Nessuna descrizione delle sue creazioni o del ristorante famoso nel mondo, nessuna celebrazione dello chef sotto il profilo professionale, ma il racconto dell’Alajmo privato attraverso
una serie di aneddoti che ne rivelano lo spessore umano. Perchè la cucina oggi dovrebbe saper esprimere valori che vanno anche oltre i piatti…
Alle “Calandre” si scatena all’improvviso un tifo da stadio.
Sono le 23 del 27 novembre 2002, la guida Michelin è stata presentata da poche ore: a “Porta a Porta”, su Rai Uno danno l’intervista registrata nel pomeriggio.
È la prima intervista a Massimiliano Alajmo, fresco delle Tre Stelle Michelin.
Anzi, è l’intervista al più giovane “tristellato” del mondo, poiché nessuno mai, prima, aveva strappato il prestigioso riconoscimento sotto i 30 anni di età.
E Max di anni allora ne aveva 28.
Cuochi della brigata e camerieri alzano i calici in sala, noi ci si aggrega per il brindisi.
Poi i ragazzi si accorgono che, nel momento clou, manca proprio lui, Massimiliano, il festeggiato. Precipitosamente si mettono a cercarlo, ma non si trova.
Il caso vuole che toccasse a me svelare l’arcano: Max era nella attigua pasticceria di famiglia, in penombra, appoggiato al banco, con le mani che gli sorreggevano il mento. “Massimiliano, che fai qui? Di là ti stanno cercando tutti, da Bruno Vespa fra poco tocca a te…”. Lui, alza gli occhi. Prende tempo e poi scioglie ogni dubbio sul suo turbamento: “Sai, sono triste in questo momento. Sto pensando all’amico Aimo Moroni.
Oggi io ho preso la terza stella, ma lui oggi la stella l’ha persa… E immagino quanto ci sia rimasto male”.
Ecco, il Massimiliano che pochi conoscono è così. Sensibile e altruista. Uno che non dimentica.
Al maestro Aimo Moroni, del ristorante “Il Luogo di Aimo e Nadia”, che all’epoca era stato uno dei suoi riferimenti, a distanza di tanti anni da quell’episodio ha persino dedicato un piatto.
L’AL-AIMO, lo ha chiamato così.
È il piatto che apre il menu anche ad Alajmo Cortina, il nuovo ristorante che il gruppo ha inaugurato nella città regina delle Dolomiti, acquisendo il mitico El Toulà di Alfredo Beltrame e Arturo Filippini.
E qui salta fuori il rapporto allievo/maestro che sembra permeare il Max pensiero.
All’Alajmo Cortina il personale è giovanissimo. Il più “anziano” (si fa per dire) è il cuoco Mattia Barni, 31 anni.
Sono tutti ragazzi cresciuti nel gruppo, come il vice manager Davide Del Re, 28 anni. Tutti con già nel curriculum Calandre, Caffè Quadri, Stern Parigi e Royal Mansour Marrakech.
Tutti con la valigia sempre pronta, come era stato per Massimiliano stesso, che da ragazzino venne inviato da papà Erminio (lungimirante, aveva capito che il “toso” aveva stoffa) da Veyrat e Gérard in Francia, prima ancora da Chiocchetti al Navalge di Moena.
I giovani, gli allievi. A loro è dedicato un altro ricordo dell’Alajmo disvelato, quello che sfugge ai riflettori.
Nel maggio 2019 l’Istituto Alberghiero di Abano Terme (il secondo più longevo d’Italia, dopo Stresa) chiede la sua presenza per una lectio magistralis nello storico Palazzo della Ragione di Padova, in occasione degli 80 anni dell’istituto superiore aponense, dove peraltro Max si era diplomato.
Per Alajmo è più un “no” che un sì”: in genere questo tipo di inviti li declina. Il preside Carlo Marzolo, convinto della bontà dell’idea, non si rassegna e mi affida l’ultimo tentativo di convincerlo.
Nella Sala Cavalieri delle Calandre si fanno le ore piccole con Max, Corrado Assenza e Pippo Maglione, l’eclettico ex art director del gruppo.
Il pensiero che gli allievi si erano persino recati in delegazione alle Calandre per invitarlo, fa desistere Max e la partecipazione all’evento, il 10 maggio 2019, diventa un trionfo. Da pelle d’oca gli sguardi dei ragazzi (diverse centinaia), in un silenzio in cui avrebbe disturbato anche il volo di una mosca.
Fortissimo il coinvolgimento emotivo. Segno che nei sogni degli studenti non c’è soltanto Master Chef.
“Ricordatevi – disse calmo Max – che fare questo mestiere implica sacrificio e passione. Non pensate ai falsi miti dei cuochi televisivi, ma al piacere che può e deve dare ogni giorno anche il mescolare un risotto”.
A proposito di ragazzi, c’è un altro episodio inciso a fuoco nella mia memoria.
Inaugurazione del Calandrino.
Era una serata di neve nel febbraio del 2007, Padova è paralizzata dalla coltre bianca. Arrivo al Calandrino di Sarmeola a passo d’uomo, dopo la chiusura delle pagine del mio giornale, in redazione. Passo a prendere all’ingresso dell’ospedale il mio amico fotoreporter di viaggio Claudio Rizzi, gardesano.
è a Padova per il ricovero del figlio, che ha un serio problema (poi risolto) ai reni.
Max Alajmo, pur nel mezzo della festa, si ferma tutta la sera con Claudio, per parlare dei problemi di suo figlio e dei figli in generale. L’anno successivo mi capita di ritornare alle Calandre con Claudio e il collega Rai Bruno Gambacorta: Max vede Claudio entrare nel locale e subito lo riconosce, pur essendo appena la seconda volta che lo incontra. La prima cosa che gli dice è: “Come sta tuo figlio?”. Incredibile…
Massimiliano ricorda con la stessa rapidità di memoria anche i momenti meno piacevoli.
Un giorno rivede, dopo tanto tempo, il suo vecchio maestro Alfredo Chiocchetti, trentino. Sale nella sua auto e nota una guida gastronomica appoggiata sul sedile posteriore. Senza nemmeno commentare il fatto, prende la guida, apre il finestrino e la getta via… All’interdetto Alfredo dice soltanto: “Accetto ogni critica, rispetto ogni opinione, ma non sopporto le offese…”.
Il riferimento era a una recensione dove il critico di turno, per commentare un suo piatto, aveva utilizzato termini pesanti. Decisamente desueti nella critica enogastronomica.
A farlo trasalire è il termine “orrori gastronomici”. “Io ci metto amore per preparare ogni piatto, anche quelli che a qualcuno non piacciono – spiegherà a freddo – In ogni piatto c’è anche un po’ della mia intimità”.
Ecco, il rispetto. Max, ci tiene tanto. Glielo hanno insegnato i suoi genitori Erminio e Rita.
Pur essendo un “maestro” severo, come del resto il fratello Raffaele (uno abituato a parlar chiaro), ha sempre trattato i suoi allievi con un atteggiamento talvolta persino protettivo.
“La cucina – è convinto Max Alajmo – è paragonabile ad un ago che, attraversando ripetutamente piccoli fori, tende un filo così sottile e resistente, da renderci tutti inconsapevolmente legati”.
E che unisce e aggrega come la cucina, in fondo, cosa c’è?
[Questo articolo è tratto dal numero di novembre-dicembre 2023 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]