filosofia del “from Nature to Plate” (dalla terra al piatto) e l’averne fatto il leit motive di tutte le preparazioni: insomma, le tendenze che sembrano prevalere nella grande cucina contemporanea anche qui a Edimburgo trovano conferma. Le portate assaggiate sono state prive di sbavature, essenziali e concrete, quasi cerebrali, come le cappesante (delle isole Orkney) con le verdure di stagione e il vino bianco; la testa di maiale con gli scampi oppure la crema fredda di piselli con la menta e il formaggio morbido. A seguire l’ottimo agnello di Dornoch, presentato magistralmente con zucchine, sedano e piccoli pomodori ripieni.
Il dessert infine è un inno alla gioia: fragole, crumble di fragole, sorbetto al tè verde e una commovente mousse di cheese cake a base di Highland Crowdie (formaggio scozzese). Nella carta dei vini c’è molta Francia e poca Italia, che occupa più o meno lo stesso spazio riservato ai nuovi mondi, ma questa è una costante che abbiamo riscontrato in quasi tutti i ristoranti. La cucina di Tom Kitchin è di una classe misurata, che punta a conquistare i clienti senza finalità retoriche, ma con un meticoloso lavoro che inizia dalla selezione delle materie prime e che termina in cucina con la totale valorizzazione delle stesse. Chiacchierando a fine pasto con Tom ne abbiamo registrato i modi posati e un sorriso nel quale si percepisce tutto il suo mondo interiore e il sobrio modo di lavorare. Sarà poi un vero show osservare la brigata all’opera dalla finestrella a vista sulla cucina che illumina il locale come un lampo nell’oscurità!
Per un’esperienza dove l’eleganza trova la sua massima espressione, dovrete recarvi al Martin Wishart (54 The Shore), un locale di gran classe con un menù di chiara matrice francese. In apertura, fra i diversi assaggi di benvenuto proposti, non scorderemo facilmente la piccola zuppa di foie gras e salsa di parmigiano! Come primo piatto uno dei classici del ristorante, l’halibut alla ceviche con mango e frutto della passione: un pesce semplice, dai sapori non pronunciati, che viene “rivitalizzato” da frutti esotici e passionali, una portata divertente, intelligente e che mette il buon umore. A seguire il polpo presentato in piccole rondelle alternate da patate della stessa forma con paprika, limone e salsa di tosazu (aceto di soia), il tutto a creare un convincente gioco visivo e gustativo. Come portata principale il rombo alla mouginoisse con asparagi bianchi e verdi, samphire (pianta selvatica dei litorali della Gran Bretagna) e piccole vongole. Risultato gradevole, ma non all’altezza del resto: ci è apparsa infatti una portata leggermente opaca sia come presentazione che all’assaggio (un po’ asciutto il rombo). Immediato riscatto con il dessert a base di deliziose pesche noce con fiocchi di yogurt, sorbetto al mango e piccole cialde calde (madeleines).
Restiamo nel Leith e passiamo al terzo ristorante stellato collocato a poche decine di metri dai due precedenti: il Plumed Horse (50-54 Henderson Street), locale raffinato con poltroncine in pelle ed eleganti tendaggi. Dal pertugio della cucina noterete lo chef Tony Borthwick al lavoro con i suoi caratteristici pantaloni a quadrettoni. Uno chef autodidatta che ha saputo guadagnarsi una stella Michelin armato solo della sua autentica passione per la cucina. Ha un aspetto austero ma, per come l’abbiamo percepito, un animo da vero gentiluomo tanto che, alla fine del nostro pranzo, ha voluto omaggiarci di un grandioso spiedino di blu cheese…I piatti proposti li abbiamo trovati compiuti e ben eseguiti. Davvero intrigante il gazpacho con il granchio, una portata intensa i cui sapori speziati non lasciano indifferenti e la polpa di granchio risulta valorizzata appieno. A seguire una bella e composita preparazione – la coda di rospo su un letto di cous cous con cappesante e condimento al burro e peperone – a cui manca solo un acuto per la lode. Ottimi i diversi pani caldi serviti.
Usciti dal Plumed Horse, non potrete fare a meno di notare il Cafè Fish (60 Henderson Street), che si trova esattamente sulla strada di fronte, una tappa da non perdere. Si tratta infatti di un ristorante che ha saputo combinare eccellenti proposte di pesce in un contesto giovane e informale, con prezzi adeguati. Un locale dallo stile frizzante che mescola stili e materiali come l’acciaio, il nero e gli specchi, in netto contrasto con i mattoni rossicci dell’edilizia circostante. Il grande bancone all’ingresso vi permetterà inoltre di intrattenervi per un aperitivo oppure, dopo la cena, di conversare con lo chef. Fra i nostri assaggi siamo rimasti colpiti dall’Atlantinc Cod (merluzzo) che ci ha impressionato per la strepitosa consistenza e una cottura maestra, il tutto su un’invitante purea di patate con finferli e olio d’oliva che alla fine raccoglierete senza lasciarne alcuna traccia. Da segnalare le buone proposte di vini al calice, nel nostro caso l’ottimo Sauvignon Blanc Hunter’s Marlborough 2008 della Nuova Zelanda.
A questo punto ci spostiamo di poco e passiamo ad un pub, non uno qualsiasi ma il Kings Wark (36 The Shore), ancora nel Leith. E qui forse abbiamo fatto l’esperienza più evocativa, grazie anche al contesto intriso di storia e di pura autenticità scozzese (nulla a che vedere con i finti pub della Old Town). All’interno del locale è ricavata anche una piccola sala raccolta per una cena più tranquilla. In apertura il grande piatto di pesce, una girandola di fresco pescato fra ostriche, salmone, granchio, sgombro e le deliziose roll map di aringhe con la cipolla, abbinato ad una birra real ale consigliata dalla simpatica e preparata addetta ai tavoli. Ma i fuochi d’artificio sono stati tutti per il grandioso Angus Rib Eye di Aberdeen (nord est della Scozia), tenero che sembra una lingua, ingolosito con il caratteristico roast chilli garlic lemon butter e accompagnato da patate, carote e broccoli, per un risultato sorprendente.
Il nostro viaggio è poi proseguito con l’esperienza più insolita e creativa: quella del 21212 (3 Royal Terrace), aperto nel maggio 2009 dall’istrionico Paul Kitching (con già alle spalle notevoli successi altrove), il cui aspetto da giocoliere bizzarro dà subito l’idea di quale pasta sia fatto e che con lui avrete solo di che divertirvi. Piaccia o no è merito di personaggi come Paul, e alla sua volontà di giocare e osare con sapori e profumi, se la cucina ogni tanto si evolve. A noi hanno colpito le complesse sinfonie delle sue portate realizzate con svariati ingredienti (non sempre ci hanno convinto al cento per cento ma di certo ci hanno solleticato il palato e la mente). Pensate ad esempio al salmone affumicato (realizzato secondo la sua interpretazione “chinese style”) con porri confit, cetrioli, asparagi bianchi, anacardi, albicocca, germogli di fagioli e cumino con ginger e yogurt al burro. A seguire poi una portata che ci ha subito stupito per i profumi, a base di filetto di manzo con alcune fette di salame, ananas, cous cous, ceci, mais dolce, patate, amarene essiccate, crema di pepe e due piccoli carciofi in verticale che sembrano issare un vessillo. Una vera giostra di sapori e di colori da mezzo mondo, piccole follie destinate a sedurre e a provocare domande. Vi chiederete ad esempio quale studio ci sia dietro a questi piatti e quale sia l’equilibrio ricercato dallo chef…
I dolci non hanno lasciato il segno, mentre ricorderemo i formaggi anche per le sfiziose schiacciate croccanti in abbinamento, così come i pani serviti in precedenza (allo zafferano, alle erbe e al curry).
Gli ambienti del 21212 sono sontuosi, ma il personale entra facilmente in sintonia con la clientela più eterogenea.
Abbiamo trovato la formula della cena eccessivamente rigida (cinque portare più o meno obbligatorie senza appetizer ne petite four), ma a noi questo non dispiace, fa solo intendere che lo chef non vuole compromessi di nessun tipo (il nome del locale 21212 è la somma del numero di portate massime diverse che vengono preparate ogni giorno). Al 21212 avrete anche a disposizione alcune stanze per un pernottamento esclusivo.
Aperto da soli 10 mesi e incastonato in un’ala dell’elegante e centrale Hotel Missoni, Ondine Restaurant (2 George IV Bridge) ha già conquistato pienamente il favore del pubblico, probabilmente travolto dall’entusiasmo contagioso dello chef Roy Brett, Hotel Chef of the Year 2009 allo Scottish Chef Award che premia, appunto, i protagonisti della scena gastronomica scozzese. Sinceramente appassionato di pesce – messo in bella mostra in vetrina proprio all’entrata del locale – Brett propone una serie di Starters a 8,50 sterline, tra cui la piacevole Squad tempura Vietnanese dressing; i Crustaceans (tante ostriche, ma anche, immancabili, i Fruit of the Sea crushed Ice e il Roasted Shelfish Platter Garlic butter) da 15 a 30 sterline circa e Mains, una serie di proposte che spaziano dal riso alla carne fino ad una serie di piatti classici. Elegantemente informale l’ambiente “open space” con bar a vista; pranzo “economico” a 17 pounds e cena mediamente a 35 pounds.
Ed eccoci a La Garrique (31 Jeffrey Street), ampie vetrate e legno blu in stile marinaro francese con vista sulla città vecchia.
Viene infatti dalla regione della Languedoc – e non manca di sottolinearlo nei suoi piatti – lo chef Jean-Michel Gauffre, che ha saputo trasportare in questa città del nord sapori e colori tipici dei bistrò attuali, quelli cioè che fanno fine french food in locali apparentemente “easy”.
Infatti lo stesso arredamento è una calda mescolanza di richiami allo stile francese, confusi con manufatti e sculture e quadri di artisti scozzesi. Qui la carne scozzese, il coniglio alle erbe, zuppe di stampo provenzale, pesci e carni con verdure si rifanno ad una matrice francese, con inusuali combinazioni e tocchi di personale originalità.
Dinamico e veloce il team femminile che lo aiuta e che gestisce con simpatica disinvoltura il costante afflusso di clienti, richiamati dalla sua fama, dai premi e riconoscimenti delle guide, dall’ottima carta dei vini, di cui lo chef è appassionato cultore.
In conclusione del nostro tour goloso nella città di Edimburgo qualche altro consiglio. Al The Dogs (110 Hanover Street) abbiamo assaggiato uno dei migliori pani di sempre e certamente il migliore della città: una crosta croccante e un interno morbido ma non stagnante che solo le sapienti mani di un pasticcere esperto sanno realizzare (e che ci ha ricordato Roscioli di Roma); gustose le altre portate servite, come il fishcake con la maionese alle erbe, il tutto con un positivo rapporto qualità prezzo.
Al Fisher in the City (58 Thistle Street) abbiamo gustato in assoluto le migliori ostriche, di provenienza dai freddi mari del west della Scozia e un fish and chips fatto a regola d’arte e lontano da certi stereotipi.
A L’Artichaut (14 Eyre Place), ristorante vegetariano di recente apertura, siamo rimasti colpiti dalle chips vegetali e dalle inedite meringhe al lime e al pepe.
Il migliore burgher con patate lo abbiamo provato all’Iglu (2b Jamaica Street), un risto-pub ideale per il pranzo senza rinunciare alla qualità.
Citiamo infine due botteghe imperdibili situate nella Old Town, una fianco all’altra ed entrambe segnalate da Slow Food UK: Iain Mellis (30a Victoria Street) per i formaggi e Demijohn (32 Victoria Street) per liquori, whiskies, vini, oli e tanto altro. A tutti coloro che prossimamente si recheranno a Edimburgo: enjoy! Come vi augurano da queste parti quando vi portano al tavolo le portate scelte.