Andrea Pilo e Barbara Antonini sono le due anime del ristorante Oro Nero sul lago di Sauris (UD): creativa e luminosa quella dello chef, rigorosa e funzionale quella del maître e sommelier, ma entrambe sedotte dalla bellezza dello specchio d’acqua circondato dalle Dolomiti Friulane che si apre alla vista dei viaggiatori, superata l’ultima galleria di roccia viva che da Ampezzo porta a Sauris.
Si tratta di un lago artificiale sito nella Val Lumiei in Carnia, in località La Màina, tant’è che indifferentemente si parla di lago di Sauris o lago della Màina, vicino alla cittadina già nota per la produzione del prosciutto di Wolf Sauris IGP, ottenuto con un particolare metodo di affumicatura definito “gentile”, effettuato sul legno dei faggi provenienti dal locale bosco.
Andrea e Barbara qui venivano periodicamente in vacanza e due anni fa, notando che la struttura ristorativa a ridosso del lago era libera da tempo, hanno deciso di seguire un progetto che li facesse crescere nella bellezza, non solo per la magica location, ma per quello cui avrebbero potuto dare vita come imprenditori, sì da arricchirli e completarli come professionisti e come coppia.
Inizialmente è stato l’entusiasmo di realizzare il proprio sogno, ripartire dopo il Covid in una realtà che peraltro conoscevano e amavano, a spingerli da subito a lasciare Pordenone, realizzando solo più tardi di essersi trasferiti in una località di circa 400 abitanti a quasi 1.400 metri di altitudine, con il lago a 1.000 metri.
E solo più tardi hanno colto il profondo cambiamento che la natura circostante ha operato su di loro, sulle proprie creazioni che non possono non risentirne anche nelle scelte degli ingredienti, nelle soluzioni cromatiche e nell’impiattamento.
Dell’alternanza delle stagioni e dell’incidenza della scenografia naturale che da cornice, attraverso le grandi vetrate, diventa tutt’uno con la sala – arredata con materiali, gusto e tonalità in grado di armonizzarsi perfettamente con l’esterno senza soluzione di continuità – sono consapevoli i 20 commensali, protagonisti di uno spettacolo naturale unico.
Da sottolineare la cura di ogni dettaglio e la scelta etica di utilizzare la pietra e il legno di recupero proveniente dagli alberi caduti a Vaia, in seguito alla tempesta.
La qualità della vita – dice Barbara – è sicuramente migliorata perché non ha prezzo fermarsi a guardare un uccello che vola, vedere pascolare libere le capre e le vacche: tutto conferisce serenità e gioia che vengono riversate anche nel lavoro.
La cucina di Andrea é stata definita “del ricordo” perché il suo obiettivo é quello di riportare alla memoria – mediante l’assaggio – la saporita e gustosa cucina di casa, quella della tradizione, in maniera divertente però, giocosa, com’è nella sua indole.
Egli si serve di tecniche innovative, abbinamenti nuovi ed equilibrati, tutto mediante l’utilizzo di materia prima di eccellenza, con particolare attenzione a quella del territorio, tant’è che sono proprio i prodotti della zona a essere proposti per dare inizio all’esperienza enogastronomica, a incominciare dal prosciutto di Sauris di Nonno Bepi, che conoscono personalmente e di cui racconta in sala, in maniera leggera e puntuale, Barbara, membro dell’Associazione Maître Italiani e dell’Associazione Italiana Sommelier.
Così come il pane – fatto in casa con lievito madre di oltre 25 anni ereditato da una delle esperienze dello chef – viene servito nella bocca di un ippopotamo gigante in ceramica, il burro proveniente da una vicina malga, su un cubo di ceramica dell’artigiano Alessio Moras; il bao affumicato, ripieno di carne di cervo, julienne agrodolce, semi di papavero e maionese al rafano, è servito in una manina di ceramica sempre del Moras, senza posate, proprio perché lo chef vuole che vengano adoperate le mani per mangiarlo; o ancora è previsto un pre-dessert scoppiettante. Interessante e nuovo è l’abbinamento dello spaghettino con una crema di funghi, le nocciole e una spolverata di caffè; ancora, i tortellini ripieni di fagiano con infuso di camomilla e arancia; la granita al fieno che d’inverno si trasforma in infuso al fieno, alla cui preparazione collabora anche l’ospite, che non si vuole passivo in questo percorso creativo.
Tra i secondi piatti, che rappresentano il punto di forza del locale, non si può non assaggiare il piccione in due cotture, ossia prima in sous vide e poi passato sulla brace; delle parti servite, la coscia riceve una laccatura, mentre tutto è condito con un fondo all’amarena, arachidi e scalogno in agrodolce.
Ad accompagnare le portate, più di 230 etichette provenienti sicuramente dal Collio senza però tralasciare il resto del mondo, sapientemente scelte e consigliate da Barbara Antonini, che racconta con emozione come qualche mese fa si sia presentato a cena lo chef Bruno Barbieri che, curioso e appassionato non solo del cibo e del modo in cui era stato preparato, ma di tutto quello che incrociava il proprio sguardo, alla fine si é detto molto soddisfatto sia dell’offerta che del servizio.
Sentiremo parlare a lungo di questo ristorante e delle soluzioni creative del suo chef.
[Questo articolo è tratto dal numero di gennaio-febbraio 2024 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]