Pompei troppo turistica e con un’offerta seriale di basso livello in servizi e accoglienza?
Macché, molti operatori locali capiscono che il turismo è un’opportunità importante per crescere e migliorare e stanno riqualificando strutture e proposte, diversificandole e rendendole più appetibili. Basti vedere la movida dei giovani, la sera, lungo il corso: la città conosce un’energia nuova e questo giova alla sua immagine. Il sito archeologico frana sotto il peso dell’incuria e di una burocrazia clientelare e soffocante? Macché! Perché invece di gridare per il crollo di un muretto (!) si fa passare quasi sotto silenzio la recente apertura di sei nuove Domus e di un’ala di favolosa bellezza?
Ah, per Paolo Gramaglia, chef patron del ristorante President, nel cuore di Pompei, il bicchiere non è mezzo pieno: è pienissimo! Bisognerebbe telefonargli in un momento di umore nero per tornare a sorridere e a vedere il sole a mezzanotte.
Lui è così, un Vesuvio che erutta ogni giorno fuochi d’artificio, un’esplosione di iniziative sempre più qualificanti, con un mare di entusiasmo davanti a sé.
Sempre a correre per realizzare nuovi progetti da aggiungere alle centinaia già realizzati: “Abbiamo rinfrescato l’aspetto di tutto il locale! – ci dice -. Abbiamo rifatto la carta dei dolci con delle novità straordinarie! La gente ci segue, i nostri clienti stanno bene da noi e ci danno la grinta per fare sempre meglio”.
Intanto viaggia, si confronta con i colleghi, studia e lavora instancabilmente, soprattutto rapportandosi alla sua città e ai preziosi scavi.
L’interazione con lo straordinario sito archeologico, per esempio, è parte integrante della sua attività: ha infatti operato il recupero delle ricette dell’antica Domus Pompeiana, ha ricreato i pani rappresentati sugli affreschi e catalogati tra i reperti storici.
Ce lo racconta lui stesso, con una verve trascinante: “Pompei contava una popolazione di circa 10.000 abitanti, prima dell’eruzione del 79 d.C; per soddisfarne i bisogni esistevano 34 forni di cui oggi si conserva traccia e dieci erano i tipi di pane più diffusi. Sono riuscito a far riprodurre certe farine superiori che servivano a fare un pane bianco di forma rotonda, il panis siligineus, con incisioni che servivano a dividerlo in otto parti e il panis artolaganus, che si consumava durante le feste, ricco di arance candite, miele, noci, erbe aromatiche, olio e sidro, da cui è nato il mio panettone del Natale 2015”.
Insomma, mentre le mura non cessano di cadere, c’è chi ricostruisce pezzi di storia edibili: il pane e i piatti riproposti da Gramaglia sono qualcosa di vivo e attuale, che i turisti con intenti filologici possono richiedere e gustare con piena fiducia.
Citare questo encomiabile recupero storico è però riduttivo: Gramaglia è artefice di una cucina a metà tra quella tradizionale e quella di ricerca, con espressioni che negli anni ha affinato in gusto ed estetica.
Chi ne conosce l’excursus – dal 1993 quando il locale nacque come azienda di famiglia – può notare una costante evoluzione dovuta sia ad una naturale maturazione professionale, sia alle contaminazioni derivanti dai frequenti viaggi all’estero dello chef, che da ogni cultura ha tratto la propria ispirazione.
Ne scaturisce una proposta molto variegata che esalta il territorio campano e i suoi impareggiabili prodotti a volte con piccole pennellate esotiche, come nel caso dell’astice con salsa guacamole, caviale e ketchup partenopeo, a volte con l’apoteosi del prodotto in sé come nel gambero rosso su cono con morbidoso di caprino e tagliata di capesante, altre volte ancora mediante la più prosaica aderenza alla tradizione “rubata”, come per la trionfale lasagna napoletana, rorida di ragù “ ‘nguacchiuso e niro come ‘o fa sulo munzù”, pioggia di ricotta, grattugiate di formaggio e pezzi di mozzarella!
Difficile quindi catalogare la sua cucina che è mutevole, imprevedibile ma sempre generosa nei sapori, negli accostamenti e nel suo aspetto passionale.
Ha poco dunque del bruciapadelle (come da solo ironicamente si autodefinisce) l’analitico Paolo Gramaglia i cui giovanili studi matematici lo portano in realtà a scelte molto mirate, quasi scientifiche: pesci di assoluta freschezza, carni a tracciabilità certa, cotture molto attente, una qualità del servizio che si unisce alla piacevolezza di ambienti molto curati, simili a quelli di una ricca casa borghese dove le panellature dei tendaggi, gli argenti, le belle porcellane creano un’atmosfera intima e accogliente.
Ne è l’affabile padrona Laila Buondonno, moglie di Paolo, come lui sommelier, capace di consigliare con grazia i migliori abbinamenti attingendo da una carta dei vini la cui composizione, prettamente campana, è ampiamente spiegata anche sul sito web del President, così come sono scrupolosamente annotate le caratteristiche di tutte le altre carte, ossia quella delle acque, dei formaggi, degli oli, delle birre, degli aceti: una pioggia di informazioni che gli amanti della buona tavola non potranno che apprezzare. Insomma, il President è la risposta più efficace all’onta del Pompei paradox (esempio, studiato nelle università, di come far fuggire i turisti, spaventati dalle notizie negative riguardanti la cittadina): è la prova provata che, come sempre, l’iniziativa privata di valore può servire come paradigma ripetibile. Occorrebbe solo scavare ancora a Pompei, ma nelle coscienze…
Ristorante President
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