Il 2019 è iniziato con sensazionali novità per la sostenibilità in campo alimentare correlato ad ambiente e salute. Durante la Oxford Farming Conference, ovvero la conferenza annuale degli agricoltori britannici, la deputata del partito dei Verdi britannici Caroline Lucas ha chiesto al parlamento di prendere in seria considerazione l’introduzione di una tassa sulla carne per diminuire il disastroso impatto ambientale e per finanziare opere che rendano l’industria agricola britannica il più possibile carbon free, supportando gli stessi allevatori ad affrontare una via di transizione che miri ad un approccio più sostenibile così come ad una generale diminuzione del numero di allevamenti, fornendo anche sussidi per cibo plant based con conseguente benefici per la popolazione intera. La proposta della parlamentare nasce anche grazie ad un recente studio dei ricercatori dell’Università di Oxford secondo cui una tassa sulla carne potrebbe ridurre le emissioni globali di gas serra di oltre 100 tonnellate di biossido di carbonio equivalente ed abbatterebbe vertiginosamente la lista dei decessi attribuibili ad un eccessivo consumo di carne rossa e lavorata pari a 222 mila, garantendo un risparmio fino a 41 miliardi di dollari in costi sanitari a livello mondiale.
UNA QUESTIONE ROVENTE
La “meat tax” sta infiammando gli animi e le discussioni sono ancora in atto, poiché coinvolge tutti (e quindi non solo l’Inghilterra) sia per i rischi sulla salute del consumo stesso della carne, sia per l’inquinamento ambientale ed il cambiamento climatico sia perché c’è da rivedere tutta l’economia basata su queste produzioni nefaste.
Vegani o no, al di là di ogni discorso etico, la questione va presa seriamente. In una delle ultime proiezioni delle variabili chiave che riguarda popolazione, produzione e domanda di cibo a livello globale a livello globale redatto dalla Fao per il 2030-2050, si mostra come il consumo di carne individuale passi da 38.7Kg pro capite nel 2007 a 55.4 Kg pro capite nel 2080. La tendenza della produzione di carne sembrerebbe quindi continuare a crescere, specialmente nei Paesi emergenti a causa della massiccia industrializzazione della zootecnia. Un trend per nulla incoraggiante, visti i numerosi studi scientifici che denunciano e dimostrano l’insostenibilità dell’allevamento intensivo, soprattutto bovino e la relativa emissione di gas a effetto serra.
La carne di manzo è la prima imputata degli effetti sul clima, poiché è quella che più incide sulle emissioni, partecipando in prima linea al surriscaldamento globale: 1Kg di carne bovina equivale a 27 Kg di gas serra, 1Kg di agnello schizza addirittura a 39 Kg! La maggior parte di questi gas serra sono dovuti ai processi digestivi degli animali da allevamento intensivo che introducono cospicue quantità di metano nell’aria.
IL GIOCO NON VALE LA CANDELA
Ciò che dovrebbe far riflettere tutti a cambiare direzione è semplicemente che tra i costi sostenuti per lo sfruttamento dei terreni e le produzioni di mangimi e l’impatto (ambientale, climatico e sulla nostra salute) delle ingenti quantità di emissioni di carbonio degli allevamenti (tutti non solo intensivi), sono nettamente maggiori rispetto a quello che è la resa. Di fatto un’altra ricerca della Oxford University pubblicata sul journal “Science” nel Giugno 2018, dimostra che la percentuale di proteine fornita dalla carne a parità di peso con uova e latticini, ma con costi ed impatto nettamente maggiori, è decisamente inferiore rispetto a quest’ultimi; al contempo utilizzare il più sostenibile dei metodi di produzione di alimenti di origine animale non va a bilanciare l’effettivo minore impatto dato da quelli vegetali: “Ad esempio, un litro di latte vaccino prodotto con metodiche “sostenibili” utilizza in media quasi due volte più terra e genera quasi il doppio delle emissioni di un litro di latte di soia”.
“Diete prive di prodotti animali, offrono maggiori benefici ambientali rispetto all’acquisto di carne o prodotti caseari sostenibili”. E’ questa la conclusione dei ricercatori di Oxford, che dati alla mano, dimostrano come le diete a base vegetale riducono le emissioni da cibo sino al 73%. Questa riduzione è relativa alle emisssioni di gas serra, ma anche alle emissioni da acidificazione degli oceani ed eutrofizzazione che degradano l’ecosistema terrestre ed acquatico.
IL BENESSERE ANIMALE PASSA DALLE AUTORITÀ E ANCHE DA OGNUNO DI NOI
Certo è che negli ultimi anni stiamo assistendo ad un cambiamento nella dieta globale sia per concorrere alla lotta contro il surriscaldamento del globo, sia per la salvaguardia del regno animale. Dopo il grande scandalo sollevato nel 2016 da un’indagine condotta da Essere Animali in collaborazione con il programma tv Report che rivelava le condizioni pessime ed i maltrattamenti di maiali e polli negli allevamenti di Amadori, a Gennaio l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato ha dichiarato che le pubblicità dei polli Amadori sono ingannevoli, grazie a un procedimento aperto da Enpa contro la Società Cooperativa Agricola Gesco (azienda del Gruppo Amadori che produce e commercializza carni avicole e suine. Di conseguenza Amadori ha iniziato a modificare le informazioni sull’allevamento e sul benessere animale che appaiono sul loro sito web e sulle brochure. Di fatto l’azienda pubblicizzava il proprio impegno a tutela del benessere animale, mostrando polli felici e spensierati in tutti i loro allevamenti. Secondo l’Autorità, si riferiva esclusivamente a soli due prodotti esclusivi, conseguentemente, tale pubblicità non poteva essere estesa all’intera filiera. In caso di inadempimento totale o parziale, l’azienda potrebbe tornare davanti all’Autorità e subire una sanzione amministrativa pecuniaria e/o una sospensione dell’attività d’impresa per 30 giorni.
Possiamo considerarlo un altro piccolo passo dei migliaia che mancano verso un mondo verosimilmente più “giusto” del concetto di benessere animale che molte aziende oggi utilizzano per incrementare i propri guadagni, quando di fatto compiono azioni contrarie e lontane a ciò che mostrano nei loro slogan pubblicitari. Fatto sta che se vogliamo parlare di vero benessere animale, l’unica cosa sarebbe non mangiarli e le opportunità che abbiamo oggi per condurre una vita con un’alimentazione a base vegetale, cercando di avere il minor impatto climatico sono davvero infinite. Come confermato anche da uno studio pubblicato sulla rivista National Academy of Sciences degli Stati Uniti, i primi a risentire delle conseguenze del riscaldamento globale sono i poveri, i più vulnerabili, ma che secondo lo stesso studio, sono proprio coloro che hanno un reddito inferiore ad essere più propensi a preoccuparsi dei cambiamenti climatici perché le comunità povere hanno maggiori probabilità di vivere più vicine ad aree colpite dall’inquinamento atmosferico, proveniente anche da allevamenti industriali, che possono portare a seri problemi di salute a lungo termine.
L’essere umano è dotato di tante abilità, conoscenze, è ingegnoso e sebbene oggi stiamo vivendo una situazione drammatica che ci sta portando ad una graduale implosione (prosciugamento dei bacini idrici, estinzione delle specie di terra e di mare, deforestazioni, scioglimento dei ghiacciai ed innalzamento del livello del mare, inquinamento, etc) proprio a causa dell’uomo, è giunto il momento di utilizzare le proprie capacità per bloccare questo processo. Siamo ancora in tempo!
LE SOLUZIONI CHE POSSIAMO INTRAPRENDERE OGGI STESSO
Ne parlavo già nel numero 310 di Settembre 2016. Il mondo della ricerca scientifica, attraverso biotecnologie e supportato da grandi imprenditori stanno lavorando affinché il mangiare carne non sia più una consuetudine per tutti e a giudicare dalla velocità di sviluppo delle aziende coinvolte in questa rivoluzione alimentare restiamo fiduciosi che sia possibile molto presto. Per coloro che non hanno ancora adottato uno stile di vita plant-based, o che comunque, non sono intenzionati a cambiare le loro abitudini e quindi non vogliono rinunciare alla carne, le americane Modern Meadow e Memphis Meat e l’europea Mosa Meat utilizzano le biotecnologie per produrre carne coltivata in vitro non solo ad uso esclusivo alimentare ma anche abbigliamento per realizzare capi in pelle da laboratorio. Non si tratta di un sostituto della carne, ma è proprio carne vera realizzata prelevando le cellule staminali dal muscolo di un animale ed inserendole all’interno di bioreattori contenenti sostanze nutritive e fattori di crescita già presenti in natura, in modo tale da proliferare proprio come farebbero all’interno di un animale costruendo dei nuovi muscoli. “Clean meat” non è carne geneticamente modificata, poiché le cellule staminali svolgono semplicemente l’azione che farebbero all’interno dell’animale. Si stima che le aziende saranno pronte per immettersi sul mercato entro il 2021. Da sottolineare che la stessa Mosa Meat ammette che c’è maggiore sostenibilità nella produzione di sostituti a base vegetale, rispetto alla produzione di carne coltivata, ma sicuramente quest’ultima è già un grande passo per la risoluzione globale.
Per chi invece è già vegano, vegetariano o ha intenzione di eliminare la carne ed ogni suo derivato dalla propria alimentazione, ci sono molte soluzioni già presenti sugli scaffali dei nostri supermercati. Alcune, le più innovative non sono ancora state inserite nei canali della grande distribuzione, ma presto lo saranno. Beyond Meat ha progettato il burger a base 100% vegetale con proteine della soia, proteine isolate dei piselli ed altri ingredienti vegetali e replica la consistenza fibrosa ed il sapore del burger di manzo ed è già disponibile nei negozi di alimentari degli Stati Uniti ed Inghilterra, ma lo troviamo anche nel menù delle catene Honest Burger di Londra, Bareburger negli Stati Uniti e Dubai e Well Done in Italia. Pare anche che Esselunga sia in trattative per distribuire Beyond Meat sui propri scaffali proprio nel 2019.
Impossible Foods, è l’azienda a cui va il merito di una importante scoperta, ovvero aver trovato una molecola presente nella carne rossa ed anche nelle radici delle piante di legumi come la soia, che conferisce il tipico colore e sapore “ferroso” della carne rossa. L’eme è il complesso chimico che contiene un atomo di ferro, parte integrante dell’emoglobina, responsabile di portare l’ossigeno attraverso il sistema circolatorio animale e di far funzionare il sistema linfatico vegetale. E’ presente anche in molti vegetali ed è proprio da essi che Impossible Foods la estrae e negli ultimi tempi ha iniziato a coltivarla direttamente tramite i lieviti. Recentemente è stata presentata la nuova versione: “Impossible Burger 2.0” che è senza glutine, senza colesterolo, con più ferro e proteine e con un apporto di 240 Kcal. Per simulare il grasso del manzo, e riprodurre il sapore e la sensazione di un burger di carne, Impossible Burger contiene anche olio di cocco e di girasole, mentre impiega le proteine delle patate per ricreare la tipica crosticina della carne scottata.
Interessante scoperta che sta a metà tra la carne coltivata e la carne sintetica di Impossible Burger o Beyond Meat è la carne vegetale stampata in 3D.
Invenzione dell’ingegnere e biomedico italiano, Giuseppe Scionti, che lavora ed insegna all’Università Politecnica della Catalogna.
La sua start up Novameat sta raccogliendo interesse da tutto il mondo anche dalle maggiori aziende di trasformazione e commercializzazione di carni e cereali. Scionti ha già presentato il “petto di pollo” e la “bistecca di manzo” in 3D che vengono realizzate con molecole di derivazione vegetale ed hanno la stessa consistenza della carne che riproducono, con costi decisamente bassi – promette Scionti. Al momento non è ancora dato sapere quando la carne sintetica in 3D sarà pronta per il mercato, ma il team di Scionti è molto positivo al riguardo.
Silvia e gli esperti rispondono…
Non è un controsenso per un vegano mangiare prodotti vegetali che imitano la carne?
Rebecca, Torino
Generalmente chi sceglie di rinunciare alla carne e derivati, lo fa per salvaguardare gli animali e non perché non gli piace il gusto. Se si adora il sapore delle polpette fatte dalla nonna, ma si decide di non mangiare più carne, non c’è nulla di male nel ricreare un prodotto dal gusto e consistenza simili e che al contempo rispetti i propri valori etici come il benessere animale e la salvaguardia del pianeta. C’è anche da dire che una polpetta, burger o salsiccia di carne non nascono in tale forma, sono un surrogato della materia prima. Il nome di polpette o salsicce vegetali viene dato per convenzione, per facilità ed immediatezza nel concetto del prodotto. Nel mercato internazionale ci sono innumerevoli prodotti che cercano di imitare la carne, ma contrariamente a ciò che si possa pensare, questo filone non è specificatamente rivolto a vegani. Molti vegani preferiscono non mangiare proprio più nulla che ricordi, in termini di gusto e forma, la carne. I prodotti sostitutivi puntano più ad un consumo di massa, perché generalmente più sani e più ecosostenibili.
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