L’insegna era tipica di quegli anni. “Da Romano”, recitava il neon su via Mazzini. Era il 15 aprile del 1966, giusto mezzo secolo fa quando Romano Franceschini aprì il suo ristorante insieme alla moglie Franca Checchi. Lui aveva 22 anni e stava in sala, lei solo 16 e governava la cucina. Lui veniva da Montecarlo, splendido borgo fra Lucca e Montecatini. Lei era una viareggina purosangue.
Viareggio era al massimo del suo splendore, capitale delle vacanze del boom economico. Nel 1966 Mario Tobino pubblica con Mondadori “Sulla spiaggia e di là dal molo”: è il romanzo di Viareggio, la storia di un borgo di galeotti assediato dalla malaria che diventerà poi capitale del bel mondo. Nello stesso anno è un altro viareggino, il regista Mario Monicelli a dar lustro alla città firmando uno dei suoi capolavori: “l’Armata Brancaleone”.
Sono anni in cui a Viareggio tutto è possibile. Ed è quello che intuisce Romano Franceschini quando lascia il babbo contadino e va lì a lavorare, a 16 anni, in una famosa pizzeria-torteria. Si chiamava Rizieri ed esiste ancora.
Ma Romano ha ben altre idee e trova in Franca una grande alleata. Giovanissimi aprono il loro ristorante, mentre aumenta la famiglia: nel 1969 nasce Roberto, poi sarà la volta di Maria Cristina. Intanto anche il ristorante cresce: prendono vita alcuni piatti che negli anni si identificheranno con il ristorante stesso, come nel caso dello spiedino Burlamacco, una brace che viene portata direttamente in tavola con scampi, gamberi, seppie (Burlamacco, va ricordato, è la maschera di Viareggio, quindi viene ulteriormente sottolineata la riconoscibilità del territorio attraverso uno dei suoi simboli).
Ma altre sono le proposte che ogni appassionato riconosce come espressione esclusiva di questa storica casa e infatti da oltre trent’anni la maison non può togliere dalla carta i calamaretti ripieni di crostacei e verdure, o gli sparnocchi (mazzancolle in italiano) al miele coi carciofi fritti. E che dire della treccia di sogliola nostrale su letto di patate e tartufo bianco di San Miniato?
Romano cresce in sala e in cucina, ma anche in cantina. Forse questo è il primo ristorante della Versilia ad andare oltre la classica domanda “bianco o rosso?”. Roberto Franceschini è l’artefice della carta di 1300 etichette (segnalata anche da Wine Spectator tra le migliori in Italia) e della sua gestione; a lui, in sala con il padre Romano, il compito di proporre le bollicine più intriganti da una vasta scelta di Champagne o i Borgogna più particolari, insieme a vini nazionali ed esteri che lui sa selezionare con grande professionalità: personaggio molto noto e premiato dalla sommellerie nazionale, se manca Roberto in sala, manca il pezzo che va a completare una squadra vincente, composta da una famiglia ben ancorata alle proprie radici, che ha fatto di una continuità solida e ben strutturata, il segno distintivo del locale. Accanto alla carta divisa per regioni e denominazioni, c’è un’importante carta dei distillati che racchiude tesori acquistati nel tempo da Romano prima e da Roberto poi, di cui alcuni quasi introvabili. A completare la proposta del dopo pasto troviamo una ricca scelta di caffè, tè e tisane.
Romano dunque si afferma con successo in una città dove la concorrenza è spietata, dato che ci sono tre ristoranti con la stella Michelin e malgrado la sua collocazione sia anomala rispetto al classico ristorante di pesce che sta sul porto o in passeggiata.
Il vantaggio però è che si trova a due passi dal mercato centrale, dove si comprano il pesce e le verdure fresche e tutti sanno benissimo quanto Romano sia puntiglioso nello scegliere ogni giorno l’eccellenza del pescato, trattando prezzi e qualità con assoluta competenza e quanto incida questo suo lavoro preventivo sul risultato finale, in cucina. Franca infatti sa tutto del pesce, da brava cuoca viareggina, ma si è sempre aggiornata frequentando i migliori chef del mondo.
Risale al 1985, a meno di vent’anni dall’apertura, il primo grande riconoscimento: la stella assegnata dalla Guida Rossa che, dopo trent’anni, mantiene ancora. E nello stesso periodo due personaggi si trovano a cena in via Mazzini: sono Carlo Petrini e Stefano Bonilli. Nasce da Romano – e lo confermerà in un articolo Petrini stesso – il manifesto di Arcigola, che poi diventerà da un lato Slow Food e dall’altro il Gambero Rosso.
La guida, edita nella Città del Gusto a Roma, gli assegnerà nel 2004 le Tre Forchette, simbolo dell’eccellenza italiana nella ristorazione.
E di Romano e Franca parleranno un po’ tutti i grandi del giornalismo enogastronomico, compresi i mitici critici francesi della Gault & Millau.
Ora Franca è affiancata in cucina da tre giovani che l’aiutano, nella tradizione, a mantenere contemporanea la sua proposta gastronomica.
I piatti di Franca sono immortalati in un bellissimo libro edito da Gribaudo, dove si scopre che Romano, oltre al pesce, si concede lo sfizio di alcuni grandi piatti di terra, perlopiù toscani.
Romano e Franca hanno servito migliaia e migliaia di clienti, dai vip ai semplici appassionati.
Da chi cercava una serata intima a chi doveva festeggiare il varo di una nave. Sempre lì, sempre sul posto. A colazione e a cena. E trovi sempre Romano, Roberto e Franca. “Se devo lasciare il ristorante per un qualsiasi evento, preferisco chiudere – spiega il patron – Il cliente che entra deve sempre trovarmi ad accoglierlo”.
Una filosofia di vita e di lavoro che fa capire dove sta il segreto di 50 anni di successi. Perché il talento – come dice il grande attore Sergio Castellitto – non è dato una volta per tutte, ma deve essere curato tutti i giorni.