Durante l’estate degli articoli e dei post da due euro – perché questo è il valore delle veementi prese di posizione su argomenti per me assolutamente irrilevanti – mi sono dilettata a leggere quanto i vari soloni del web apprezzino l’attuale giornalismo enogastronomico.
E, come nel caso delle invettive in merito alle voci più o meno giustificabili sugli scontrini, anche sul giornalismo è piovuta la risentita, velenosa, superficiale condanna di chi vede negli operatori di questa “edonistica” branca di mercato, generalmente degli scrocconi in giro a cazzeggiare. Senza distinzione alcuna.
Come mia abitudine, non intervengo ad alimentare i discorsi da bar, tuttavia qui stavolta lo faccio per i miei lettori ritenendo che sia semplicistico e irrispettoso paragonare chi baratta un pranzo con una recensione, con coloro che, bene o male, spendono la loro vita per capire, imparare, divulgare con professionalità.
Perfettamente consapevole del fatto che oggi il giornalismo in Italia sia essenzialmente agiografico – tanto che io sono solita cancellare ogni iperbole dagli articoli dei miei collaboratori – trovo del tutto riduttivo vederlo come prono di fronte al dio chef, oppure figlio di un pranzo o di una cena.
Personalmente, come direttore e proprietaria della mia testata, non potrei neanche confrontare il costo di un articolo pubblicato sul mio giornale – costo dei miei dipendenti, dell’elegante carta che mi ostino ad usare, della tipografia, della esosa spedizione, dei costi di gestione dell’ufficio – con il prezzo di una cena offerta.
E se qualche ristoratore, come spesso in verità accade, decide di tenermi ospite malgrado io chieda sempre il conto, ritengo lo faccia carinamente per ripagarmi del tempo che, aldilà del pranzo, molte volte dedico a discutere e analizzare con lui le problematiche della sua attività, e che quindi lo faccia indipendentemente, credo, da una possibile captatio benevolentiae: per quanto missionaria per la passione con cui lo vivo, questo è il mio lavoro, non è il mio hobby.
E quindi, volendo, il baratto qui ci sta: si tratta solo di reciprocità.
Dunque se agiografici potrebbero sembrare i servizi pubblicati, credo si possa almeno intuire che, da noi, la regola è pubblicare solo ciò che ci convince: ho frequentato quest’estate un paio di stellati che non mi sono piaciuti neanche un po’ e ho preferito non parlarne affatto, invece che esternare un parere totalmente negativo. Dopotutto, il mio è pur sempre un parere e, come tale, opinabile.
Quindi, per chiarire, niente polemiche sulla Madia tanto per fare sensazionalismo o titoloni ad effetto e largo invece a ciò che fa bella e varia l’Italia dell’accoglienza, largo a un confronto e a considerazioni fatte con cognizione di causa, senza quello spirito giustizialista e forcaiolo che sembra inquinare ormai ogni tentativo di riflessione.
Ricordiamoci che il giudizio lo da il mercato, ci piaccia o no.
Noi possiamo solo limitarci a fornire contributi il più possibile onesti e coerenti.
[Editoriale del numero di novembre-dicembre 2023 de La Madia Travelfood. Leggilo online oppure abbonati alla rivista cartacea!]