Roma e haccp: la verità
Documentiamo le scandalose condizioni
igienico-sanitarie di alcuni “ristoranti”.
E il trattamento dei dipendenti nei luoghi di lavoro.
I panni sporchi non si lavano in casa (si danno al cliente)
Roma, agosto 2010. I Municipio. Siamo a pochi passi da piazza del Popolo. Ho appuntamento col cameriere Alessandro (lo chiameremo così). Siamo a fine serata. L’appuntamento è vicino a via del Babbuino, sono in anticipo e passo defilato davanti al ristorante dove lavora. La strada è deserta e con un gioco di specchi (messi di sicuro all’interno per dare profondità a un locale striminzito) assisto a una scena raccapricciante. Si svolge nella seconda saletta, dove in teoria nessuno dovrebbe vedere. Il personale, assieme al proprietario, tira fuori da un sacco i tovaglioli di stoffa: li rovesciano sul tavolo, li selezionano e li ripiegano. Dopo 20 minuti Alessandro mi raggiunge a Piazza del Popolo. Che cosa erano quei tovaglioli? Facile immaginarselo: “Erano quelli usati dai clienti della giornata”. Cosa succede a quei tovaglioli? Semplice, “quelli senza macchie vengono ripiegati e saranno riutilizzati il giorno successivo”.
Alessandro ha 60 anni ed è già in pensione. Conosce 4 lingue (tedesco, inglese, francese, spagnolo). Ha lavorato in Germania e in Riviera romagnola negli anni ‘80: “Lì sì che le cose funzionavano”. Ora, nonostante la pensione, lavora. Ha accettato questa intervista perché “sono stufo e stanco. Non me ne frega più niente, questa è la mia ultima stagione, alla mia età e dopo quello che ho visto, non ho più paura. Un po’ di soldi, in tutti questi anni di duro lavoro, li ho messi da parte per me e i miei figli. Da settembre me ne vado a vivere in campagna”.
Alessandro sta lavorando in un ristorante del I Municipio vicino a Piazza del Popolo. C’è la crisi ma “i turisti si fanno sempre vivi, di meno, ma ci sono. Il cliente medio non va a mangiare al ristorante, va in trattoria, ricordiamocelo”. Quello dove lavora è un ristorante, ma “è una favola falsa: far credere al turista medio e sprovveduto di essere in un buon un ristorante, sfruttando la cornice del centro di Roma, le buone maniere (fa sempre scena l’uso di un suaglass) e gli si rifilano piatti da tavola calda: lasagne alla bolognese, senza carne, messe a raffredare in un retrocucina medioevale, pesce conservato in malo modo e insaporito con le spezie che coprono i cattivi odori, pizza fatta da pizzaioli con mani sporche e mozzarella che sembra una saponetta”. La posizione del ristorante attira anche clienti italiani e quelli facoltosi: “Da noi capita di tutto, lo scrittore con leccapiedi al seguito, gli emiri arabi con la escort americana, il politico con l’amichetta, la coppia di scambisti che ti fotografa il sedere”.
Certo i maggiori clienti vengono da tutto il mondo “Cina, Svezia, Israele, Usa, Canada, Giappone, Irlanda, Belgio, Inghilterra, Francia, Messico, Brasile, Ungheria, Danimarca, Spagna, Sudafrica, Russia. Addirittura oggi ho servito una coppia dal Vietnam e un’altra dello Sri Lanka”.
In genere si tratta di una clientela turistica media, non conosce bene il cibo e la cultura italiana, spesso “cerca lo stereotipo del’Italia e noi glielo diamo: simpatia verace tesa a guadagnarci una buona mancia, pasta salata e scotta, cucinata dal nostro cuoco straniero che nel suo paese faceva il meccanico”.
Storie di ordinario sfruttamento
Nel famoso centro storico di Roma “la mentalità è quella di spillare soldi al cliente, non dargli un servizio onesto. Siamo in centro: il turista comunque passa, non serve che ritorni”.
La cosa più brutta che è successa con un cliente? “Premetto che la maggior parte dei clienti va via contenta.
Abbiamo qualche piatto buono e io consiglio sempre le verdure alla griglia, i ravioli al pomodoro o la scaloppina al limone. Certo, ogni volta devo fare il conto con il proprietario che si lamenta se non è salato: se io non l’avessi bloccato, una volta si sarebbe approfittato della carta di credito di due giapponesi. Le aveva fatte ubriacare offrendo loro due bottiglie di vino, lascio immaginare per quale fine”.
Nonostante l’imbarazzo Alessandro confessa: “Ad ogni modo una volta, senza accorgermene, ho servito a un turista un piatto con uno scarafaggio”. Lui come ha reagito? “Per fortuna si è limitato a farmelo notare e io gli ho cambiato il piatto”.
Uno scarafaggio? “Sì. Abbiamo gli scarafaggi nelle cucine nonostante la disinfestazione (il nostro ristorante ha riaperto il giorno dopo). Qui non sanno cosa sia l’Haccp (Hazard Analysys and Critical Control Points), l’insalata viene lavata in vasche dove prima magari viene poggiata la carne, la nostra famosa lasagna al ragù senza carne, viene lasciata raffreddare in un retrocucina fatiscente.
All’esterno “per la facciata ci sono i camerieri italiani, e dentro la cucina lavorano egiziani e bengalesi: sono brave persone, ma non hanno in genere nessuna preparazione, fanno fatica a salare in modo giusto alimenti, poverini loro fanno quello che possono, soprattutto se nessuno glielo dice. Noi del personale di sala abbiamo insegnato loro a lavare le verdure e a tagliarle nel modo giusto.
In cucina ci sono temperature elevatissime, gli italiani infatti in questo ristorante non ci lavorano in cucina, non ci sono aspiratori. Il personale straniero “praticamente vive nelle cucine, un vero e proprio inferno e sono pagati pochi euro”. Nessuno protesta ? No. perché “non abbiamo scelta. C’è la crisi. Gli stranieri devono lavorare e mandare i soldi alle famiglie nel loro paese d’origine e la metà forse non ha un permesso; gli italiani in sala poi sono ormai in età di pensione e nessuno li prenderebbe da un`altra parte”. Non che il personale di sala, nonostante sia pagato di più, stia meglio: “Lavoriamo e camminiamo per 12 ore al giorno e mangiamo solo pasta e pizza”.
E le ricevute fiscali? “Al cliente si fa una ricevuta sì e una no, se e` straniero gli si aggiunge anche il servizio”.
Siamo in pieno centro, non in periferia e “qui ho visto diversi poliziotti e vigili urbani mangiare gratis. Se sapessero come funzionano le cose in questo ristorante, dubito che ci verrebbero. Il punto è che tra di loro ho anche visto girare assegni. Credo che si sentano impuniti, oppure mi sbaglio e non hanno nulla da nascondere, che to’ dico a fa’!”.
L’Haccp non esiste. Basta pagare
Non faccio in tempo a salutare Alessandro che arriva la cuoca Manuela Tani. Ha 36 anni ed è diplomata al liceo classico; ha poi scelto il lavoro di cuoca “per passione e incoscienza. Ero a Berlino e ho cominciato a lavorare nel rinomato ristorante italiano Il pane e le Rose”. Poi è tornata a Roma e si è specializzata sul campo: “Ho lavorato in diversi ristoranti del centro storico e ho frequentato diversi corsi di cucina professionale”.
Per quello che concerne l’Haccp “oggi l’Asl è sparita”, comincia la cuoca, “ogni ristorante si affida a strutture private. Era meglio prima. Visto che le ditte private le paghi, per l’autorizzazione spesso si chiude un occhio. L’ultimo controllo risale al 2005: ci fu un accanimento dei vigili urbani (sono venuti 5 volte) che si fissarono su problemi futili perché volevano soldi. Ma come fai a dimostrarlo?”.
Il ristoratore più coscienzioso che ha incontrato è stato “Il titolare del Laurus di via Belli a Roma. Lui organizza il corso Haccp per tutti i dipendenti e le temperature sono controllate 2 volte giorno”. Non è facile comunque adeguarsi all’Haccp: “nel giro di 6 mesi cambiano le leggi. Si chiede troppo a noi cuochi, eseguirle alla lettera è impossibile. Ci vorrebbe la figura del magazziniere”.
Come si mangia a Roma? “Nella capitale ti rifilano di tutto. Io non riesco quasi ad andare a mangiare fuori: non sai se il cuoco si lava mani, mi accorgo che magari l’addetto al bagno è un ragazzetto di 20 anni alla prima esperienza, i bagni di noi dipendenti sembrano quelli del film Trainspotting”. Il Titolare? “Spesso è assente, si preoccupa solo dell’incasso e di far quadrare il conto. Certo, ci sono aziende serie e meno serie, ma “è una bella utopia la rinomata ristorazione romana”.
Mentre finiamo l’intervista, nei pressi di via del Babbuino sfreccia una station wagon giudata da una giornalista televisiva, accompagnata da un politico di fama: parcheggiano la loro auto in seconda fila, bloccando la strada. Chissà dove vanno a mangiare…
I professionisti dell’ Haccp
“è ovvio. A Roma ci sono molti ristoranti perché è una città turistica”, sostiene il dottor Mazzanti del Sian (Igiene degli alimenti e della nutrizione). Per quanto riguarda le ispezioni nei ristoranti “noi facciamo quello che possiamo, io sono direttore di ben 4 municipi e gli ispettori sono solo 7 per i Municipi di mia competenza, per forza si muovono solo su segnalazione. Ora. la regione Lazio”, continua, “ha incaricato le aziende private di tenere i corsi per l’Haccp, invece che farlo fare a noi che siamo i soggetti indicati. Adesso non c’è neanche il libretto sanitario e siamo sommersi di autocertificazioni fasulle”. L’unico aspetto positivo “è che sono migliorati i controlli sulla provenienza delle merci”.
Secondo il dottor Salvatore Velotto, Presidente dell’Ordine Professionale dei Tecnologi Alimentari di Lazio e Campania, “L’HACCP è un fondamentale strumento di garanzia della sicurezza degli alimenti, che consente al comparto agro-alimentare e quindi anche alle aziende ristorative, di monitorare costantemente la propria produzione. Come si può capire, l’attore del Sistema HACCP non è solo il Ristoratore, ma l’Organo di Controllo e laddove necessario anche il consulente esterno. Ci si trova quindi di fronte a gruppi che hanno un planning di attività costantemente sotto (auto)controllo e a piccoli ristoratori che una volta ottenuti gli incartamenti comunali e sanitari perdono di vista il concetto di verifica delle proprie attività”.
Riguardo l’abrogazione del Libretto Sanitario: “A mio avviso, questo rientra nella logica del concetto di applicazione della Sorveglianza Sanitaria, ribadita in modo forte anche nel D.Lgs 81/2008 in cui è il datore di lavoro a dover mantenere costantemente sotto controllo l’integrità fisica dei propri dipendenti”. Di sicuro “il centro storico di Roma costituisce un patrimonio architettonico storico ed urbano di valore inestimabile. E’ pur vero, però, che nei centri storici dove esistono strutture ristorative datate, vi sono delle problematiche strutturali e quindi vengono riscontrate deficienze, inconvenienti, carenze dei locali e delle attrezzature.
Ma è altrettanto vero che i Servizi dei Dipartimenti di Sanità Pubblica, per le rispettive competenze, per evitare chiusure e quindi perdita di posti di lavoro, stanno lavorando per l’eliminazione degli inconvenienti, fissando dei termini di tempo per l’adeguamento strutturale nei locali sottoposti a controllo. Trascorsi i termini, è prevista la sospensione dell’attività dell’esercizio fino al ristabilimento della normalità oppure la revoca, temporanea o definitiva, dell’autorizzazione sanitaria. Sono da sottolineare gli interventi effettuati negli ultimi periodi nella zona Trastevere dove attraverso l’operazione sicurezza alimentare in 8 ristoranti e pub furono emessi verbali per 7.500 euro. Oltretutto, la sanzione più grave fu comminata al titolare di un ristorante etnico di Via Roma Libera, che è stato poi denunciato poiché nel suo ristorante furono riscontrate gravi carenze igienico sanitarie. Oltre al mancato rispetto delle più elementari norme igieniche i militari, infatti, rilevarono che alcuni alimenti venivano conservati dal ristoratore stesso avvolti in fogli di giornale. Voglio citare le affermazioni del Sindaco Alemanno a proposito di problematiche nate nella ristorazione romana: “Ho dato mandato alla Polizia Municipale di predisporre controlli straordinari, anche con personale in borghese, per smascherare truffe che devono essere perseguite con fermezza fino ad arrivare alla revoca della licenza”. In effetti, questi casi, “purché minimali, portavano al rischio di infangare la reputazione della stragrande maggioranza dei ristoratori romani, conosciuti in tutto il mondo per l’ottima qualità del cibo e del servizio”.
Quali sono le problematiche principali quando si effettuano verifiche nei ristoranti? “In effetti, in qualità di consulente, non effettuo verifiche ispettive, anche perché le verifiche sono effettuate dagli organi preposti. Quello che posso affermare è che la gestione di attività ristorative comporta una grande responsabilità etica e che in molti casi purtroppo esiste anche improvvisazione. Oggi la ristorazione è vista come business, quindi ogni giorno si vedono nascere tanti ristoranti e molta improvvisazione”. In tutto questo come si pone l’Asl: è vero che gli ispettori fanno irruzione in un ristorante solo su segnalazione? “Non è per niente vero”.