Nel 2018 la Michelin ha incoronato un nuovo re. Il Re Atipico, quello per cui “l’impresa eccezionale è essere normale”. Il corrente anno 2019 ci dirà se è vero ciò che alcuni pensano, ossia che il conferimento della terza stella a Mauro Uliassi potrebbe rappresentare uno spartiacque tra il “prima” e il “dopo” della Rossa in Italia. Uliassi non sarà forse il migliore, ma è diverso da tutti; si nutre di essenze territoriali che attraverso le sue mani e la sua visione divengono universali, in una misura che però le rende irriproducibili. Ha già 60 anni, ma ha attraversato un percorso di crescita lineare e costante che ha raggiunto l’apice negli ultimi anni, con la lezione di Ferran Adrià completamente assorbita e interiorizzata. Non possiede un ristorante di lusso, ha trasformato una baracca sul mare di una spiaggia “normale” in un sobrio ed elegante bagno con pareti bianche e arredi azzurri, completamente alieno ai fasti delle sale che caratterizzano i tristellati. Definisce la sua, semplicemente, “cucina di mare”, ma è consapevole che dietro c’è molto di più, non solo per la presenza della selvaggina in stagione. È forse il cuoco più amato dagli addetti ai lavori, per una condivisibile serie di ragioni: il carattere gentile, la profondità di visione, la sobrietà di stile che l’ha sempre tenuto lontano dai teleschermi delle battaglie culinarie, intrise di acido sadismo. Uliassi, in fondo, è un elitarista, preferisce l’apprezzamento garbato dei clienti che lo guardano negli occhi, agli strepiti della massa. Di lui s’è scritto molto, moltissimo: dagli immancabili inizi avventurosi, alla folgorazione per Ferran Adrià, da “poeta del mare” all’improbabile definizione di “cuoco rock”. Ciononostante, mai nessuno è riuscito a descrivere davvero la sua cucina: perché è soltanto sua, non assomiglia a quella di nessun altro. È una cucina di mare plastica e semplice, spettacolare nelle texture, in cui tra la stoviglia e l’assemblaggio degli ingredienti c’è un sottile velo di mistero. Il mistero, per Uliassi, è quello che per Marchesi era l’arte, l’interstizio tra il colore e la tela. Nessuno potrà mai svelarlo, forse nemmeno lui stesso, perché questo mistero è ispirazione pura che nasce dal respiro del mare e si condensa nelle mani del cuoco attraverso la sua personalissima visione.
Mauro Uliassi è figlio della sua epoca, quella in cui il cuoco, dopo la scuola alberghiera, faceva qualche esperienza in giro per l’Italia e poi tornava nel paese d’origine. Cresciuto insieme alla sorella Catia nel bar materno, ha tentato gli studi tecnici, salvo ritirarsi per manifesta assenza di femmine. Ha ripiegato sull’alberghiero, trascorrendo anni “tra vino e donne”, dice. Il primo impiego è stato da professore, proprio all’alberghiero. “Mi piaceva insegnare, venivo pagato bene, non mi interessava ancora fare il cuoco”. Poi, la svolta: conosce una bella ragazza, Chantal che poi diverrà sua moglie. Si concede un sabbatico, trascorre qualche mese da innamorato in giro per il sud Italia e, infine, su richiesta della fidanzata, cucina una lussuosa cena per lei e altri amici scoprendo che sì, avrebbe dovuto fare il cuoco. Nel 1990 acquista la baracca sul mare a Senigallia coi soldi del padre (”erano anni in cui se lavoravi fatturavi, se non lavoravi no, ma non c’erano sorprese”) ma tiene i piedi per terra, non pensa ai riconoscimenti. Lavora alacremente con la sorella Catia a una proposta di ristorazione tradizionale, marinara. “A sorpresa” dice lui “arrivò la prima stella nel 1994. Da lì capimmo che potevano esserci nuovi obiettivi da raggiungere, con lavoro e una lenta ricerca. Lenta perché siamo pigri”. Nel 1998, l’ulteriore svolta: la folgorazione per Adrià e la scuola del Bulli: “Ferran ha sconvolto il mondo della cucina mondiale perché ha insegnato a tutti ad avere una visione che trascende le padelle, non a copiare i suoi piatti che non sono replicabili. Così, anche grazie alle tecniche che ha inventato, io ho iniziato a esplorare la mia personale visione di cucina”. Il paradigma dell’irriproducibilità è stato sviluppato negli anni e trova oggi trova la sua vena più sperimentale nei famosi “lab” che scaturiscono da tre mesi di chiusura invernale in cui lo chef, insieme ai fidi secondi Luciano Serritelli, Marco Paolini e Michele Rocchi (foto nella pagina a lato) elabora i leit-motiv contemporanei: “Il lab è un’idea moderna, legata a tempi di incertezza: oggi c’è un’idea, domani può non esserci più”. Il resto è storia recente: nel 2008 la seconda stella, l’ascesa all’Olimpo dei cuochi e la consacrazione definitiva avvenuta nei mesi scorsi.
Era un percorso attraverso gli scarti del pesce il “lab 2017”, lo stesso tema è stato contaminato nel 2018 da alcuni inserimenti di terra e di parti che sarebbe più corretto definire “meno nobili” piuttosto che “scarti”. Complessivamente, l’edizione 2018 ci ha regalato forse il miglior Uliassi di sempre. L’attenzione allo scarto è virtuosistico oltre che etico: la corona del rombo alla griglia, semi di olive, finocchio e tzatziki all’arancia valorizza una parte negletta, e la bravura del cuoco è indispensabile. L’apertura del percorso è stato affidato sempre all’immancabile wafer di foie gras e nocciola con kir royal e, oggi, a un nuovo instant-classic, il pancotto, ricci di mare e mandorle che rappresenta l’essenza stessa della cucina di Uliassi: mandorle di diversa consistenza, i ricci ghiacciati sul fondo, con la profondità del riccio a deflagrare sulla brezza marina della mandorla. A seguire, la canocchia con le sue uova e semi di frutto della passione, in un intreccio mediterraneo dal tocco leggermente esotico ma ben caratterizzato nelle nude materie. Semplicemente magistrale il fusillone con lardo e polvere di polpo, l’ennesima riproposizione del tema dell’illusione, di una cosa che sembra una e invece è altra, qui ottenuta dopo un lavoro certosino di estrazione e cottura. Era estratta dal lab 2017 la mezza manica “au beurre blanc”, triglie e fegato di triglia, così citazionista nell’ascendenza francese ma così adriatica nel risultato finale. Invece, è totalmente contemporanea la tagliatella con rigaglie di selvaggina e riduzione di pomodoro al chiodo di garofano. Non manca il ritorno alle acque, con Benvenuti al mare, un brodo ottenuto da vari pesci e crostacei dove il salmastro incontra il profumo inconfondibile della banchina. È il prodromo a Il mare dentro, un percorso attraverso le interiora di rana pescatrice, ombrina, baccalà e crostacei per sondare le sfumature di un mare diverso. Ancora scarti ittici, con il collo di rombo fritto alla milanese e servito con un saor rivisitato, e selvaggina con la lepre in salmì e carbonella croccante al ginepro. Il lab 2019 si preannuncia a 360 gradi, con inserimenti di selvaggina ancora più importanti e un’attenzione particolare rivolta all’elemento vegetale.
C’è un’immagine in bianco e nero scattata da Lido Vannucchi in cui si vede Uliassi in casacca e grembiule camminare sui lastroni del lungomare di Senigallia, quasi sospeso nell’aria. È una foto che coglie la sua essenza, quel passo sospeso è la lievità soltanto sua che porta nei piatti, è il sigillo della sua differenza, è la grazia con la quale estrae l’impalpabile affumicatura dei suoi spaghetti con vongole e pendolini. Tuttavia è un cuoco profondamente verticale, dipinge a olio, non ad acquarello come il suo gemello diverso Moreno Cedroni, che accenna con pennellate ampie storie personali di mare e di terra.
Per questo il nuovo re è diverso da quelli che l’hanno preceduto, perché è pura essenza, irriproducibilità, sostanza nella cornice di un decor sobrio, scevro da ogni opulenza barocca. Potrebbe essere l’inizio di una nuova epoca ma di Uliassi, si sa, ce n’è uno solo.
ULIASSI
Banchina di Levante, 6 – 60019 Senigallia (AN)
Tel. 071 65463
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